Berlusconi e la satira: persecuzione o verità?
Lunedì, 19 gennaio 2009
“Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco per que’ pochi scherzucci di dozzina, e mi gabella per anti-tedesco perché metto le birbe alla berlina……..”
Così esordiva Giuseppe Giusti nella famosa Sant’Ambrogio, poesia satirica scritta alla volta del governatore austriaco di Milano, che considerava il poeta toscano un pericoloso agitatore solo perché con la satira esprimeva la sua critica ad un occupazione straniera invisa al popolo e che certamente non brillava per rispetto delle libertà dei cittadini del Lombardo/Veneto.
La satira è sempre stata una forma libera ed assoluta del teatro, della letteratura e delle arti caratterizzata dall’attenzione critica alla politica, ai fatti di costume ed alla società in genere, di cui mostra le contraddizioni ed intende promuovere il cambiamento. Da sempre si occupa di temi rilevanti, principalmente la politica, la religione, il sesso e la morte (come afferma Daniele Luttazzi), e su questi propone punti di vista alternativi, e attraverso la risata veicola delle piccole verità, semina dubbi, smaschera ipocrisie, attacca i pregiudizi e mette in discussione le convinzioni. Già nell’antica Grecia è stato un pacifico strumento di contrapposizione politica al potere dominante ed ai potentati che lo esercitavano e, per questa ragione, spesso è stata oggetto di persecuzioni anche violente e repressive dei soggetti destinatari, che non hanno gradito queste forme di censura ai loro comportamenti. E sebbene siano trascorsi innumerevoli secoli, ancora ai nostri giorni la satira rimane uno strumento non gradito al potere, che vi vede una sorta di sistematica smentita della propria autorevolezza e della propria legittimità ad operare. V’è infine un aspetto peculiare di questa contrapposizione tra potere e satira: maggiore è la tendenza del potere all’autoritarismo, all’autoreferenzialità, maggiore è il pungolo satirico e di più elevata intensità è la reazione repressiva, talora scomposta, di chi della satira diviene bersaglio.
A questa logica, ovviamente, non sfugge il nostro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che, tra l’altro, possiede doti innate di alimentatore di una satira spesso pesante ed impietosa, causa la personale propensione ad abusare del potere attribuito al suo ruolo, un culto della personalità al di fuori del comune, un linguaggio sovente crudo ed a metà strada tra l’altezzoso e l’offensivo, un eccesso di autostima sperticata e priva del minimo senso di nobile umiltà. Queste caratteristiche, abbinate ad una concezione della politica assai discutibile e fortemente incentrata sull’esagerata difesa dei suoi interessi privati, sull’automagnificazione dell’immagine e sul sostanziale disprezzo per le regole della democrazia ed il rispetto di avversari ed oppositori, lo rendono un soggetto privilegiato per la critica pungente ed il costante bersaglio di un’ironia, cui comunque, per il ruolo, sarebbe in ogni caso difficile sottrarsi. Ha poi il personaggio una naturale tendenza ad una comicità spesso esagerata e fuori luogo, non sempre adeguata per un capo di governo, che si estrinseca in gestualità e battute dal vago sapore da caserma, alle quali più che ilarità e sorrisi, seguono senso di imbarazzo che coinvolge l’intera comunità che si fregia di rappresentare.
Le caratteristiche sopra ricordate non consentono a Berlusconi di percepire la critica come la molla di un cambiamento necessario a conferirgli quell’autorevolezza che rivendica per sé ed i suoi ministri, ma divengono il movente per sferrare attacchi scomposti ai media, colpevoli di infarcire "i programmi di seconda serata di cose contro di me e di chi si impegna allo stremo per il bene del paese”. Una situazione che, a suo avviso "non accade in alcun paese civile del mondo". E racconta: "Ieri un comico in tv mi ha messo a fianco di Brunetta, ma io sono alto un metro e 71, e non mi sono mai sentito piccolo...". Insomma, la satira in tv "approfitta di qualunque situazione per darci uno sputo in faccia (a lui e il suo governo, ndr)".
