giovedì, settembre 18, 2008

Le radici del default morale e culturale italiano


Giovedì, 18 settembre 2008
L’onda nera che giorno dopo giorno sembra sovrastare le coscienze degli Italiani ha un nome preciso, Silvio Berlusconi, ed affonda le sue radici nel decadimento morale e culturale del Paese consolidatosi nell’ultimo quindicennio di storia repubblicana.
Correva l’anno 1992 quando un gruppo di giudici della Procura di Milano, avanguardia nella lotta alla criminalità dei colletti bianchi, apriva un capitolo nuovo nella storia giudiziaria del Paese e con una serie concatenata di iniziative metteva in luce quanto da sempre si sapeva e si mormorava nei corridoi a proposito di un sistema di malaffare radicato e largamente diffuso, che coinvolgeva la vita economica e politica. Naturalmente, mentre si sapeva da dove si partiva, era difficile immaginare a quel tempo dove un’indagine su un certo Mario Chiesa avrebbe condotto, così come e nonostante le tante voci, l’opinione pubblica non poteva minimamente sospettare che il cancro, che via via veniva alla luce, potesse coinvolgere personaggi ai vertici della politica e dell’economia nazionale.
E’ superfluo ripercorrere la storia di “mani pulite” e ricordare i nomi altisonanti che in quelle vicende si trovarono coinvolti. E’ molto più istruttivo rammentare che, a parte qualche ladro di galline e qualche carriera politica stroncata prematuramente (Craxi, Goria, Gava, De Lorenzo, Forlani, Previti, giusto per citare qualche nome di rilievo), in realtà le inchieste si chiusero con un sostanziale nulla di fatto e con la disgregazione del pool milanese, la cui credibilità fu minata dal discredito dei tanti mezzi d’informazione al servizio dei potentati occulti, minacciati dalle indagini.
E’ di quegli anni la ormai famosa discesa in campo di Silvio Berlusconi, che spinto, a suo dire, dal desiderio di fornire un contributo politico diretto alla democrazia del Paese, ma in verità motivato dalla necessità di difendersi con ben altri armi che solo quelle avvocatizie dalla decina di inchieste aperte a suo carico, fonda Forza Italia, il partito-azienda, e promuove un fuoco di sbarramento mai visto in una democrazia moderna contro la magistratura e contro gli apparati investigativi che sui suoi poco leciti affari indagano. Nel frattempo, come per miracolo, la Fininvest, società proprietaria dei suoi canali mediatici, che denuncia debiti astronomici, nell’arco dei successivi sei mesi dalla discesa in campo del Tycoon di Arcore e la sua elezione alla guida del governo, risana la situazione di esposizione verso le banche ed inizia una vera e propria opera di disinformazione culturale attraverso Rete Quattro, Canale Cinque e, soprattutto, Italia Uno, che si rivolge al pubblico più giovane e, quindi, più esposto al plagio mediatico.
A rischio di veder travisate le nostre considerazioni in moralismo bigotto, - di cui non siamo portatori né comunque sarebbe nelle nostre intenzioni, - ma con l’obiettivo di rendere palpabile l’analisi, è opportuno condensare la descrizione del bombardamento mediatico percepito cui ci ha sottoposto la televisione berlusconiana dall’esordio dell’ormai mitico Drive In, con l’avvertenza che Berlusconi non è certo l’inventore di questa TV spazzatura e che, in sua assenza, comunque la spazzatura ci sarebbe stata ammannita da qualche altro “benefattore” mediatico, ma è lui che con l’abuso l’ha trasformata in strumento di oppio delle coscienze.
Così i modelli di una società improbabile, fatta di formose signorine disponibili e ammiccanti, di belle auto, di gadget tecnologici tanto desiderabili quanto inutili, di un consumismo deleterio ed effimero, prendono rapidamente piede, forgiando intere generazioni di teen agers alla percezione di un mondo surreale, nel quale l’apparire ha netta supremazia sull’essere e dove anche i rapporti umani, intrisi dei nuovi valori usa e getta, si disgregano implacabilmente. La programmazione di queste emittenti è un’orgia di cinematografia violenta e bullista, di format demenziali, di squallidi sketch spacciati per cultura alternativa, di trasmissioni affidate a coatti manipolatori del sottobosco, di ostentazione sfacciata di apparati anatomico-sessuali ipertrofici, di oscene riprese di dementi rinchiusi in una finta casa a turpiloquiare o a scambiarsi effusioni tali da fare impallidire il mitico Le Ore, di smidollati prezzolati per raccontare le proprie squallide avventure o a caccia di fidanzate e amanti alla corte di quella Maria De Filippi esponente di spicco della cultura mentecatta, e così via, comunque di palese istigazione ad un degrado morale contrabbandato per modernismo dei costumi, ma che, nei fatti, determina uno scenario sociale di riferimento privo di identificazione e prospettiva.
