I nuovi crociati
Mercoledì, 4 novembre 2009
Visto che mancavano argomenti su cui aprire un nuovo filone di dibattito politico, la sentenza della UE, che ha sancito che il crocefisso è “una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni”, è diventato il tema principale di confronto.
La disoccupazione, la miseria nella quale ci ha trascinato questo centro-destra incapace e arrogante, lo strangolamento dell’economia con i perversi meccanismi di credito, il peso della tassazione e tutti i grandi temi sui quali verrebbero fuori le insufficienze plateali di un governicchio di bulli (e pupe) non trovano spazio nelle cronache giornalistiche, né nei talk show diffusi come cloroformio su tutte le reti televisive del paese, nei quali schiere di idioti saccenti scatenano la critica e lo sdegno per eventi marginali della vita sociale e non proferiscono verbo sulle realmente questioni importanti per la vita dei cittadini.
Sicché il divieto di affiggere il crocefisso nelle scuole e negli uffici è diventato l’argomento del giorno, con tanto di crociati e benpensanti a dire la loro sul sopruso “culturale ed etico” perpetrato dall’UE alle tradizioni storiche del Belpaese.
Cosa possa centrare una decisione di civiltà della UE con le presente violazioni dell’etica e della cultura è difficile spiegarlo anche per gli indefessi difensori del crocefisso, che non si rendono conto che in un’epoca di convivenza multietnica ciascuno ha il diritto di professare la confessione che più lo aggrada, senza dover subire l’imposizione di una fede dominante e che, per essere professata, non ha certamente bisogno d’essere ostentata all’ufficio del catasto o al commissariato di polizia.
Né rendono più solida la teoria del crocefisso imposto nei luoghi pubblici le tesi di reciprocità invocate da qualche intellettualoide con la propensione all’accattonaggio culturale: che significato ha invocare un principio di reciprocità nei confronti dei popoli che professano diversa confessione? Sarebbe forse legittimo e plausibile rimuovere il crocefisso solo a condizione che i buddisti rimuovessero i simboli della loro religione? Cosa ci azzecca, - come saccentemente ha fatto un certo dottor professor Alessandro Meluzzi, specialista in psichiatria e psicologia nonché psicoterapeuta ed eminente salottiero delle reti Mediaset, - il paragone tra il crocefisso e la mezza luna turca?
Probabilmente, - e sperabilmente, - i detrattori della sentenza della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, alla quale si era rivolta una signora per ottenere la decisione di cui adesso si grida allo scandalo, omettono di porre attenzione a ciò che costituisce un principio fondamentale della laicità democratica, che cioè il mondo moderno impone una netta e in equivoca separazione tra stato e chiesa. Se così non fosse si realizzerebbe uno stato nel quale la commistione tra istituzioni e religione sarebbe soffocante e arretrerebbe la nazione a livello di un qualsiasi Iran, nel quale gli ayatollah dettano legge e impongono ai cittadini la supremazia della confessionalità e delle sue regole nel processo di normale convivenza civile.
D’altra parte, qualora fosse sostenibile un principio d’indottrinamento coatto dei cittadini nella nostra realtà, rappresentato dai simboli religiosi affissi in ogni dove, si commetterebbe una gravissima violazione dei principi di libertà riconosciuti dalla nostra Costituzione verso coloro che professano altra fede e potrebbero subire violenza dalla presenza imposta di simboli nei quali non si riconoscono.
Non mancano comunque le reazioni di eminenti esponenti del governo incarica alla sentenza della Corte europea. Per il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, «la presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo, ma è un simbolo della nostra tradizione». Sulla stessa linea il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli e quello della Giustizia Angelino Alfano. E' critico persino il presidente della Camera Gianfranco Fini: «Mi auguro che la sentenza non venga salutata come giusta affermazione della laicità delle istituzioni, che è valore ben diverso dalla negazione, propria del laicismo più deteriore, del ruolo del Cristianesimo nella società e nella identità italiana».
E queste prese di posizione, queste sortite vacue e prive di fondamento, la dicono lunga su quanto sia perigliosa la via per la realizzazione della vera democrazia e, soprattutto, per l’effettiva concretizzazione dei principi di libertà che al fondamento della democrazia soggiacciono.
