lunedì, ottobre 19, 2009

I pentiti e i dissociati della destra


Lunedì, 19 ottobre 2009
Se non si fosse trattato di una pubblica dichiarazione, fatta al convegno organizzato dalla Banca Popolare di Milano alla presenza dei segretari confederali di CGIL-CISL-UIL, ci sarebbe da credere che si sia trattato del solito scoop malevolo ai danni del politico di turno. Ma questa volta non è così. Intanto perché il politico è quel Giulio Tremonti, al quale, com’è noto, piace poco scherzare e, secondariamente, perché la dichiarazione è di quelle sensazionali, al punto da rimettere in discussione anni e anni di politica sociale sostenuta da Forza Italia, prima, e PdL poi e che con ogni probabilità va oltre il senso del dichiarato per preludere ad un radicale cambiamento nell’approccio ai problemi del mercato del lavoro in un imminente futuro.
«Non credo» - ha detto il ministro - «che la mobilità sia di per sé un valore. Per una struttura sociale come la nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale». La globalizzazione ha imposto una flessibilità del lavoro che, secondo Tremonti, «non ha trasformato il quantum di lavoro ma la qualità del lavoro, passato da fisso a mobile. Era forse inevitabile fare diversamente», ma oggi questo modello non è più attuale, quantomeno nella nostra realtà nella quale della flessibilità si è abusato oltre ogni misura: il posto fisso è, dunque, «la base della stabilità sociale».
Se le nuove intuizioni di Tremonti, ministro neanche di second’ordine del governo Berlusconi, sono in questa direzione vi è da credere che le dichiarazioni in questione non resteranno senza risposta. Anzi, è molto probabile che, come è accaduto alcune settimane or sono con le farneticanti sortite di qualche sindacalista in evidente stato confusionale e le prese di posizione leghiste a proposito di una riedizione delle gabbie salariali, non mancheranno le polemiche su quella che appare in tutta evidenza una forte scossa alle certezze confindustriali e ai meccanismi di sfruttamento del lavoro particolarmente giovanile ormai radicatisi nel nostro paese.
E se com’era prevedibile non è mancato il coro di consensi da parte sindacale , anche da quella CISL che fino a ieri ha preferito proprio sui temi della precarietà del lavoro e la stabilizzazione di milioni di giovani ormai alla disperazione rompere l’unità con la CGIL, sul fronte imprenditoriale c’è da aspettarsi una reazione non certo conciliante e disponibile.
Il buon Tremonti sa bene che lo stravolgimento di fronte che propone si ripercuoterà sulla fiducia al governo da parte delle categorie che, sino a questo momento, hanno dissimulato il pieno appoggio alle politiche berlusconiane, traendone profitti enormi, spacciati molto spesso per contributi insignificanti messi in atto per permettere loro di fronteggiare la crisi più dura del nuovo millennio.
Ma è questa conoscenza delle aree nelle quali si annida il consenso al governo di centro-destra e, ciononostante, il lancio di una sfida che lasciano presumere come la fronda anti-Cavaliere stia in realtà lievitando giorno dopo giorno, coinvolgendo non i soldatini e gli indomabili fan, quanto l’ammiragliato della coalizione, sempre più convinto che Berlusconi sia oramai alla frutta e occorre attrezzarsi per rimpiazzarlo riguadagnando la simpatia delle categorie che pur avendo votato per la coalizione attualmente al potere, stanche e disgustate dal trattamento subito ad opera di Prodi e suoi boys di sedicente sinistra, sono state quelle che più duramente hanno pagato il prezzo della crisi.
Anche le sue dichiarazioni in difesa della Carta Costituzionale allo stesso convegno, Costituzione ritenuta «ancora valida», ma «non del tutto applicata», confermano lo spessore dello scontro con un Berlusconi che ancora oggi insiste per una revisione della stessa, per rendere maggiormente “moderno” il ruolo del premier e del governo.
La guerra di successione è tutta aperta e non è certo ancora possibile immaginare chi saranno i vinti e i vincitori. Certo occorre tenere in debito conto l’eventualità che il Cavaliere, stanco della fronda, non si avvalga dei suoi poteri e richieda al Capo dello Stato di mandare tutti a casa, chiedendo agli elettori di esprimere un giudizio sulla sua persona e sulla capacità che ancora ritiene di avere nell’esercitare la leadership di un partito, il PdL, e una coalizione, che giorno dopo giorno sembrano sempre più allo sbando e incapaci di realizzare iniziative che possano ridare allo stuolo crescente di disperati un barlume di speranza.

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