domenica, maggio 30, 2010

La manovra equa di Berlusconi e Tremonti


Domenica, 30 maggio 2010
A prima vista più che una manovra quella del governo sembra essere una vera e propria sbandata senza controllo, il cui risultato rischia di concretizzarsi in un fragoroso schianto sul muretto a bordo strada.
Colpi di mannaia alla cieca contro Regioni, Comuni e cittadini, accompagnati dalla falsa promessa che non saranno messe le mani nelle tasche della gente, - quasi che i proventi sperati dall’iniquo provvedimento non dovessero provenire dalle lacrime e dal sangue che dovranno versarsi sotto forma di tagli alle retribuzioni, scippi vergognosi al sistema previdenziale e compressione di servizi, per i quali non occorre certo grande fantasia per immaginare una lievitazione dei tributi locali per lasciarne invariato il livello.
Ma di chi non ha il coraggio neanche per ammettere il proprio fallimento e dimettersi, almeno per salvare la dignità, sempre che ne conservi un barlume, non ci si poteva aspettare diversamente, se non un coacervo di misure canaglia destinate a gravare sul groppone degli Italiani, impoverendo chi è già povero e lasciando pressoché intatto il tenore di vita delle iene avvezze a rimpinguarsi con i resti dei propri simili e della casta dei mandarini che gozzovigliano nelle serre di Montecitorio e di palazzo Madama.
Sì, perché se non mettere le mani nelle tasche dei cittadini è affermazione vera, è altrettanto vero che trattasi di enunciato parziale, in quanto manca l’indicazione della serie dei cittadini che resteranno indenni dalle nuove trovate di Berlusconi, Tremonti e soci. Cittadini di serie B, non certo quelli di serie A cui è costantemente rivolta l’attenzione dei governanti in carica.
Quel Tremonti che, il giorno dopo dall’essersi diffuso lo scoop su un taglio del 5% dei ricchi appannaggi di onorevoli (non si capisce ormai per chi!) e senatori, aveva tuonato da Bruxelles che quell’ipotesi non sarebbe stata che l’aperitivo. E in effetti, in questo, il valente ministro ha mantenuto la promessa, dato che i tagli previsti per questo folto gruppo di parassiti, nei fatti, si equivale al taglio di un aperitivo, salatini compresi. D’altra parte i tapini hanno fatto sapere che non solo tengono famiglia, - in qualche caso, tra escort, massaggiatrici e cortigiane compiacenti, più di una, - ma anche il mutuo: ma ve l’immaginate la povera Carfagna, con un mutuo di 4.000 euro al mese per la modesta soffitta acquistata a Roma, come avrebbe potuto campare se avesse dovuto subire un taglio del 5% sulla modesta paga di parlamentare e di ministro pari a oltre 20.000 euro mensili?
E lo sfortunato Orlando? Stipendio da senatore e pensione da 8.000 euro della Regione siciliana, seguito da Strano, parlamentare indagato e beneficiario di 3.000 euro di pensione: ma con quale soldi si sarebbe potuto comprare il prossimo panino e mortadella per banchettare in parlamento dopo aver subito il taglio minacciato da Tremonti?