In questa giostra di cosce, glutei, seni prosperosi, ragazze compiacenti e giustizieri impuniti, si è formata più di una generazione di ragazzi, illusa che la vita quotidiana dovesse e potesse essere riprodotta in copia ricalco a quella vista sul piccolo schermo, senza freno morale e, quel che è peggio, in modo acritico e massificato, le cui ambizioni massime avrebbero dovuto sintetizzarsi nello sballo in discoteca e nel rimorchiare la squinzia di turno. Ecco allora promosse a modello di riferimento le orrende visioni che ammorbano le strade metropolitane, pullulanti di risicate mutande sexy che emergono dal girovita, di camicette svogliatamente slacciate su seni acerbi fintamente prosperosi, di braghe con cavalli penzolanti, di scarpe da ginnastica con ammortizzatori tecnologici e antidirapamento, magari indossate da fanciulle con le quali la natura è stata avara e da giovanotti per i quali l’orrido è modello d’eccellenza.
A quest’orda di rincitrulliti, ormai endemici, fa eco la schiera dei rincoglioniti consenzienti, costituita da coloro che affidano esclusivamente al valletto Emilio Fede o a Paolo Liguori l’esclusività della loro informazione sui fatti del mondo. Costoro, affetti da fideismo patologico, grave e persistente, sono usi consegnarsi ai telegiornali di questi signori e non guardano se non occasionalmente notiziari concorrenziali, né leggono un giornale o una rivista, almeno per sottoporre a verifica ciò che hanno già sentito. Sono come chiusi dentro una scatola, nella quale fanno rapidamente ritorno quando raramente sollevano il coperchio, seriamente convinti che ciò che hanno visto o udito nel venirne fuori non può che esser frutto di una controinformazione di stampo comunista, e per questo falsa e distorcente la verità; - qualcuno di nostra conoscenza ebbe tempo fa a dichiarare con fierezza che a suo giudizio l’informazione più seria era quella di Striscia la Notizia, meritevole di additare al pubblico ludibrio i malfattori e le vessazioni cui soggiace giornalmente il cittadino. In quanto alla politica, è cosa sporca di per sé e, certamente, non vale la pena perdere il proprio tempo per sentirsi raccontare valanghe di insulse bugie.
Pur nel rispetto delle altrui vocazioni, che se non può vietare di far critica non può parimenti imporre condivisione, ciò che da questo quadro desta più di qualche preoccupazione è il fatto che questa fauna costituisce di fondo la base del consenso elettore di Berlusconi e che l’Italia del terzo millennio sia ormai in una sorta di irreversibile deriva etico-culturale, che per “necessità” ha contaminato anche la cosiddetta opposizione, costretta a misurarsi con un avversario con il quale non ha alcuna affinità di retroterra, ma che la costringe a scendere su un terreno di confronto con il quale non ha dimestichezza. Questa mancanza di praticantato populista la rende timorosa ed esposta agli attacchi dell’avversario, che non tralascia alcuna occasione per tacciare di comunismo retrò o di ossessione anti berlusconiana ogni iniziativa messa in campo per arginare lo strapotere del Cavaliere o per riconquistare consensi. Questa debolezza congenita, che sfocia talora in pavido autolesionismo, non ha d’altra parte consentito di varare alcun provvedimento legislativo contro il conflitto d’interessi durante il governo delle sinistre, con il risultato che oggi ci ritroviamo in sella un Berlusconi ringalluzzito e forte di uno strapotere conquistato per demerito degli avversari più che per merito proprio.
Il PD di Veltroni, che obtorto collo è rimasto l’unico faro nella nebbia fitta calata dopo lo storico ridimensionamento della sinistra, è sempre più incapace di esercitare un ruolo di contrapposizione allo strapotere rappresentato dal neoperonismo di Berlusconi, così chiuso nel suo autoreferenzialismo egemonico e così intento ad impartire eleganti lezioni cattedratiche di collaborazionismo costruttivo, dimentico che l’opposizione si esercita nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle università, dove quotidianamente si concretizzano le violente sopraffazioni di un regime che sta dimostrandosi non conservatore ma profondamente reazionario, arrogante e nostalgico di un autoritarismo ai più ormai sconosciuto.