Certo, dimenticare di indossare scarpe con il rialzo per apparire più alto, farsi rifare la pelata per celare la calvizie, essersi fatto tirare il volto per apparire con qualche anno in meno, pretendere una calza sull’obiettivo delle telecamere che lo riprendono per addolcire qualche ruga che gli segna il volto, scardinare le regole democratiche facendo approvare leggi a suo uso e consumo, approfittare del proprio potere per favorire gli affari delle sue aziende, emanare diktat dittatoriali per liberarsi di avversari scomodi e tante altre cose di cui sono infarcite le biografie del personaggio, non sarebbero elementi sufficienti a fornire il classico cappuccino nel quale inzuppare il biscottino di chi della satira fa il proprio mestiere, ma sarebbero solo piccole debolezze innocenti, omaggi alla propria vanagloria sui quali bisognerebbe tacere in ossequio al riconoscimento che ciò che lui fa è comunque esempio di perfezione e di giustezza al di fuori da censura.
E se questo assunto non fosse sufficiente a smorzare una critica ed una satira comunque fastidiose ancorché immotivate secondo il suo punto di vista, allora è opportuno intervenire anche con gli strumenti di amministrazione della giustizia per ricondurre sulla retta via i detrattori irriducibili, magari con qualche leggina ad hoc che tuteli la sua immagine e taccia sulle sue magagne, in una concezione dello stato e dell’esercizio del potere tale da far impallidire persino la monarchia di Luigi XIV.
Ed in quanto all’affermazione secondo la quale non vi sarebbe un Paese al mondo in cui un capo di governo, un potente, sarebbe nel mirino degli sberleffi di tanti detrattori, è vero l’esatto contrario, salvo che il mondo al quale fa riferimento Berlusconi non sia costituito da quei Paesi nei quali la liberta d’espressione è più un concetto filosofico che non un esercizio effettivo, e di cui sembra avere profonda nostalgia. Vi sono Paesi, dall’Inghilterra alla Francia agli Stati Uniti, nei quali la satira ha pieno diritto di cittadinanza e non è certo oggetto di vituperio da parte dei suoi bersagli. Più semplicemente, in quelle realtà non vi è il vezzo di interpretare la satira anche feroce a guisa di strumento di propaganda politica o di metterle il bavaglio denunciando un improbabile fumus persecutionis. E’ una questione di civiltà alla quale Berlusconi non sembra molto avvezzo.
“Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco per que’ pochi scherzucci di dozzina, e mi gabella per anti-tedesco perché metto le birbe alla berlina……..”
Così esordiva Giuseppe Giusti nella famosa Sant’Ambrogio, poesia satirica scritta alla volta del governatore austriaco di Milano, che considerava il poeta toscano un pericoloso agitatore solo perché con la satira esprimeva la sua critica ad un occupazione straniera invisa al popolo e che certamente non brillava per rispetto delle libertà dei cittadini del Lombardo/Veneto.
La satira è sempre stata una forma libera ed assoluta del teatro, della letteratura e delle arti caratterizzata dall’attenzione critica alla politica, ai fatti di costume ed alla società in genere, di cui mostra le contraddizioni ed intende promuovere il cambiamento. Da sempre si occupa di temi rilevanti, principalmente la politica, la religione, il sesso e la morte (come afferma Daniele Luttazzi), e su questi propone punti di vista alternativi, e attraverso la risata veicola delle piccole verità, semina dubbi, smaschera ipocrisie, attacca i pregiudizi e mette in discussione le convinzioni. Già nell’antica Grecia è stato un pacifico strumento di contrapposizione politica al potere dominante ed ai potentati che lo esercitavano e, per questa ragione, spesso è stata oggetto di persecuzioni anche violente e repressive dei soggetti destinatari, che non hanno gradito queste forme di censura ai loro comportamenti. E sebbene siano trascorsi innumerevoli secoli, ancora ai nostri giorni la satira rimane uno strumento non gradito al potere, che vi vede una sorta di sistematica smentita della propria autorevolezza e della propria legittimità ad operare. V’è infine un aspetto peculiare di questa contrapposizione tra potere e satira: maggiore è la tendenza del potere all’autoritarismo, all’autoreferenzialità, maggiore è il pungolo satirico e di più elevata intensità è la reazione repressiva, talora scomposta, di chi della satira diviene bersaglio.
A questa logica, ovviamente, non sfugge il nostro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che, tra l’altro, possiede doti innate di alimentatore di una satira spesso pesante ed impietosa, causa la personale propensione ad abusare del potere attribuito al suo ruolo, un culto della personalità al di fuori del comune, un linguaggio sovente crudo ed a metà strada tra l’altezzoso e l’offensivo, un eccesso di autostima sperticata e priva del minimo senso di nobile umiltà. Queste caratteristiche, abbinate ad una concezione della politica assai discutibile e fortemente incentrata sull’esagerata difesa dei suoi interessi privati, sull’automagnificazione dell’immagine e sul sostanziale disprezzo per le regole della democrazia ed il rispetto di avversari ed oppositori, lo rendono un soggetto privilegiato per la critica pungente ed il costante bersaglio di un’ironia, cui comunque, per il ruolo, sarebbe in ogni caso difficile sottrarsi. Ha poi il personaggio una naturale tendenza ad una comicità spesso esagerata e fuori luogo, non sempre adeguata per un capo di governo, che si estrinseca in gestualità e battute dal vago sapore da caserma, alle quali più che ilarità e sorrisi, seguono senso di imbarazzo che coinvolge l’intera comunità che si fregia di rappresentare.