La verità vera e incontrovertibile è che siamo un popolo vomitevole, disposto a subire ogni sorta d’angheria ci venga perpetrata dal potere, incapaci di scendere in piazze e strade e far sentire lo sdegno e la rabbia contro un sistema osceno oltre ogni tolleranza umana. Un popolo che conta categorie di lavoratori, come i pubblici dipendenti, diventati lo zimbello del proprio datore di lavoro, al punto da subire passivamente non solo gli insulti di un ministro caricatura di se stesso come Brunetta, ma di accettare con qualche timido rimbrotto tagli di stipendio, pensione e liquidazione in nome di un risanamento dei conti e con la giustificazione che, per ciò che danno come produttività, guadagnano già troppo. Nessuno che si lasci sfiorare dal dubbio che se la latrina di casa è sporca e maleodorante ciò dipende dal padrone di casa che non provvede alla sua pulizia e non certo dagli ospiti che occasionalmente se ne servono. Se la pubblica amministrazione è allo sfascio ciò non dipende dall’indolenza dei suoi addetti, ma dall’incapacità di gestire, palesata negli anni, da un alternarsi di responsabili gaglioffi e dediti al nepotismo e alla clientela, attenti più al consenso ad ogni costo che a gestire anche con lo scudiscio un sistema andato lentamente e inesorabilmente alla deriva.
E di questo squallore morale, che ormai coinvolge tutti i gangli della vita del Paese, è un chiaro esempio su tutti lo spettacolo offerto in questi giorni dalla magistratura, che ha fatto sentire la propria voce risentita contro i tagli programmati, mentre non ha mostrato la stessa animosità per contestare le norme allo studio per inibire le intercettazioni, per tutelare i mafiosi o per impedire che la stampa faccia il proprio dovere nello svelare la verità sui bassi traffici della casta. No, questi mesti membri di una curia equivoca protestano per il blocco delle loro retribuzioni, ma nulla hanno da ridire sulle gravissime carenze d’organico che trascinano le cause per decenni con altrettanto gravissimo danno per la collettività.
Comunque, a sentir Berlusconi, - che ci tiene a precisare ossessivamente che non si metteranno le mani nelle tasche della gente, - la manovra ci è stata imposta dall’Europa. Come dire, non era necessaria, anzi tutt’altro. Però quei cattivoni di Bruxelles se la son presa con il Belpaese, che ha sempre dato un fulgido esempio di rigore, - specialmente da quando c’è al governo lui, - e, dunque, non v’era via d’uscita. Inoltre, ha pure precisato, lui non ha il potere, sfilatogli di mano da gerarchi e sottoposti, lasciando intendere che, se quel potere avesse avuto, avrebbe di certo fatto cosa ben diversa: magari avrebbe spartito l’harem, in omaggio ad uno dei suoi slogan “più gnocca per tutti” . Lui, invece, è come il mitico re travicello caduto ai ranocchi, - ma non ci chiarisce le ragioni per le quali si sia abbarbicato alla sedia che da tempo occupa.
Chissà, forse con un gesto di buona volontà basterebbe che il parlamento si decidesse a rilasciargli un salvacondotto per liberarci della sua esiziale presenza e poter guardare con un pizzico di speranza in avanti. Nel frattempo, vogliamo augurarci con somma gioia di chi gli ha dato il voto, godiamoci l’ennesima macelleria sociale che amorevolmente ci hanno preparato i suoi gerarchi.

