domenica, settembre 14, 2008

Alitalia – Sbobba riscaldata



Domenica, 14 settembre 2008
Più passano le ore più emerge come sulla vicenda Alitalia l’illusionista Berlusconi abbia venduto la pelle dell’orso prima d’averlo ucciso. Ed emerge pure come la vendita dell’improbabile trofeo fosse il frutto di un operazione di bracconaggio, visto che d’orsi in circolazione non ce ne sono più tanti e, quei pochi che restano, costituiscono fauna protetta dagli schioppi dei cacciatori della domenica. In altri termini, lo scetticismo sulla capacità di creare una cordata credibile che fosse in grado di risollevare dalla polvere i resti dell’Alitalia e rilanciarne marchio, attività e prestigio erano tanti e stanno trovando conferma negli sviluppi della trattativa tra la CAI, la mitica cordata tutta italiana di salvataggio e le parti sociali su esuberi e condizioni salariali. Non c’è infatti uno straccio di piano industriale che faccia capire le ragioni per le quali si dovrebbe trattare su un numero di esuberi di oltre tremila persone e su riduzioni salariali per il personale superstite che dovrebbero aggirarsi intorno al 30% del’attuale retribuzione. Sì, perché tra squallidi colpi di teatro intimidatori e al limite del ricatto e minacce concretizzatesi con il commissariamento della Compagnia, la roulette russa sugli esuberi continua e c’è chi parla di 2000 anime, mentre voci più attendibili di seri analisti del comparto prevedono, sulla base delle intenzioni di ridimensionamento desunte dalle scarse informazioni sul progetto CAI, un’ecatombe vicina alle 7000 persone. Di certo questi numeri hanno fatto infuriare il Capo del Governo, preoccupato di perdere la faccia con il proprio elettorato se l’ammontare degli esuberi finali non fosse al di sotto di quello individuato nel corso della fallita trattativa con Air France e qualora per gli stessi non fosse individuata un’alternativa di reimpiego. Altrettanto certa appare la tignosa ostinazione dl pool di salvataggio al taglio dei salari dell’organico superstite, che, come in ogni trattativa che si rispetti, è considerato il cancro dei conti Alitalia.
La vicenda Alitalia è una delle storie più squallide di questo altrettanto squallido Paese. Una storia fatta di immondi rapporti incestuosi tra politica e sindacato che si è trascinata nel tempo sino a questo epilogo immorale, in cui una buona parte del “capitalismo straccione” – come D’Alema definì l’imprenditoria di casa nostra qualche anno fa - , blandito dagli ammiccamenti del pavone Berlusconi, ha percepito la possibilità di realizzare l’ennesimo affare, portandosi a casa il nome di un’azienda nota in tutto il mondo con quattro spiccioli ed accollando all’erario il pagamento dei debiti pregressi del vettore di bandiera. Quest’indirizzo è più che palese, dalle intenzioni del signor Toto, patron di quell’AirOne che, nel suo piccolo ha in rapporto più debiti di quanto non né abbia l’Alitalia, e che già escluso dall’asta precedente per l’inconsistenza della sua offerta, s’è ringalluzzito per la possibilità di rientrare in gara ed ha avanzato la proposta di sottoscrivere quasi un terzo del capitale della CAI non con danaro sonante, ma con un equivalente conferimento di non meglio specificato ramo d’azienda: cosa intenda conferire rimane un mistero, visto che i suoi aerei, cioè l’unico asset di un vettore aereo, sono in leasing e, dunque, non pare possieda altri cespiti di valore. C’è da credere che la proposta celi il disegno di trasferire alla bad company nella quale dovrebbero confluire i debiti della moribonda Alitalia gran parte delle passività di AirOne, che in questo modo si ritroverebbe come per incanto completamente affrancata.
Analoghe considerazioni possono farsi per giustificare la partecipazione del signor Benetton al progetto, che da anni fa shopping nel settore dei trasporti (stazioni ferroviarie, autostrade ed autogrill, aeroporti di Venezia, Torino, Firenze) che avrà valutato come intrufolandosi nel capitale della nuova compagnia possa tornargli utile nel momento in cui, guarda caso, la stessa dovrà servirsi dei suoi aeroporti. Il signor Aponte, napoletano di Ginevra e patron di quella MSC che opera nel trasporto marittimo di container e nella crocieristica di lusso, giura invece che il suo interesse al progetto è motivato dalla possibilità di sviluppare ampie sinergie tra il suo business e quello aeronautico, sinergie