Malpensa un anno dopo
Martedì, 13 gennaio 2010
In questi giorni si celebra il primo anniversario della svendita di Alitalia a CAI, svendita che, in ordine di tempo e per valore, è seconda solo a quella di Alfa Romeo alla Fiat della seconda metà degli anni ’80.
Ma i motivi di parallelismo non sono certamente limitati al valore ridicolo conferito dai proprietari pubblici alle aziende in questione. Anche nel caso Alitalia ha perso la collettività, che si è dovuta addossare l’onere dei debiti miliardari della disastrata azienda. Ha perso la politica, quella affarista che ha dovuto ammettere la sostanza clientelare dell’operazione, e quella d’opposizione che non è riuscita a suggerire alternativi migliori e maggiormente credibili a quelle decise dal governo in carica al tempo. Ha infine perso la politica furbetta, quella fatta di proclami roboanti, di demagogia da marciapiede portata avanti da sempre dalla Lega di Umberto Bossi, che si era impegnata tra promesse e minacce a salvare Malpensa, - tra l’altro territorialmente nel cuore del consenso leghista, - tramite la rinegoziazione degli accordi bilaterali per ampliare il numero dei vettori ammessi a operare sulle rotte nazionali, internazionali ed intercontinentali.
A questa bordata di balle ad alzo zero, aveva partecipato lo stesso governo, che attraverso i suoi poco credibili portavoce aveva dichiarato che tra Fiumicino e Malpensa ci sarebbe stata pari dignità, entrambi hub, ma con visione sul nord Europa per l’aeroporto lombardo e visione inversa per quello laziale.
Invece, delle previste tratte internazionali da assegnare a Malpensa, che avrebbe dovuto passare dalle 3 residue a 14, non se n’è vista manco una, determinando così uno dei peggiori fallimenti della politica della Lega Nord in provincia di Varese e in Lombardia.
Com’è stato fatto osservare, anche i numeri la dicono lunga su questa figuraccia della Lega e, davanti ai numeri, non è consentito appellarsi alle cattive interpretazioni o alle maligne supposizioni. Rispetto all’anno precedente, nel 2009 a Malpensa si è registrata una perdita nel traffico passeggeri pari all’8,5% passando da 19.000.000 a 17.500.000 fra arrivi e partenze. Lascia perplessi anche il dato relativo alla quota di mercato di Alitalia su Malpensa, pari al 9%. A oggi, quindi, la prima compagnia presente nello scalo varesino è una low cost, ovvero Easy Jet, che detiene il 27%. È evidente quindi l’assenza di una strategia del governo per rilanciare l’aeroporto. Senza contare poi l’impatto che questa gestione ha avuto sull’occupazione: i sindacati parlano oggi di 700 dipendenti in cassa integrazione e di 2.800 in cassa integrazione in deroga nell’indotto, cifre che la dicono lunga sul crollo di credibilità dell’intero sistema politico di riferimento dell’area, che con le sue scelte non ha che determinato il de profundis di un comprensorio afflitto sino a qualche hanno fa dai problemi della piena occupazione e, dunque, dalla difficoltà di reperire manodopera se non importandola da altre regioni italiane o facendo ricorso ai tanto disprezzati extra comunitari.
Neppure l’operazione Lufthansa è servita ad alleviare i mali di Malpensa. La costituzione di una società italiana con sede proprio a Malpensa per gestire in modo diretto il traffico padano intercontinentale attraverso Monaco o Francoforte, non è stata sufficiente a compensare la smobilitazione in massa di Alitalia, forte una volta tanto nell’assunzione di questa decisione dell’avallo della protezione del governo in carica.
Ma quali saranno state le ragioni di un così palese tradimento da parte della Lega degli impegni assunti con il proprio elettorato? La risposta non è poi così ardua se si fa riferimento all’azionariato attuale di Alitalia ed alla presenza nella sua compagine di quell’Air France-Klm che sino all’ultimo sembrava rimasta esclusa dalla spartizione delle spoglie della ex compagnia di bandiera.
