La nuova marcia su Roma di un premier disperato
«Si sono messi in testa di farmi fuori, dobbiamo rispondere! »
Mancava solo un muscoloso “Ehia, ehia, alalà” e poi il quadro sarebbe stato completo.
A fare infuriare il Cavalier Viagra è stata la concomitanza della sentenza sul lodo Mondadori, che condanna le sue aziende ad un risarcimento di 750 milioni a favore della CIR, e la pronuncia di illegittimità della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, che ha demolito il castello di cartapesta in cui ha creduto di potersi asserragliare per sfuggire alle maglie della giustizia. In più, il 3 ottobre scorso aveva dovuto subire l’onte della contestazione di piazza, - e che piazza!, - con una partecipazione così numerosa come non se ne vedeva da tempo in difesa della libertà d’informazione, quell’informazione che vorrebbe prona e pedissequa al suo delirante potere assoluto.
Allora cosa pensa di fare il democratico Berlusconi? Come conviene in queste circostanze a chi ritiene che il potere competa a colui che è in grado di esibire appendici più voluminose dell’avversario, medita di chiamare a raccolta federali e balilla per organizzare una contro-manifestazione, per contarsi, per mostrare i muscoli e far veder da che parte sta il popolo, - poco rileva che il sapore dell’iniziativa vada otre la nostalgia del ventennio e ricalchi uno stile sudamericano di dubbio gusto.
Contemporaneamente lancia proclami da Palazzo Grazioli, a tiro di schioppo da piazza Venezia, e incita il popolo con vaneggianti deliri sulla persecuzione cui sarebbe sottoposto.
«Sono sempre stato assolto. Due volte ho avuto la prescrizione, che non è una condanna. Sono l'uomo politico più perseguitato di tutta la Storia, di tutte le epoche del mondo, con 2500 udienze. Non sono comunque impensierito. Ho tutte queste cause perché sono presidente del Consiglio e rappresento un argine alla sinistra in Italia. I processi di Milano sono autentiche farse. Andrò in tv e lo spiegherò agli italiani. Vogliono sovvertire il voto degli elettori».
Naturalmente, finge di non capire le ragioni di coloro che da anni insistono sul fatto che, se non avesse nulla da temere, allora dovrebbe sedersi davanti ai magistrati e attendere, come qualunque cittadino con risorse economiche largamente inferiori alle sue e qualche grado di potere in meno che la verità e la giustizia trionfi, piuttosto che nascondersi dietro i paraventi di una sospettosa ricerca d’impunità ad ogni costo.
A dargli manforte, ovviamente, tutta la schiera dei promoter della sua immagine, prontamente ascesa in campo a rilasciare ridicole dichiarazioni su presunte sentenze politiche dei giudici costituzionali e manovre ordite ad arte, per costringere il loro capo alle dimissioni dall’incarico di capo del governo.
Lo stesso presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ormai si annovera nella lista dei traditori della causa berlusconiana, nel prendere atto delle determinazioni della Corte Costituzionale, ha invitato il presidente del consiglio al rispetto della sentenza di incostituzionalità del lodo Alfano e ad attenersi alle regole normative valide per tutti i cittadini della Repubblica.
Su altro fronte, ultime in ordine di comparizione, tuona Antonio Martino, ex ministro della difesa nel precedente governo Berlusconi, che sottolinea come la politicizzazione della sentenza di illegittimità costituzionale traspaia dalla pretestuosa considerazione che una legge costituzionale, - come quella che preveda l’immunità delle alte cariche delle istituzioni, - non possa essere promulgata con una legge ordinaria (sic!). Né, secondo Martino, con il lodo sarebbe stato leso il principio d’eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione: piaccia o meno il capo del governo, il presidente della repubblica, i presidenti di camera e senato non possono ritenersi comuni cittadini e, - dunque aggiungiamo noi, - possono in pendenza di mandato farsi i cavolacci loro senza timore di conseguenze giudiziarie. Nel caso del premier, poi, che tali cavolacci siano stati fatti addirittura prima di assumere detta carica o che detta carica, unitamente al mandato parlamentare, sia stata l’éscamotage per interporre il diaframma dell’immunità dall’azione della giustizia (evidentemente insufficiente, dato che era stato necessario persino il lodo Alfano), poco rileva e non deve generare il legittimo sospetto che il tutto sia stato costruito ad arte.
Evidentemente non era bastata l’esperienza dell’inutile tentativo di salvare dalle conseguenze della condanna definitiva Previti, per convincere Berlusconi e i suoi boys della spericolatezza dell’iniziativa bocciata ora dalla Corte Costituzionale, così come la disgraziata esperienza del ventennio, preceduta da analoghe premesse e adunate di popolo nessuna traccia deve aver lasciato nella memoria del Cavaliere. C’è da augurarsi, comunque, che almeno piazzale Loreto a lui che è milanese qualcosa rammenti.