Il progetto della presumibilmente estinta P2, - di cui Berlusconi costituiva membro organico, - appare sempre più in corso di realizzazione e perfezionamento, grazie ad un sistema politico nel quale è presente un partito unico di governo, forte e largamente sostenuto dal consenso popolare, che gestisce con mano ferrea i gangli della vita pubblica, stabilendo persino chi dovrà occupare le liste elettorali e rappresentare i cittadini, che perpetra una guerra sordida per addomesticare sindacato e dissenso, forte dell’imponente concentrazione nelle sue mani dell’informazione mediatica, della leadership dell’economia e della finanza e del presidio invasivo delle istituzioni.
Un’opposizione che sia incapace di percepire questa realtà sostanziale e si fermi alla superficie, che consideri il suo compito istituzionale esaurito nell’espressione del suo dissenso nei salotti culturali, dimentica che le battaglie per la democrazie e la libertà si giocano con tutti i mezzi, anche con il costante richiamo alla dura contestazione di piazza, non può che essere fallimentare ed impone un immediato ricambio organico di leadership che le inoculi la necessaria vitalità e fermezza.
E’ evidente, dunque, come il certosino lavorio ai fianchi del sistema democratico, perpetrato quasi con scientifica metodologia nell’ultimo quarto di secolo dalle ambizioni mai sopite di forze oscure, di cui Berlusconi è esponente e Gran Maestro, abbia provocato l’inesorabile caduta delle tensioni morali, dell’attenzione e della partecipazione dei cittadini, il cui disgusto per la politica è il sintomo più significativo. L’aver abiurato, poi, principi ideologici incontrovertibili, come l’esistenza di un proletariato e di un sottoproletariato – rappresentato oggi dai milioni di precari sfruttati e dal crescente numero di poveri e disperati che affliggono la nostra società – in nome di un modernismo di maniera e solo per smentire l’immagine maligna su cui ha giocato il populismo conservatore del Cavaliere, ha trasmesso, a coloro che avevano creduto di ottenere il loro riscatto con la sinistra, la definitiva sensazione di esser rimasti orfani ed in balia di un sistema, che ormai li vede solo come un disprezzabile fardello, qualunque sia la colorazione politica.
D’altra parte, è già dai lontani anni ’80 che v’è denuncia dell’incapacità delle sinistre, rimaste arroccate a difesa di nostalgici stereotipi, di percepire le profonde trasformazioni intervenute nel tessuto sociale e nel mondo del lavoro, fatte di nuove professioni e, quindi, di nuove istanze di rappresentanza non più massificabili nell’immagine di una manualità operaia morta da tempo. Questa sinistra cieca e massimalista, incapace di revisionare il proprio ritardo culturale, anziché continuare a concentrare la sua attenzione sul vero avversario di classe, costituito da un capitalismo che mai assumerà un volto umano e che giorno dopo giorno si spersonalizza nella globalizzazione, ha stupidamente allargato il fronte del confronto, individuando in impiegati, tecnici e funzionari un ulteriore nemico da battere, piuttosto che percepire queste categorie emergenti come il risultato dell’inevitabile trasformazione tecnologica delle prestazioni umane ed aggregarle ad una riformulata strategia di lotta di classe. E questo errore, - mentre attecchivano le pratiche manipolatorie e di plagio messe in atto dalla reazione, - ha nel tempo condotto alla definitiva sconfitta di un intero establishment politico. Né il PD attuale sembra avere le credenziali etiche e di guida per ricompattare un tessuto sociale lacerato ed allo sbando.
Difficile prevedere se e come il Paese potrà riallineare il piano inclinato sul quale gravita in pericoloso e inarrestabile scivolamento. Certo è che sino a quando l’autore – o comunque l’acceleratore - di questo processo continuerà indisturbato ad imporre le sue regole, schiacciando i cittadini sotto il suo tallone e nella più completa assuefazione, difficilmente potranno esserci inversioni di tendenza. Né pare ci siano al momento proposte alternative tali da controbilanciare o erodere il consenso che gode. C’è da sperare solo che, in pieno delirio d’onnipotenza, chi ha contribuito in modo determinante a ridurre così il Paese, illudendosi di avere imposto un regime irreversibile, si faccia presto o tardi lo sgambetto da solo e metta in luce le sue perversioni.

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