che, con ogni probabilità, sono nelle prospettive dello scooterista ed ex telefonico Colaninno, emerito signor nessuno arricchitosi grazie alle regalie ricevute dal governo D’Alema con la privatizzazione della Telecom. Tra i volti noti dell’operazione c’è anche un certo signor Ligresti, palazzinaro di lungo corso ed assicuratore consolidato, che molto per caso si è aggiudicato la maggior parte dei progetti di riqualificazione cementizia dell’area ex fiera di Milano, quella Milano feudo del suo rappresentante in politica Ignazio La Russa, ministro della difesa del governo in carica e segretario pro tempore di AN, e così coinvolta nelle vicende della moribonda Alitalia.
Ma se questo costituisce il quadro della situazione in corso, non può dimenticarsi che l’Alitalia si trova nelle condizioni in cui è a causa delle politiche scellerate imposte al suo management dai governi che negli anni si sono succeduti, management sicuramente addomesticato, ma non per questo unico responsabile del dissesto della società; management tacciato spesso d’incapacità e incompetenza, ma stretto nella morsa del potere politico ed un sindacato, appoggiato a sua volta dalla politica, che lo ha costretto ad accordi onerosissimi. Giusto per citare qualche brano di storia, chi non ricorda l’epoca Nordio e le imposizioni cui fu soggetto per rinnovare la flotta? Cinquemila miliardi di debiti che hanno segnato il futuro della società. E chi non ricorda l’accordo sulla mobilità del personale al nuovo hub di Malpensa? Uno spreco immane di danaro in trasferte per hostess e piloti che hanno continuato a mantenere la propria sede a Roma.
Il mondo aeronautico, come qualunque settore d’attività industriale, è governato da precise leggi economiche e da sempre è noto che un load factor (indice di riempimento di un aeromobile correlato ai costi di gestione) inferiore al 70-75% rende la gestione di una tratta antieconomica. Alitalia è stata costretta per anni a gestire per volontà politica tratte con un indice del 64-65%, nonostante l’evidente antieconomicità delle stesse. Né è stato sufficiente per contrastare lo sfacelo, che giorno dopo giorno s’ingigantiva, inventarsi formule come il wet leasing su alcune tratte per tenere sotto controllo i costi, dato che le falle erano talmente tante da non poterle essere turate con della semplice stoppa. E, infine, non può essere sottaciuta la scellerata politica di fagocitazione dei mille piccoli concorrenti che nel tempo hanno provato a darle battaglia sui cieli nazionali: ATI, Itavia, Azzurra, Alpi Eagles ed ultima Volare, che, anziché essere abbandonati al loro destino, per imposizione politica sono entrati a far parte del grande calderone Alitalia, con debiti e personale, determinando in modo esponenziale le condizioni per il suo dissesto. Ovviamente tutte queste operazioni, garantite dai trasferimenti del Tesoro alle casse di Alitalia, sono state effettuate non per creare una grande compagnia aerea in grado di reggere la concorrenza secondo i principi dell’economia di scala, ma hanno soddisfatto le mire elettorali dei vari sponsor politici che di volta in volta si sono succeduti al capezzale dei piccoli vettori sull’orlo del fallimento costringendo Alitalia ad intervenire per il loro salvataggio: qualcuno spieghi, perché Volare, con sede a Busto Arsizio, dunque in pieno territorio d’influenza della Lega, coinvolta in incredibili storie giudiziarie e sull’orlo del fallimento sia finita nel calderone del già decotto vettore della Magliana se non con il precipuo intento di ingraziarsi Bossi e soci.
Naturalmente Berlusconi, a cui non difetta l’astuzia populista, come un disco incantato davanti alle critiche o agli scetticismi sul progetto in atto continua a ripetere che si tratta del solito disfattismo comunista, così come sono da imputare alla sinistra i misfatti che nel tempo hanno creato le condizioni per il crack Alitalia. Fortunatamente adesso c’è lui, il grande prestigiatore in grado di cavare conigli dal cilindro a getto continuo. C’è solo da augurarsi che i conigli escano vivi e non affetti da congenite patologie che ne compromettano la salute sin da subito, oltre al fatto che tra di loro non vi sia sotto mentite spoglie uno squalo o un coccodrillo.

(nella foto, Roberto Colaninno presidente della società CAI in predicato di rilevare Alitalia)

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