(nella foto, un dipendente pubblico dopo le misure Tremonti-Berlusconi)

lunedì, maggio 17, 2010

Pagare per i furti altrui

Lunedì, 17 maggio 2010
Il governo Prodi, che ha preceduto quello Berlusconi, è caduto a causa delle risse interne della sua maggioranza e perché, di fondo, nei suoi due anni di guida del Paese ha esercitato una politica di sacrifici pesantissimi a sostanziale danno delle classi più deboli, lavoratori e pensionati.
Questa politica di sacrifici, - di cui ormai si sente ininterrottamente parlare dai lontani anni ’70, al tempo dei governi DC, di centro-destra e centro-sinistra e socialisti poi, - hanno avuto sempre la propensione a raschiare il fondo del barile, colpendo lì dove era più facile drenare risorse, grazie alla certezza di redditi certificati e impossibilitati a sfuggire al prelievo fiscale. Modeste, se non addirittura misere, sono state le politiche di lotta all’evasione, concentrata tra liberi professionisti, artigiani, titolari di esercizi commerciali e grandi imprese, che costituiscono le metastasi di un sistema sociale ed economico gravemente malato e, comunque, espressione di quei potentati in grado di esprimere le proprie rappresentanze in parlamento, là dove avrebbero dovuto decidersi le misure di repressione contro l’evasione diffusa e massiccia.
Prodi e sodali, dunque, trovo un terreno dissodato quando, tradendo le attese di chi gli aveva concesso fiducia e speranza, sferrò un ulteriore colpo di maglio ai redditi delle classi già povere e dei ceti medi, spremendo salari, stipendi e pensioni, illudendosi che gli Italiani, - storicamente incapaci di alzare la testa, - avrebbero subito l’ennesimo scippo in nome di risanamento, equilibrio dei conti pubblici, promesse di sviluppo futuro e tante altri specchietti per le allodole che avrebbero dovuto motivare un ulteriore buco nella cintura.
Il colpo di grazia venne inferto con le pensioni. La vile legge Maroni, che imponeva un salto della quaglia improvviso di ben tre anni in una notte, considerata oltremodo ingiusta dalla stragrande maggioranza dei cittadini, avrebbe dovuto essere abolita da quel governo, così come da impegni con l’elettorato.
La storia è nota a tutta. Fu una farsa vomitevole, durata oltre diciotto mesi, tra mille distinguo persino di chi aveva giurato davanti agli elettori l’impegno a cancellare quel salto, che portò ad un demenziale sistema di scalini e quote, che, nei fatti, cambiavano ben poca cosa rispetto alla famigerata Maroni. Ancora una volta si ebbe la sensazione che la montagna avesse partorito il topolino.
Quantunque questa non sia stata la ragione della prematura scomparsa di Prodi e dei suoi sciagurati compagni d’avventura, pochi pensavano che le ripercussioni di quelle misure avrebbero prodotto uno stravolgimento epocale nello scenario della sinistra. Dimostrando per una volta un’inattesa capacità di reazione, gli Italiani punirono non solo Prodi, ma i Veltroni, D’Alema, Bertinotti, Pecoraro Scanio, Rizzo e via di seguito, alcuni usciti fortemente ridimensionati dal responso delle urne, altri cancellati definitivamente, probabilmente per sempre, dalla scena politica.
