Fango eravamo e fango restiamo
Sabato, 14 novembre 2009
Il copione è stato rispettato ancora una volta. Un nuovo disegno di legge sta per arrivare in parlamento e, com’era stato ampiamente preannunciato, ancora una volta dovrà tentare di salvare il presidente di questa sfasciata repubblica, al secolo Silvio Berlusconi da Arcore, dai processi che lo vedono imputato per reati vari noti al mondo intero.
Ciò che sconvolge in questa vicenda di squallore senza fine non è comunque la pervicacia con la quale l’interessato continua ad insistere nel tentativo. Non è il servilismo lecchino con il quale i suoi accoliti si prestano a questa grottesca farsa che ingessa il parlamento e la vita politica nella trattazione di argomenti che di parlamentare e di politico hanno ben poco. Non è la mancanza di dignità con la quale servi e galoppini prestano il proprio nome a disegni di legge incostituzionali e, di per sé stessi, eversivi delle regole democratiche. E’ l’indifferenza allucinante con la quale il popolo assiste inerte al massacro delle istituzioni e alla violenza che viene esercitata sulla Carta costituzionale, quella Carta che, se solo trovasse una minima percentuale delle attenzioni che vengono riservate alle mascalzonate commesse da chi governa, che pretende di uscirne indenne, consentirebbe a tanti di lavorare, di non essere discriminati in funzione del sesso o delle convinzioni religiose o della fede politica.
Ecco, il problema gravissimo di fronte al quale si trovano i cittadini non è più limitato alla recalcitranza di un presunto delinquente di sottoporsi al giudizio di un tribunale, ma nell’incapacità di dar fondo alla propria dignità d’individui e ricorrere alla giustizia sommaria per risolvere una questione che ormai è una mortale cancrena incombente nella loro esistenza quotidiana.
Siamo un paese con le pezze alle terga, in mano ad una banda di rissosi balordi che pensano solo a sé stessi e ai loro inconfessabili interessi. Balordi che hanno rubato, imbrogliato, malversato e hanno commesso sconcezze da galera per i comuni mortali, che reclamano impunità a guisa di appartenenti ad una casta intoccabile, insediatasi non per volontà, - ma sarebbe il caso di parlare d’insipienza, - degli elettori, ma per volere di un’entità divina, animata da malevolenza e disprezzo verso coloro che non occupano posti di comando.
In forza di questa predestinazione divina, a questo clan tutto è consentito: rubare, stuprare, praticare sodomia e meretricio, accompagnarsi a prostitute e travestiti, drogarsi, offendere nemici e avversari, spendere e spandere a piacimento il denaro sottratto dalle tasche di chi veramente lavora con tasse e balzelli e altri espedienti similari. Tutto ciò, che costituisce violazione delle regole della convivenza civile e, dunque, è sanzionato dalle leggi, trova applicazione solo nei confronti del cittadino comune, di quel miserabile cialtrone cui compete solo stilare una croce su un simbolo o un nome, quando la rappresentanza di questo potere assoluto decide sia giunto il momento di inscenare l’ennesima farsa e chiamare gli imbecilli alle urne.
Questi imbecilli non si comportano da cittadini, attenti e responsabili, oculati valutatori dell’operato della casta, ma da beoti lobotomizzati, da coglioni pronti a tracannare tutte le falsità e le idiozie sciorinate dal furbo di turno, ubriachi irresponsabili, che guardano solo all’immagine che vende il ciarlatano e non alla effettiva consistenza di ciò che ha fatto o che promette. Questi cittadini, considerati dal potere una sottospecie della razza umana, così comportandosi avallano ogni scelleratezza e nulla hanno il diritto di reclamare. Sono solo schiavi d’infimo rango, senza spina dorsale, che dimostrano d’amare di poter sguazzare nella melma della porcilaia in cui sono costretti dal potere. Zombie ripugnanti, capaci solo di cannibalizzarsi l’un l’altro, ma docili pecore al primo schiocco di frusta del domatore di turno.
E non v’è certo bisogno di scomodare i Vangeli, che ricordano come fango eravamo e fango ritorneremo, per tirare le somme. Ciò che dovrebbe contare non è ciò che fummo o ciò che saremo, quanto ciò che in questa vita effettivamente siamo. E’ un quadro desolante quello che risulta, capace di generare solo ribrezzo verso se stessi: che sofferenza doversi dichiarare Italiani!