Colaninno e soci, quantunque abbiano ricevuto un succulento omaggio natalizio nel lontano 2008, erano ben coscienti di non avere alcuna expertise nella gestione di una compagnia aerea e, per quanto poco avessero dovuto scucire per accaparrarsi l’ex azienda della Magliana, avevano bisogno d’immettere nella gestione liquidità ed esperienza adeguati. Da qui l’ingresso in sordina dei cugini franco-olandesi, che a loro volta hanno chiesto e ottenuto quale pegno del loro investimento il mantenimento dello status quo sine die sulle tratte maggiormente redditizie e, dunque, niente revisione degli accordi bilaterali. Lega e Formigoni hanno dovuto abbozzare e ingoiare il rospo, in attesa di tempi migliori.
Fra poco ci saranno le elezioni regionali e quest’evento è di per sé sufficiente a mettere in moto la macchina delle grandi illusioni, quella che promette la vista a chi l’ha persa, il lavoro a chi non ne ha o una bella riforma della tassazione a chi già allegramente evade, e dunque se ne fotte, o chi sarebbe persino lieto di pagare tasse, visto che questo sarebbe il sintomo di una capacità reddituale che non possiede più.
Han cominciato gli ex compagni del PD, con il segretario Bersani in testa, recatosi in visita pastorale proprio tra le rovine di Malpensa per denunciare i misfatti commessi dagli altri e, presumibilmente, per chiedere i consensi che gli consentano di “invertire la rotta”. Analogamente faranno Bossi e i suoi tirapiedi con la faccia di bronzo e siamo certi si inventeranno qualche cialtronata per scaricare tutte le colpe delle inadempienze sugli avversari politici o, quantomeno, sui compagni di cordata.
Nel frattempo si consumerà un’altra farsa spaventosa, che magari rimetterà in sella gli stessi aguzzini di Malpensa e d’Alitalia.
In questi giorni si celebra il primo anniversario della svendita di Alitalia a CAI, svendita che, in ordine di tempo e per valore, è seconda solo a quella di Alfa Romeo alla Fiat della seconda metà degli anni ’80.
Ma i motivi di parallelismo non sono certamente limitati al valore ridicolo conferito dai proprietari pubblici alle aziende in questione. Anche nel caso Alitalia ha perso la collettività, che si è dovuta addossare l’onere dei debiti miliardari della disastrata azienda. Ha perso la politica, quella affarista che ha dovuto ammettere la sostanza clientelare dell’operazione, e quella d’opposizione che non è riuscita a suggerire alternativi migliori e maggiormente credibili a quelle decise dal governo in carica al tempo. Ha infine perso la politica furbetta, quella fatta di proclami roboanti, di demagogia da marciapiede portata avanti da sempre dalla Lega di Umberto Bossi, che si era impegnata tra promesse e minacce a salvare Malpensa, - tra l’altro territorialmente nel cuore del consenso leghista, - tramite la rinegoziazione degli accordi bilaterali per ampliare il numero dei vettori ammessi a operare sulle rotte nazionali, internazionali ed intercontinentali.
A questa bordata di balle ad alzo zero, aveva partecipato lo stesso governo, che attraverso i suoi poco credibili portavoce aveva dichiarato che tra Fiumicino e Malpensa ci sarebbe stata pari dignità, entrambi hub, ma con visione sul nord Europa per l’aeroporto lombardo e visione inversa per quello laziale.
Invece, delle previste tratte internazionali da assegnare a Malpensa, che avrebbe dovuto passare dalle 3 residue a 14, non se n’è vista manco una, determinando così uno dei peggiori fallimenti della politica della Lega Nord in provincia di Varese e in Lombardia.