Certo, la trombatura di questi personaggi non produsse risultati migliorativi, - complice un’assurda legge elettorale che dà mano libera alle segreterie dei partiti nell’imporre i candidati, - e come accade nelle peggiori novelle d’appendice, gli elettori pur di fare il classico dispetto alla moglie traditrice, si buttarono nuovamente nelle braccia dei propri carnefici, riconoscendo maggioranze bulgare a Berlusconi e Lega, quella compagine che storicamente per estrazione ideologica ha sempre attuato politiche di palese protezionismo delle caste e degli strati più abbienti a danno di salariati e deboli in genere.
Ovviamente, la lezione non solo non è servita, ma la propensione a tirare la corda è divenuto uno sport praticato a man bassa da chi assume il potere, nella convinzione che il popolo sia senza spina dorsale e, nonostante qualche timido rimbrotto, sia disposto a subire ogni imposizione e violenza.
Così alla leadership di quattro scalcagnati traditori della fede pubblica, si è sostituita quella dei demagoghi, dei venditori di fumo e dell’ottimismo, che avrebbe dovuto ridurre tasse, creare milioni di posti di lavoro, risolvere i problemi dei giovani e dell’occupazione precaria, creare un nuovo sistema di welfare ammodernato con gli strumenti del federalismo fiscale.
Alla lunga, - e neanche troppo, - il vero volto di questa nuova casta di ciarlatani s’è disvelato drammaticamente, mettendo in luce le tante miserie ricorrenti nel nostro triste Paese, fatte di corruzione diffusa, arricchimento sfrenato a danno della collettività, impunità vergognosa per coloro che comandano, squallide vicende di ordinari intrighi con sesso, nepotismo e clientela, senza che sul fronte degli impegni declamati si sia vista iniziativa alcuna.
E com’era prevedibile anche in questo fango che travolge i nuovi profeti le conseguenze delle ruberie e dei privilegi dovranno essere pagati dai cittadini, mentre qualcuno degli esponenti di questo governo, incapace di percepire il ridicolo nel quale sguazza, simula sacro sdegno e stupore alla conta delle auto blu che infestano il Paese come luridi scarafaggi. Il conto sarà comunque a carico dei soliti noti, ai quali è stato fatto sapere per stretta via mediatica che si prepara una manovra per bloccare le pensioni, per limare i salari dei pubblici dipendenti e chissà quale altra diavoleria che consenta di far cassa per colmare i buchi prodotti dalle regalie di Bertolaso, dalle trame di Verdini, dagli omaggi immobiliari a Scajola e Pittorru, con annessa evasione fiscale, dai finanziamenti elargiti per garantire la carriera ad un guitto rampante di nome Balducci o ad un parrucchiere-ingegnere, il cui merito professionale risiede nella strettissima parentela con tale Miccichè, giusto per citare alcuni dei casi più recenti.
Cadrà anzitempo anche questo governo come accadde a quello precedente? Scatterà nei suoi confronti analoga reazione a quella riservata a Prodi ed al centro-sinistra? Difficile prevederlo al momento, anche se la coalizione attuale non naviga in acque tranquille. Noi comunque riteniamo che nessuno possa avere interesse a tirare troppo la corda: Craxi fu rispedito a casa tra sputi e lanci di monetine. Coi tempi che corrono c’è ragionevole convinzione per sospettare che al ripetersi di eventi simili ai danni di qualche eponimo di questo personaggio monetine da sprecare non ce ne saranno.
(nella foto, Denis verdini, coordinatore del PdL, indagato per corruzione)

