venerdì, settembre 04, 2009

Il sonno della ragione genera mostri

Mercoledì, 2 settembre 2009
Che il personaggio fosse pericoloso come un aspide era noto, ma che potesse giungere al punto di utilizzare gli stessi metodi che da sempre dichiara di condannare perché figli, a suo dire, di una cultura comunista portatrice di falsità cruente, pare del tutto fuori misura e la dice lunga sul grado di nevrosi che lo tormenta ormai senza tregua alcuna.
Così, con metodo da Lubianka, probabilmente appreso dalle frequentazioni con Putin, bieco personaggio privo di ogni scrupolo, sguinzaglia il suo truce giannizzero Feltri alla ricerca di elementi diffamatori ai danni di Dino Boffo, direttore de L’Avvenire, reo di aver dato spazio sul suo giornale alle notizie sui festini con minorenni e signorine dalla molto dubbia moralità.
Poco rileva che nell’arco di ventiquattr’ore la notizia sulle marachelle sessuali di Boffo pubblicata dal velenoso foglio del velenoso Feltri si riveli una bufala colossale. Lo scandalo è in atto e, qual che più conta, è definitivamente rotto ogni rapporto con la Santa Sede e le sue alte sfere, che non esitano in difesa di Boffo a parlare di attacco «sconsiderato e vergognoso», costringendo persino il Papa, Benedetto XVI in persona, a dichiarare appoggio e solidarietà al direttore de L’Avvenire.
La stampa estera poi non perde l’occasione per stigmatizzare il comportamento del nostro eroe, al punto che il prestigioso Times, a firma del professor James Walston, sente il dovere di commentare: «Stavolta il premier italiano ha esagerato, mordendo più di quello che poteva digerire: la Chiesa cattolica e una coalizione di giornali italiani e stranieri sono troppo anche per lo smisurato ego di Berlusconi». L'articolo ricostruisce gli ultimi sviluppi, la denuncia per diffamazione contro Repubblica e vari organi di stampa internazionali, l'attacco del Giornale di Feltri al direttore dell'Avvenire, le crescenti tensioni tra il Vaticano e il capo del governo, e i precedenti mesi di rivelazioni e polemiche, la richiesta di divorzio di Veronica Lario, le serate con veline ed escort a Villa Taverna e Palazzo Grazioli. In un mondo più semplice e diretto, Berlusconi avrebbe dovuto dimettersi già da tempo, afferma l'editorialista del Times. «Ma egli è la risposta dell'Europa al Chavez del Venezuela, un populista che alternativamente minaccia e seduce per conquistare il potere e smantellare ogni tipo di opposizione».
Analogo trattamento di sprezzante censura gli riserva la Repubblica per mano del suo direttore Ezio Mauro, accusato, - non si sa bene con quale nesso rispetto ai fatti di cui il Cavaliere è accusato, tranne quello probabile di diffamare l’avversario, - di essere un evasore fiscale al soldo di un editore svizzero, che il duro e puro presidente del consiglio di questa repubblica dei datteri (le banane sono frutto troppo nobile per lui!) ha deciso di citare in giudizio con riferimento alle ormai famose domande rivoltegli dal quotidiano e rimaste senza risposta.
Naturalmente al signor Mauro l’onere di dimostrare la falsità delle accuse del premier e ai cittadini l’onere di registrare una querelle degna del peggior mercato ortofrutticolo nella quale l’ex unto del Signore pare trovarsi a proprio agio.
La cosa sconcertante è il dover prendere atto della disperazione di un uomo che oltre alla dignità sembra aver perso persino il senso minimo della ragione, nella vana speranza che lo spargere letame in ogni dove come le mosche ai danni degli avversari possa in qualche modo fargli riguadagnare la fiducia e la simpatia di chi si era illuso che il voto concessogli potesse rappresentare una svolta per l’Italia verso un modernismo europeista e occidentale.
In verità con Berlusconi il paese ha sì subito una svolta, ma più che di svolta si è trattato di un’inversione a 180 gradi, con un ritorno ad una sorta di medio evo dei rapporti umani, delle regole civili e dei metodi di governo della cosa pubblica che nessuno avrebbe mai immaginato. Un uomo che ha asservito una stampa e una televisione già inclini al servilismo e che ha messo il bavaglio alle rare voci di dissenso, talvolta con veri e propri messaggi ricattatori e intimidatori. Un uomo che non ha esitato a piegare il parlamento affinché gli confezionasse leggi ad personam e salvacondotti contro le vere e le presunte malefatte. Un uomo che accecato dal potere e dall’ambizione ha creduto persino di poter distribuire impunemente seggi parlamentari a sgualdrine di professione e aspiranti tali. Un uomo al confronto del quale le sprezzanti efferatezze di Luigi XIV, quello che si personificava con lo stato, appaiono semplici marachelle se non addirittura virtù.
Non v’è dubbio alcuno che in qualunque paese democratico vero, non certo di quelli balcanici ai quali si ispira il personaggio, un elemento così sarebbe stato già da tempo rispedito a casa a furor di popolo. Nel caso italiano, come è stato dimostrato più volte dalla storia, per liberarci di questi ducetti in saldo di fine stagione abbiamo bisogno dello straniero, dell’indignazione dei vicini di casa che mal tollerano ai loro confini la presenza di un piccolo prepotente deciso a condizionare non solo la nostra esistenza ma anche le regole della cooperazione internazionale con minacce, davanti alle critiche, di bloccare persino i meccanismi di funzionamento dell’Unione Europea.
Davanti a questo spettacolo che travalica il senso dello squallore non c’è che da augurarsi una presa di coscienza dei cittadini, che si rendano finalmente conto che il buio in cui si è caduti con l’era Berlusconi è un tunnel da cui è indifferibile uscire per non restare soffocati.
(nella foto, Vittorio Feltri, direttore del il Giornale, e Dino Boffo, direttore de L'Avvenire)

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