Visto che mancavano argomenti su cui aprire un nuovo filone di dibattito politico, la sentenza della UE, che ha sancito che il crocefisso è “una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni”, è diventato il tema principale di confronto.
La disoccupazione, la miseria nella quale ci ha trascinato questo centro-destra incapace e arrogante, lo strangolamento dell’economia con i perversi meccanismi di credito, il peso della tassazione e tutti i grandi temi sui quali verrebbero fuori le insufficienze plateali di un governicchio di bulli (e pupe) non trovano spazio nelle cronache giornalistiche, né nei talk show diffusi come cloroformio su tutte le reti televisive del paese, nei quali schiere di idioti saccenti scatenano la critica e lo sdegno per eventi marginali della vita sociale e non proferiscono verbo sulle realmente questioni importanti per la vita dei cittadini.
Sicché il divieto di affiggere il crocefisso nelle scuole e negli uffici è diventato l’argomento del giorno, con tanto di crociati e benpensanti a dire la loro sul sopruso “culturale ed etico” perpetrato dall’UE alle tradizioni storiche del Belpaese.
Cosa possa centrare una decisione di civiltà della UE con le presente violazioni dell’etica e della cultura è difficile spiegarlo anche per gli indefessi difensori del crocefisso, che non si rendono conto che in un’epoca di convivenza multietnica ciascuno ha il diritto di professare la confessione che più lo aggrada, senza dover subire l’imposizione di una fede dominante e che, per essere professata, non ha certamente bisogno d’essere ostentata all’ufficio del catasto o al commissariato di polizia.
Né rendono più solida la teoria del crocefisso imposto nei luoghi pubblici le tesi di reciprocità invocate da qualche intellettualoide con la propensione all’accattonaggio culturale: che significato ha invocare un principio di reciprocità nei confronti dei popoli che professano diversa confessione? Sarebbe forse legittimo e plausibile rimuovere il crocefisso solo a condizione che i buddisti rimuovessero i simboli della loro religione? Cosa ci azzecca, - come saccentemente ha fatto un certo dottor professor Alessandro Meluzzi, specialista in psichiatria e psicologia nonché psicoterapeuta ed eminente salottiero delle reti Mediaset, - il paragone tra il crocefisso e la mezza luna turca?
Probabilmente, - e sperabilmente, - i detrattori della sentenza della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, alla quale si era rivolta una signora per ottenere la decisione di cui adesso si grida allo scandalo, omettono di porre attenzione a ciò che costituisce un principio fondamentale della laicità democratica, che cioè il mondo moderno impone una netta e in equivoca separazione tra stato e chiesa. Se così non fosse si realizzerebbe uno stato nel quale la commistione tra istituzioni e religione sarebbe soffocante e arretrerebbe la nazione a livello di un qualsiasi Iran, nel quale gli ayatollah dettano legge e impongono ai cittadini la supremazia della confessionalità e delle sue regole nel processo di normale convivenza civile.
D’altra parte, qualora fosse sostenibile un principio d’indottrinamento coatto dei cittadini nella nostra realtà, rappresentato dai simboli religiosi affissi in ogni dove, si commetterebbe una gravissima violazione dei principi di libertà riconosciuti dalla nostra Costituzione verso coloro che professano altra fede e potrebbero subire violenza dalla presenza imposta di simboli nei quali non si riconoscono.
Non mancano comunque le reazioni di eminenti esponenti del governo incarica alla sentenza della Corte europea. Per il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, «la presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo, ma è un simbolo della nostra tradizione». Sulla stessa linea il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli e quello della Giustizia Angelino Alfano. E' critico persino il presidente della Camera Gianfranco Fini: «Mi auguro che la sentenza non venga salutata come giusta affermazione della laicità delle istituzioni, che è valore ben diverso dalla negazione, propria del laicismo più deteriore, del ruolo del Cristianesimo nella società e nella identità italiana».
E queste prese di posizione, queste sortite vacue e prive di fondamento, la dicono lunga su quanto sia perigliosa la via per la realizzazione della vera democrazia e, soprattutto, per l’effettiva concretizzazione dei principi di libertà che al fondamento della democrazia soggiacciono.
(nella foto, Alessandro Meluzzi, psichiatra, psicologo e psicoterapeuta ospite ricorrente del talk show Mediaset)
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