sabato, maggio 15, 2010

Quando si tira troppo la corda…


Sabato, 15 maggio 2010
Qualcuno si chiede se sogni o sia desto. Il prezzo del petrolio continua a scendere, - eravamo a circa 85 $ USA appena una decina di giorni or sono, contro i 71 $ odierni, - ma la consorteria dei petrolieri ha già preannunciato alcune ore fa un ulteriore ritocco al rialzo dei prezzi dei carburanti alla pompa.
Delle due l’una: o i prezzi dei carburanti sono legati al dollaro e, dunque, se il prezzo espresso in questa divisa scende deve ribassarsi anche il prezzo al dettaglio, o la bufala che costantemente racconta la consorteria dei petrolieri è stata inventata appositamente per mascherare i continui e incessanti rialzi del prezzo al consumo del carburante con giustificazioni prive di attendibilità.
Né è più convincente l’ulteriore storiella del deprezzamento dell’euro sul dollaro per giustificare il rincaro, poiché a fronte di un euro forte sul dollaro i rincari abbiamo dovuto sopportarli egualmente, senza alcun vantaggio derivante dal favorevole tasso di cambio.
E’ evidente che la cricca dei produttori approfitta di ogni situazione per incrementare i profitti a danno dell’utenza, mentre le autorità assistono inermi, se non del tutto indifferenti, ad un’operazione che, sul piano tecnico, non ha motivazione plausibile e mette in luce solo la sfrenata voracità di chi opera in un settore produttivo essenziale per la sopravvivenza nell’epoca moderna.
E questa operazione sui prezzi dei prodotti petroliferi si inserisce in pieno nel quadro delle inadempienze dell’attuale compagine di governo del Paese, avvezza da sempre più allo scoop che al presidio effettivo delle emergenze nazionali. Poi negli ultimi mesi il governo Berlusconi, coinvolto in scandali eclatanti tali da farne intravvedere l’imminente caduta, assopita l’emergenza sui provvedimenti salva-premier, ha aperto un nuovo fronte di attenzione, quello delle faide tra le sue diverse anime, che sta generando la paralisi generalizzata dei suoi apparati.
Ma la crisi internazionale e la crisi interna dell’Italia non si possono ritenere alle spalle, anzi i recenti casi Grecia, con i preoccupanti effetti domino su Portogallo e Spagna, lasciano presagire un futuro prossimo non certo tranquillo per la disastrata situazione del nostro sistema economico, sebbene il ritornello di Palazzo Chigi continui ad essere intonato alla tranquillità e l’ottimismo.
Tranquillità e ottimismo contraddetti da provvedimenti canaglia che, secondo voci vicine al palazzo del potere, sarebbero in cantiere nell’ottica di assecondare le nuove disposizioni comunitarie in tema di rigore e deficit di bilancio degli stati membri.
Così si risente parlare di manovra sulle pensioni, sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti e di tagli ai fabbisogni dei vari ministeri, per contribuire a ridurre il fabbisogno dello stato e, dunque, il gap tra PIL e indebitamento pubblico.
Ovviamente, -a parte i soliti detrattori comunisti, a detta del presidente del consiglio, - nessuno ha il coraggio di ammettere che l’orizzonte lascia prevedere la solita stangata maramalda a danno dei più deboli. Mettere mano nuovamente al sistema di accesso alle indennità di quiescenza, allungando i tempi di accesso alla pensione, non può che definirsi l’ennesimo atto vergognoso e vigliacco di una casta politica di governo senza dignità e onore. Di fronte alla crescita del tasso di disoccupazione, che vede colpiti in particolare gli ultracinquantenni, ai quali è negata ogni speranza di reimpiego, questa misura suona come una condanna irreversibile alla disperazione, non avendo costoro nella maggioranza dei casi alcuna alternativa reddituale per far fronte all’allungamento dei tempi per l’accesso al pensionamento. Ma questa prospettiva non sembra toccare più di tanto la sensibilità di chi governa, reduce da una stagione di copertura e di facilitazioni per quanti tra Grandi Eventi, Protezione Civile e altri furbi espedienti, hanno rimpinguato i propri conti bancari con mazzette e malaffare a danno della collettività.
Il solito Brunetta, più patetico che mai, qualche giorno fa denunciava alla pubblica opinione, -certamente molto più consapevole del fenomeno di quanto l’ineffabile ministro ritenga, - che le auto blu in circolazione nel Paese assommano a oltre 630.000, con uno spreco di danaro pubblico a dir poco gigantesco, se solo per puro esercizio si provasse a fare una semplice moltiplicazione. Non risulta che a margine della demagogica denuncia il valentissimo ministro abbia assunto provvedimenti per dare taglio ad uno sconcio che suona come uno schiaffo a piena mano sul volto dei contribuenti. Come di consueto, si punta di più sull’effetto dichiarazione che su fattive iniziative atte a rimuovere un malcostume radicato e del quale si sente stomachevolmente parlare ormai da decenni.
In questo scenario neanche l’opposizione sembra trovare una via credibile di contrapposizione a chi perpetra questo sistematico scempio del Paese, avvitata com’è su cautele linguistiche, piccole divisioni interne, mancanza di idee incisive capaci di mobilitare. E il tutto delinea un quadro sconfortante nel quale rassegnazione e disperazione sono gli unici sentimenti residui, essendo venuto meno persino lo sdegno e la rabbia verso un sistema che non è più solo ingiusto e protervo, ma è anche persecutorio nei confronti dei pochi rimasti ad esprimere un pallido dissenso.
E’ certo, comunque, che la pressione che si sta esercitando sulla corda dovrà condurre presto o tardi alla sua definitiva rottura. Manca solo una chiara percezione del tempo in cui ciò accadrà. Ma quando ciò avverrà, - ed è probabile che avvenga con inedite conseguenze traumatiche per la storia del Paese, - ci augureremmo che i vessati, gli umiliati, i perseguitati da questo potere infame non godano di perdono, ma siano sottoposti al castigo esemplare della giustizia di popolo, dato che la democrazia, quella vera e non la posticcia di cui in tanti amano farcirsi la bocca i potenti di turno, non consente sconti e abbuoni a chi ne ha minato e tradito i valori.
(nella foto, uno sciopero di lavoratori dell'Alcoa contro la minacciata chiusura dello stabilimento in Sardegna)