Il copione è stato rispettato ancora una volta. Un nuovo disegno di legge sta per arrivare in parlamento e, com’era stato ampiamente preannunciato, ancora una volta dovrà tentare di salvare il presidente di questa sfasciata repubblica, al secolo Silvio Berlusconi da Arcore, dai processi che lo vedono imputato per reati vari noti al mondo intero.
Ciò che sconvolge in questa vicenda di squallore senza fine non è comunque la pervicacia con la quale l’interessato continua ad insistere nel tentativo. Non è il servilismo lecchino con il quale i suoi accoliti si prestano a questa grottesca farsa che ingessa il parlamento e la vita politica nella trattazione di argomenti che di parlamentare e di politico hanno ben poco. Non è la mancanza di dignità con la quale servi e galoppini prestano il proprio nome a disegni di legge incostituzionali e, di per sé stessi, eversivi delle regole democratiche. E’ l’indifferenza allucinante con la quale il popolo assiste inerte al massacro delle istituzioni e alla violenza che viene esercitata sulla Carta costituzionale, quella Carta che, se solo trovasse una minima percentuale delle attenzioni che vengono riservate alle mascalzonate commesse da chi governa, che pretende di uscirne indenne, consentirebbe a tanti di lavorare, di non essere discriminati in funzione del sesso o delle convinzioni religiose o della fede politica.
Ecco, il problema gravissimo di fronte al quale si trovano i cittadini non è più limitato alla recalcitranza di un presunto delinquente di sottoporsi al giudizio di un tribunale, ma nell’incapacità di dar fondo alla propria dignità d’individui e ricorrere alla giustizia sommaria per risolvere una questione che ormai è una mortale cancrena incombente nella loro esistenza quotidiana.
Siamo un paese con le pezze alle terga, in mano ad una banda di rissosi balordi che pensano solo a sé stessi e ai loro inconfessabili interessi. Balordi che hanno rubato, imbrogliato, malversato e hanno commesso sconcezze da galera per i comuni mortali, che reclamano impunità a guisa di appartenenti ad una casta intoccabile, insediatasi non per volontà, - ma sarebbe il caso di parlare d’insipienza, - degli elettori, ma per volere di un’entità divina, animata da malevolenza e disprezzo verso coloro che non occupano posti di comando.
In forza di questa predestinazione divina, a questo clan tutto è consentito: rubare, stuprare, praticare sodomia e meretricio, accompagnarsi a prostitute e travestiti, drogarsi, offendere nemici e avversari, spendere e spandere a piacimento il denaro sottratto dalle tasche di chi veramente lavora con tasse e balzelli e altri espedienti similari. Tutto ciò, che costituisce violazione delle regole della convivenza civile e, dunque, è sanzionato dalle leggi, trova applicazione solo nei confronti del cittadino comune, di quel miserabile cialtrone cui compete solo stilare una croce su un simbolo o un nome, quando la rappresentanza di questo potere assoluto decide sia giunto il momento di inscenare l’ennesima farsa e chiamare gli imbecilli alle urne.
Questi imbecilli non si comportano da cittadini, attenti e responsabili, oculati valutatori dell’operato della casta, ma da beoti lobotomizzati, da coglioni pronti a tracannare tutte le falsità e le idiozie sciorinate dal furbo di turno, ubriachi irresponsabili, che guardano solo all’immagine che vende il ciarlatano e non alla effettiva consistenza di ciò che ha fatto o che promette. Questi cittadini, considerati dal potere una sottospecie della razza umana, così comportandosi avallano ogni scelleratezza e nulla hanno il diritto di reclamare. Sono solo schiavi d’infimo rango, senza spina dorsale, che dimostrano d’amare di poter sguazzare nella melma della porcilaia in cui sono costretti dal potere. Zombie ripugnanti, capaci solo di cannibalizzarsi l’un l’altro, ma docili pecore al primo schiocco di frusta del domatore di turno.
E non v’è certo bisogno di scomodare i Vangeli, che ricordano come fango eravamo e fango ritorneremo, per tirare le somme. Ciò che dovrebbe contare non è ciò che fummo o ciò che saremo, quanto ciò che in questa vita effettivamente siamo. E’ un quadro desolante quello che risulta, capace di generare solo ribrezzo verso se stessi: che sofferenza doversi dichiarare Italiani!
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