Mancava solo un muscoloso “Ehia, ehia, alalà” e poi il quadro sarebbe stato completo.
A fare infuriare il Cavalier Viagra è stata la concomitanza della sentenza sul lodo Mondadori, che condanna le sue aziende ad un risarcimento di 750 milioni a favore della CIR, e la pronuncia di illegittimità della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, che ha demolito il castello di cartapesta in cui ha creduto di potersi asserragliare per sfuggire alle maglie della giustizia. In più, il 3 ottobre scorso aveva dovuto subire l’onte della contestazione di piazza, - e che piazza!, - con una partecipazione così numerosa come non se ne vedeva da tempo in difesa della libertà d’informazione, quell’informazione che vorrebbe prona e pedissequa al suo delirante potere assoluto.
Allora cosa pensa di fare il democratico Berlusconi? Come conviene in queste circostanze a chi ritiene che il potere competa a colui che è in grado di esibire appendici più voluminose dell’avversario, medita di chiamare a raccolta federali e balilla per organizzare una contro-manifestazione, per contarsi, per mostrare i muscoli e far veder da che parte sta il popolo, - poco rileva che il sapore dell’iniziativa vada otre la nostalgia del ventennio e ricalchi uno stile sudamericano di dubbio gusto.
Contemporaneamente lancia proclami da Palazzo Grazioli, a tiro di schioppo da piazza Venezia, e incita il popolo con vaneggianti deliri sulla persecuzione cui sarebbe sottoposto.
«Sono sempre stato assolto. Due volte ho avuto la prescrizione, che non è una condanna. Sono l'uomo politico più perseguitato di tutta la Storia, di tutte le epoche del mondo, con 2500 udienze. Non sono comunque impensierito. Ho tutte queste cause perché sono presidente del Consiglio e rappresento un argine alla sinistra in Italia. I processi di Milano sono autentiche farse. Andrò in tv e lo spiegherò agli italiani. Vogliono sovvertire il voto degli elettori».
Naturalmente, finge di non capire le ragioni di coloro che da anni insistono sul fatto che, se non avesse nulla da temere, allora dovrebbe sedersi davanti ai magistrati e attendere, come qualunque cittadino con risorse economiche largamente inferiori alle sue e qualche grado di potere in meno che la verità e la giustizia trionfi, piuttosto che nascondersi dietro i paraventi di una sospettosa ricerca d’impunità ad ogni costo.
A dargli manforte, ovviamente, tutta la schiera dei promoter della sua immagine, prontamente ascesa in campo a rilasciare ridicole dichiarazioni su presunte sentenze politiche dei giudici costituzionali e manovre ordite ad arte, per costringere il loro capo alle dimissioni dall’incarico di capo del governo.
Lo stesso presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ormai si annovera nella lista dei traditori della causa berlusconiana, nel prendere atto delle determinazioni della Corte Costituzionale, ha invitato il presidente del consiglio al rispetto della sentenza di incostituzionalità del lodo Alfano e ad attenersi alle regole normative valide per tutti i cittadini della Repubblica.
Su altro fronte, ultime in ordine di comparizione, tuona Antonio Martino, ex ministro della difesa nel precedente governo Berlusconi, che sottolinea come la politicizzazione della sentenza di illegittimità costituzionale traspaia dalla pretestuosa considerazione che una legge costituzionale, - come quella che preveda l’immunità delle alte cariche delle istituzioni, - non possa essere promulgata con una legge ordinaria (sic!). Né, secondo Martino, con il lodo sarebbe stato leso il principio d’eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione: piaccia o meno il capo del governo, il presidente della repubblica, i presidenti di camera e senato non possono ritenersi comuni cittadini e, - dunque aggiungiamo noi, - possono in pendenza di mandato farsi i cavolacci loro senza timore di conseguenze giudiziarie. Nel caso del premier, poi, che tali cavolacci siano stati fatti addirittura prima di assumere detta carica o che detta carica, unitamente al mandato parlamentare, sia stata l’éscamotage per interporre il diaframma dell’immunità dall’azione della giustizia (evidentemente insufficiente, dato che era stato necessario persino il lodo Alfano), poco rileva e non deve generare il legittimo sospetto che il tutto sia stato costruito ad arte.
Evidentemente non era bastata l’esperienza dell’inutile tentativo di salvare dalle conseguenze della condanna definitiva Previti, per convincere Berlusconi e i suoi boys della spericolatezza dell’iniziativa bocciata ora dalla Corte Costituzionale, così come la disgraziata esperienza del ventennio, preceduta da analoghe premesse e adunate di popolo nessuna traccia deve aver lasciato nella memoria del Cavaliere. C’è da augurarsi, comunque, che almeno piazzale Loreto a lui che è milanese qualcosa rammenti.
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