mercoledì, maggio 12, 2010

Casta ladrona

Mercoledì, 12 maggio 2010
Da più parti si grida ormai ad una nuova tangentopoli, con tanto di corrotti e corruttori alacremente intenti ad incassare mazzette in cambio di appalti milionari.
Ma questa volta, - premettendo che con ogni probabilità il sistema della corruzione non è mai stato debellato nel nostro Paese, endemico come la malaria in certe zone d’Africa - l’unico punto di sovrapposizione tra la tangentopoli del ’92 e l’attuale è solo l’esistenza di un malaffare che coinvolge gli stessi attori, i politici che occupano posti di governo in grado di decidere impieghi di pubblico denaro e gli imprenditori che debbono le loro fortune all’acquisizione degli appalti dall’esecuzione di opere pubbliche. Mentre nel ’92 fu tolto il coperchio ad un sistema di meccanismi che serviva a foraggiare le ingenti spese sostenute dai partiti, oggi la corruzione è solo funzionale all’arricchimento personale di quanti ne mettono in pratica il sistema.
D’altra parte, in un Paese nel quale le maglie dei controlli sono assai larghe e la trasparenza è un concetto flebile se non del tutto sconosciuto, era quasi inevitabile che certe cose potessero accadere. Basti pensare che lo stesso capo del governo, coinvolto in decine di processi e inchieste giudiziarie, ma ancora in sella grazie alle leggi ad personam che si è ritagliato con la complicità di un Parlamento subalterno e addomesticato, non è certo l’esempio da citare in tema di correttezza e trasparenza. Anzi, v’è il dubbio che l’appoggio ricevuto per dirimere le imbarazzanti questioni personali abbia psicologicamente costretto a lasciare un eccessivo grado di libertà a qualche malintenzionato nel gestire i fondi messi a disposizione al suo ministero dal pubblico bilancio, con ingiustificabile disinvoltura.
La vessata questio della Protezione Civile, con il tentativo di spacciare importanti opere pubbliche per emergenza, con relativa libertà di spendere e spandere, è la chiara spia di un sistema gravemente malato, nel quale anche la costruzione di una caserma per i carabinieri, - soggetta normalmente alle procedure di aggiudicazione contemplate dalle norme europee, - viene stralciata e inserita nel fascio delle iniziative qualificate d’emergenza e, dunque, svincolata dal rispetto delle normali procedure. Il colpo a sorpresa finale, avrebbe dovuto essere la trasformazione in SpA della Protezione Civile, probabilmente per conseguire il duplice risultato di consacrare il potere discrezionale assoluto, che compete al privato nell’esecuzione di un’opera, e di separare la natura delle responsabilità connesse con la trasparenza imposta al settore pubblico da quelle previste in capo a qualunque amministratore di privata società. E ciò nel malaugurato evento che dalla gestione di quel danaro potessero emergere distrazioni di qualunque natura.
Così il Paese si ritrova con un ministro (ex, bontà sua!) sul quale sono in corso accertamenti per l’acquisto di un prestigioso appartamento a prezzi da liquidazione, per la cui compravendita un signore con le mani in pasta in decine di appalti pubblici sospetti, paga di tasca propria (?) un contributo pari ad una volta e mezza ciò che il ministro dice di aver scucito di tasca sua, con assegni di valore tale da dover sfuggire ad ogni tracciatura e sembra consegnati ai venditori dallo stesso ministro interessato. Ovviamente il ministro, richiesto di fornire spiegazioni, non solo dichiara di non saperne niente, ma s’indigna e preannuncia querele a danno di chi mette in dubbio la sua onorabilità.
V’è poi un altro ministro, che non ha potuto fare a meno di servirsi dell’impareggiabile scienza di un signore già coinvolto e condannato per reati di corruzione nella vecchia tangentopoli. Il delinquente conclamato ha delega fiduciaria nella gestione dei soldi del ministero delle Infrastrutture e si occupa, come aveva fatto già con un altro ministro dello stesso ministero, di alta velocità, sebbene questa volta con un incarico formale ed organico. Questo signore cosa fa nei confronti del generoso ministro, ignaro sui suoi trascorsi? Ritorna al vecchio vizietto e sembra porti a casa una mazzetta da 520 milioni, sulla quale indaga la magistratura.
Magistratura, - ovviamente prezzolata dalla sinistra, come al colmo del ridicolo sostiene ineffabile il capo del governo, - che indaga anche su un signore sottosegretario in odore di camorra (ha solo qualche parente affiliato ad una delle cosche campane più sanguinarie e pare sia stato eletto con il loro appoggio), che ancora qualche settima fa reclamava a gran voce il diritto di candidarsi a presidente della Regione Campania.
