domenica, ottobre 25, 2009

Fai ciò che dico non ciò che faccio


Domenica, 25 ottobre 2009
Ormai è un inferno. Tra escort, travestiti, trasessuali, spacciatori di droga, ladri, affaristi, raccomandati e raccomandanti, mafiosi e collusi con la mafia, c’è una tale fauna d’umanità ad infestare le istituzioni che le vicende di Clinton o di qualche ministro inglese del passato sembrano storielline da libro Cuore o sceneggiature per un film natalizio della Disney.
E’ dall’inizio di tangentopoli, da quando gregari e corruttori si sono sostituiti a corrotti e politici di lungo corso, che il paese è piombato nello sfracello etico e morale più nero, come non se n’erano più visti dai tempi della caduta dell’impero romano.
Di una classe dirigente così squallida, così meschina e volgare, così scopertamente dedita a farsi i fattacci propri, - quelli laidi e più vomitevoli, però, - non c’è traccia in tutta la storia recente dell’occidente evoluto. Non ve n’è traccia anche nella storia meno democratica di certi paesi del quarto mondo, nei quali c’è sicuramente stato qualche esempio di ributtante governante dedito allo stupro, alla pedofilia, al ladrocinio e pratiche esecrabili affini, ma queste porcherie, additate peraltro al mondo come esempio di un sottosviluppo morale endemico, coinvolgevano il tirannello di turno, non certo un’intera classe politica di governo e d’opposizione.
L’Italia, sedicente maestra di cultura nel mondo, ha oramai anche il primato di rappresentarsi come il paese nel quale i vizietti più aberranti sono divenuti cultura dominante e, addirittura, nulla osta generalizzati per quanti rivestano cariche istituzionali.
Così abbiamo presidenti puttanieri, spacciati al culmine della demenzialità linguistica per “consumatori finali”, con l’aggiunta di qualche debolezza per giovanette di primo pelo, oltre che plurinquisiti per reati gravissimi di corruzione, evasione e altre amenità varie; presidenti di regione con vizietti sessuali poco edificanti; ministri che hanno giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione e che poi fomentano il separatismo e bruciano la bandiera nazionale; membri del governo in odore di droga; parlamentari collusi con la mafia; rappresentanti dell’italico onore nelle istituzioni europee, accusati di reati aberranti, ma collocati in quei posti solo per sfuggire ai rigori della legge applicata solo ai comuni cittadini, e via discorrendo. Personaggi che, fosse ancora vivo quel tale Alighieri da Firenze, avrebbero sicuramente ingolfato bolge e gironi, al punto da suggerire l’autore di quella Commedia di sdoganare qualche disgraziato lì collocato per l’inconsistenza del reato e per far posto a questi neofiti del malaffare.
Certamente, chi invoca rispetto per la propria vita privata e per le debolezze di cui è portatore, ha pienamente ragione, specialmente se queste debolezze nulla hanno a che vedere con l’esercizio della sua carica istituzionale. E in virtù di tale principio nulla si sarebbe dovuto eccepire all’onorevole Cicciolina, al secolo Ilona Staller, qualche hanno fa o all’onorevole Vladimir Luxuria: erano, prima ancora che parlamentari della Repubblica, personaggi con un trascorso trasparente, che non collideva certo con il mandato ricevuto. Analogamente, nulla vi era di rilevante nel comportamento dell’onorevole Sircana, già portavoce del governo Prodi, per il fatto che amasse accompagnarsi a travestiti o prestatori di sessualità a pagamento.
Ciò che non può essere tollerato è che il controvalore di una prestazione sessuale si traduca in un seggio al parlamento o in un incarico pubblico al quale avrebbe certamente diritto anche chi non s’è abbassato i calzoni o sollevato la gonna.
Allo stesso modo, non è ammissibile che le istituzioni divengano paravento di ogni malefatta: chiunque si sia reso responsabile di reati accertati con sentenza passata in giudicato non deve godere dell’eleggibilità, che annulla di fatto la comminazione della pena. Se poi tali reati sono particolarmente gravi, come quelli di associazione mafiosa, allora l’ineleggibilità deve operare in via immediata, anche se la sentenza di definitiva condanna non sia ancora intervenuta.
Sebbene queste elementari considerazioni possano sembrare ovvie, nel nostro sistema politico, affetto da una sindrome di garantismo esasperato, non riescono a trovare alcuna applicazione. In primo luogo perché il carrierismo politico è fondato su meccanismi che tendono a generare comportamenti devianti dal rispetto delle leggi comuni e, secondariamente, perché la politica è vissuta come un pass par tout che pone al di sopra della legge ordinaria. Le stesse vicende che hanno coinvolto l’attuale premier dimostrano come l’utilizzo della politica sia speso strumentale alla garanzia di impunità, impunità che trascende sino al punto da consentire d’invocare provvedimenti di legge che esimano da ogni indagine colui che occupi posizione di rilevanza istituzionale.
Questa modalità di amministrare a proprio esclusivo tornaconto la legge e la cosa pubblica in generale è il sintomo di una barbarie straordinaria, che non può meritare alcun avallo né comprensione. Parimenti, provvedimenti in questa direzione provvedimenti legislativi di impunità o di divieto di censura non possono trovare giustificazione nella presunta maggiore esposizione della politica agli attacchi di avversari senza scrupoli.
La politica, vissuta com’è nell’era moderna, come una professione a pieno titolo deve necessariamente implicare un rischio non diverso da quello a cui si espone chi gestisce una qualunque intrapresa: suonerebbe bislacca, - per fare un esempio, - la rivendicazione di un qualunque imprenditore di leggi che lo pongano al riparo da eventuali accertamenti su presunta evasione fiscale solo per il fatto presunto di non godere della simpatia dei concorrenti.
Vi è infine una questione che rende, - in questo caso sicuramente, - peculiare l’esercizio della politica. Ed è la questione della rettitudine morale ed etica che deve ispirare il comportamento di chi sia chiamato a gestire il bene pubblico. E fino a quando il vecchio concetto sull’obbligo della moglie di Cesare di essere più virtuosa del proprio marito, la cui virtù si assume indiscussa, non sarà metabolizzato dai nostri politici (non nel senso in cui secondo Plutarco la frase fu pronunciata dallo stesso Giulio cesare in tribunale, ndr), non vi potrà essere nei fatti né serietà della politica né rispetto per l’esercita.
Ma come dice un anonimo sul web, la cosa che desta più sconcerto è “il fatto che dopo un’esperienza secolare di queste schifezze c’è ancora chi va a votare per mandare al potere chi glielo mette in culo!” (www.contrappunto.org/culturaecreatività/lamogliedicesare.html)
(nella foto, Pietro Marrazzo, presidente della regione Lazio, coinvolto in un caso di transessuali)

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