Com’è stato fatto osservare, anche i numeri la dicono lunga su questa figuraccia della Lega e, davanti ai numeri, non è consentito appellarsi alle cattive interpretazioni o alle maligne supposizioni. Rispetto all’anno precedente, nel 2009 a Malpensa si è registrata una perdita nel traffico passeggeri pari all’8,5% passando da 19.000.000 a 17.500.000 fra arrivi e partenze. Lascia perplessi anche il dato relativo alla quota di mercato di Alitalia su Malpensa, pari al 9%. A oggi, quindi, la prima compagnia presente nello scalo varesino è una low cost, ovvero Easy Jet, che detiene il 27%. È evidente quindi l’assenza di una strategia del governo per rilanciare l’aeroporto. Senza contare poi l’impatto che questa gestione ha avuto sull’occupazione: i sindacati parlano oggi di 700 dipendenti in cassa integrazione e di 2.800 in cassa integrazione in deroga nell’indotto, cifre che la dicono lunga sul crollo di credibilità dell’intero sistema politico di riferimento dell’area, che con le sue scelte non ha che determinato il de profundis di un comprensorio afflitto sino a qualche hanno fa dai problemi della piena occupazione e, dunque, dalla difficoltà di reperire manodopera se non importandola da altre regioni italiane o facendo ricorso ai tanto disprezzati extra comunitari.
Neppure l’operazione Lufthansa è servita ad alleviare i mali di Malpensa. La costituzione di una società italiana con sede proprio a Malpensa per gestire in modo diretto il traffico padano intercontinentale attraverso Monaco o Francoforte, non è stata sufficiente a compensare la smobilitazione in massa di Alitalia, forte una volta tanto nell’assunzione di questa decisione dell’avallo della protezione del governo in carica.
Ma quali saranno state le ragioni di un così palese tradimento da parte della Lega degli impegni assunti con il proprio elettorato? La risposta non è poi così ardua se si fa riferimento all’azionariato attuale di Alitalia ed alla presenza nella sua compagine di quell’Air France-Klm che sino all’ultimo sembrava rimasta esclusa dalla spartizione delle spoglie della ex compagnia di bandiera.
Colaninno e soci, quantunque abbiano ricevuto un succulento omaggio natalizio nel lontano 2008, erano ben coscienti di non avere alcuna expertise nella gestione di una compagnia aerea e, per quanto poco avessero dovuto scucire per accaparrarsi l’ex azienda della Magliana, avevano bisogno d’immettere nella gestione liquidità ed esperienza adeguati. Da qui l’ingresso in sordina dei cugini franco-olandesi, che a loro volta hanno chiesto e ottenuto quale pegno del loro investimento il mantenimento dello status quo sine die sulle tratte maggiormente redditizie e, dunque, niente revisione degli accordi bilaterali. Lega e Formigoni hanno dovuto abbozzare e ingoiare il rospo, in attesa di tempi migliori.
Fra poco ci saranno le elezioni regionali e quest’evento è di per sé sufficiente a mettere in moto la macchina delle grandi illusioni, quella che promette la vista a chi l’ha persa, il lavoro a chi non ne ha o una bella riforma della tassazione a chi già allegramente evade, e dunque se ne fotte, o chi sarebbe persino lieto di pagare tasse, visto che questo sarebbe il sintomo di una capacità reddituale che non possiede più.
Han cominciato gli ex compagni del PD, con il segretario Bersani in testa, recatosi in visita pastorale proprio tra le rovine di Malpensa per denunciare i misfatti commessi dagli altri e, presumibilmente, per chiedere i consensi che gli consentano di “invertire la rotta”. Analogamente faranno Bossi e i suoi tirapiedi con la faccia di bronzo e siamo certi si inventeranno qualche cialtronata per scaricare tutte le colpe delle inadempienze sugli avversari politici o, quantomeno, sui compagni di cordata.
Nel frattempo si consumerà un’altra farsa spaventosa, che magari rimetterà in sella gli stessi aguzzini di Malpensa e d’Alitalia.
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