C’è poi un ministro pugliese indagato e rinviato a giudizio per gravissimi reati contro la fede pubblica, ma che imperterrito continua la sua opera pastorale in seno al governo. Senza tralasciare uno dei coordinatori nazionali del partito di maggioranza, accusato di essere in affari, ovviamene sporchi, con un noto pregiudicato già coinvolto nelle vicende giudiziarie dalla Rizzoli alcuni anni or sono e nell’omicidio di un noto banchiere, che non era certo uno stinco di santo, oltre che con un senatore della sua coalizione già condannato per mafia e in attesa del verdetto d’appello e che qualche settimana fa ebbe a dichiarare serafico: «Rimango in Parlamento per non andare in gattabuia. E’ l’unico sistema che m’è rimasto per difendermi».
E che dire del capo della Protezione Civile? Il sant’uomo è sospettato di nefandezze multiple, che vanno dalla sospetta corruzione allo squallido nepotismo, dato che ha infilato parenti, amici e amici degli amici in posti profumatamente compensati, sebbene giuri di non saperne niente. E c’è da credergli, impegnato com’era a farsi teneramente massaggiare in un centro sportivo nel quale gli veniva curato un pernicioso mal di schiena. Certo, che il centro fosse stato realizzato con i soldi messi a disposizione dal suo quasi-ministero e tra decine di violazioni di leggi urbanistiche, di tutela del paesaggio e quant’altro, resta cosa accessoria e insignificante. D’altra parte, sicuramente non sapeva anche in questo caso.
Tuttavia, in omaggio alle regole clientelari, collocare un valente barbiere, per quanto con laurea in ingegneria, alla direzione lavori del restauro degli Uffizi, sol perché fratello di un noto sottosegretario alla presidenza del consiglio, è apparso un affronto senza precedenti e pertanto imperdonabile. Rimane comunque un dubbio. Non è che con quella nomina si volesse mettere a disposizione della cosiddetta Cricca un signore in grado di pettinare loro il vistoso pelo che hanno dimostrato d’avere sullo stomaco? Perché in questo caso la scelta non solo avrebbe senso, ma sarebbe persino meritevole di giusto apprezzamento.
Comunque e per rispondere a certi inarrendevoli bigotti, cosa può pretendersi da un sistema pronto a premiere escort, stallieri, camerieri, massaggiatrici ed estetiste ed altra variegata fauna in virtù non della loro competenza politica, quanto in ragione dei discutibili e bassi (nel senso letterale in qualche caso) favori resi?
Né appaiono giustificati la stizza e il livore di coloro che in nome dei sacrifici imposti da questa politica accorta e fondata sull’austerità hanno perso il lavoro, hanno dovuto posticipare il pensionamento, hanno perso la casa per l’insostenibilità delle rate di mutuo e così via. Costoro debbono piangere esclusivamente le loro miserie, visto che non sono stati in grado di trovare un benefattore (e il mondo ne è pieno!) che regalasse loro un appartamento; di conservarsi il posto lavoro magari mettendo un obolo pro-propietari nella cassetta delle offerte accanto all’obliteratrice dei cartellini presenza; di imparare per tempo ad addestrare cavalli; di strizzare l’occhio lascivo a qualche anziano e bavoso uomo di potere (vale per uomini e donne, dati i tempi che corrono). E se grazie alla santa riforma dell’età pensionabile non hanno potuto andare in pensione, sappiano che le colpe sono da imputare ai loro genitori che provvidero a concepirli per tempo: i soldi che l’INPS risparmia sono dello stato e servono per opere più meritorie, come mazzette e affini. E’ un giro virtuoso, con il quale in fondo si creano posti di lavoro per carpentieri, muratori, autosaloni, produttori di telefonini, croceristi e così via, dato che chi incassa le mazzette poi in qualche nodo spende
E infine (si fa per dire, dato che la lista sarebbe assai più lunga), il caso Sicilia, serbatoio di consensi dell’attuale coalizione e, comunque, di una destra conservatrice e traffichina.
Oggi si apprende che il già inquisito per mafia presidente della Regione rischia misura restrittive della libertà, poiché secondo i magistrati inquirenti (di certo di sinistra, come di prassi) starebbe fattivamente lavorando per inquinare le prove a suo carico. C’è da augurarsi che prima che tali misure scattino il nostro ci faccia sapere se predilige cannoli, come colui che l’ha preceduto e finito allo stesso modo, o qualche atra leccornia, - almeno ci si potrà attrezzare per tempo. Certo, se l’eventualità per caso dovesse investire un noto sottosegretario alla presidenza del consiglio, con fratello barbiere-ingegnere, di dubbi magari ce ne sarebbero di meno.