Le caratteristiche sopra ricordate non consentono a Berlusconi di percepire la critica come la molla di un cambiamento necessario a conferirgli quell’autorevolezza che rivendica per sé ed i suoi ministri, ma divengono il movente per sferrare attacchi scomposti ai media, colpevoli di infarcire "i programmi di seconda serata di cose contro di me e di chi si impegna allo stremo per il bene del paese”. Una situazione che, a suo avviso "non accade in alcun paese civile del mondo". E racconta: "Ieri un comico in tv mi ha messo a fianco di Brunetta, ma io sono alto un metro e 71, e non mi sono mai sentito piccolo...". Insomma, la satira in tv "approfitta di qualunque situazione per darci uno sputo in faccia (a lui e il suo governo, ndr)".
Certo, dimenticare di indossare scarpe con il rialzo per apparire più alto, farsi rifare la pelata per celare la calvizie, essersi fatto tirare il volto per apparire con qualche anno in meno, pretendere una calza sull’obiettivo delle telecamere che lo riprendono per addolcire qualche ruga che gli segna il volto, scardinare le regole democratiche facendo approvare leggi a suo uso e consumo, approfittare del proprio potere per favorire gli affari delle sue aziende, emanare diktat dittatoriali per liberarsi di avversari scomodi e tante altre cose di cui sono infarcite le biografie del personaggio, non sarebbero elementi sufficienti a fornire il classico cappuccino nel quale inzuppare il biscottino di chi della satira fa il proprio mestiere, ma sarebbero solo piccole debolezze innocenti, omaggi alla propria vanagloria sui quali bisognerebbe tacere in ossequio al riconoscimento che ciò che lui fa è comunque esempio di perfezione e di giustezza al di fuori da censura.
E se questo assunto non fosse sufficiente a smorzare una critica ed una satira comunque fastidiose ancorché immotivate secondo il suo punto di vista, allora è opportuno intervenire anche con gli strumenti di amministrazione della giustizia per ricondurre sulla retta via i detrattori irriducibili, magari con qualche leggina ad hoc che tuteli la sua immagine e taccia sulle sue magagne, in una concezione dello stato e dell’esercizio del potere tale da far impallidire persino la monarchia di Luigi XIV.
Ed in quanto all’affermazione secondo la quale non vi sarebbe un Paese al mondo in cui un capo di governo, un potente, sarebbe nel mirino degli sberleffi di tanti detrattori, è vero l’esatto contrario, salvo che il mondo al quale fa riferimento Berlusconi non sia costituito da quei Paesi nei quali la liberta d’espressione è più un concetto filosofico che non un esercizio effettivo, e di cui sembra avere profonda nostalgia. Vi sono Paesi, dall’Inghilterra alla Francia agli Stati Uniti, nei quali la satira ha pieno diritto di cittadinanza e non è certo oggetto di vituperio da parte dei suoi bersagli. Più semplicemente, in quelle realtà non vi è il vezzo di interpretare la satira anche feroce a guisa di strumento di propaganda politica o di metterle il bavaglio denunciando un improbabile fumus persecutionis. E’ una questione di civiltà alla quale Berlusconi non sembra molto avvezzo.
E’ di queste ore la notizia di un significativo calo del gradimento del governo (circa il 4%) e del suo premier (circa 2%) presso l’elettorato, calo che sarebbe interpretato come l’inizio di un’inversione di tendenza del consenso degli Italiani verso una compagine politica che, nei fatti, ha realizzato ben poco per risolvere i problemi veri, ma ha fatto solo tanto fumo e tante chiacchiere improduttive, sull’orma di tanti governi precedenti. La responsabilità di questo risultato sarà da attribuire all’opera di qualche Giuseppe Giusti di turno o, piuttosto, all’insulsaggine dell’azione di governo del Grande Imbonitore?
(nell'immagine, il poeta Giuseppe Giusti in una stampa d'epoca)
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