(nella foto, Diego Anemone, principale indagato delle inchieste di corruzione politica in corso)

mercoledì, maggio 05, 2010

Politica del fango o fango della politica?


Mercoledì, 5 maggio 2010
Se Claudio Scajola ha commesso reati, e dunque è colpevole, dovrà stabilirlo la magistratura, che indaga sull’acquisto di un prestigioso appartamento da parte del’ex ministro a Roma.
Ciò che è certo è che, politicamente, Scajola è colpevole senza appello, sebbene tardivamente e tra mille polemiche abbia deciso di lasciare l’incarico di governo “per potersi meglio difendere” come ha dichiarato in un’intervista dopo le dimissioni e come, con incredibile faccia tosta, ha auspicato il premier Silvio Berlusconi, - che di analoghe ragioni per dimettersi ne ha da vendere, ma che rimane attaccato alla poltrona come l’edera, forse perché la sua difesa dai reati di cui è accusato sarebbe molto più ardua e le immunità/impunità che s’è costruito, abusando del potere che gestisce come capo del governo, sono una garanzia maggiore delle traballanti chiacchiere spendibili davanti ai magistrati.
In ogni caso il premier ha perso l’ennesima occasione per tacere sulla vicenda giudiziaria nella quale è coinvolto il suo ex ministro, piuttosto che rilasciare le solite melense e opportunistiche dichiarazioni, che a quanto pare vanno bene per gli altri e non per lui.
Ma ciò che sconcerta nell’intera vicenda, ennesima di uno scenario politico in clima da basso impero, è la protervia volgare con la quale i soliti giullari di corte attaccano le opposizioni, che, a gran voce, avevano puntato il dito su Scajola, evidenziandone l’incompatibilità morale con l’incarico di governo da lui espletato.
Così il picchiatore Sallusti, vice direttore del foglio della famiglia Berlusconi, osa persino paragonare il caso Scajola, - che, non dimentichiamo, avrebbe acquistato un appartamento non solo dichiarandone al fisco solo un quarto del valore effettivo, ma con denaro sospettato provenire da mazzette, - a quello di D’Alema, accusato anni fa di godere di un privilegio ingiustificato nell’occupare un appartamento concessogli in locazione ad equo canone e che prontamente lasciò sull’onda di una scandalizzata campagna di stampa.
E’ evidente che il picchiatore Sallusti, nell’improbabile tentativo di confondere il giudizio della pubblica opinione, abbia tentato di mettere in pratica il teorema che Moggi, ex direttore della Juventus ed indagato nella cosiddetta calciopoli, sta cercando di accreditare presso il tribunale di Napoli: tutti colpevoli, tutti innocenti. Disgraziatamente per Sallusti, il maldestro tentativo si infrange contro l’evidenza dei fatti: una cosa è pagare un canone irrisorio per un affitto, nel rispetto di quanto stabilito da una discutibile legge dello stato, - peraltro con soldi propri e non certo messi a disposizione attraverso infami bustarelle, - e un’altra cosa è acquisire la proprietà di una cosa con denaro d’illecita provenienza. Ma questa fragilità sillogica è, evidentemente, troppo ardita per il picchiatore Sallusti, secondo il quale vale il principio del tutto fa brodo in omaggio al vecchio slogan pubblicitario di un noto dado, che con la sua provocazione ha tentato di far passare D’Alema per bigotto moralista.
Ma ciò che va oltre lo sconcerto è la situazione nella quale si è oramai consolidata l’immagine del governo in carica, che passa giorno dopo giorno da uno scandalo all’altro sotto gli occhi indifferenti della pubblica opinione e, quel che più conta, di un elettorato mentecatto che continua ad esprimergli il proprio voto a favore.
A prescindere da un premier plurindagato, non s’è mai visto un governo nel quale v’è un capo della Protezione Civile, con il rango assimilabile a quello di un ministro, coinvolto in storie di soldi, sesso e clientelismi vari. Un ministro beccato con il classico topo in bocca, travolto dallo scandalo e costretto a lasciare; dei ministri che, tra le altre dissacranti follie al senso dello stato, irridono all’unità del Paese e dichiarano che le celebrazioni per l’Unità d’Italia costituiscono uno sciocco rituale; un ministro che sistematicamente sberleffa i pubblici dipendenti, insulta i loro rappresentanti e minaccia stupidi quanto improbabili provvedimenti di moralizzazione, ma nei fatti non fa nulla; un ministro preposto alla gestione del patrimonio culturale del Paese che improvvisa provvedimenti omettendo di consultare chi quei provvedimenti dovrà subire; un ministro della Giustizia che, comportandosi come uno sceriffo da western di infima categoria, manda ispettori in gita inquisitoria ogni qualvolta si apra un qualche filone d’indagine sul suo mentore o sui sodali della coalizione che esprime; ministri al Turismo, alle Pari Opportunità ed altri ameni incarichi, che non s’è ancora capito cosa facciano, dato che se il loro dicastero fosse soppresso non se ne accorgerebbe alcuno.
E un carrozzone stupefacente che ha già fatto impallidire i fasti del Circo Barnum e rende sacrosanta la proposta di legge di vietare l’impiego di animali nell’attività circense, tanto ad attrarre e divertire il pubblico bastano i clown e le loro irresistibili gag.
E tutto ciò senza contare lo spettacolo indecoroso di lotte intestine all’interno della cosiddetta maggioranza, con le guerre tra Fini e lo stesso Berlusconi, supportato dai soliti Bondi, Capezzone, Cicchitto, Bonaiuti, adesso anche La Russa e Gasparri, e le sistematiche volgarità proferite alla volta degli oppositori e degli avversari, che rendono la politica, questa politica, una immensa discarica dall’odore soffocante.
Non è ancora chiaro se questo fango sia espressione del degrado della (ex) nobile arte della politica o siano gli interpreti di quella (ex) nobile arte che abbiano ormai definitivamente cooptato argomenti di fango per esercitarla. Rimane in ogni caso evidente come questo meschino modo di incedere abbia avvilito l’onore del Paese e lo abbia condotto su di un pendio scosceso e difficilmente reversibile, sebbene spes est ultima dea mori, come dicevano gli antichi Romani.