Fiat, prendere o lasciare ...... e ti tolgo i diritti!
Giovedì, 24 giugno 2010
Il referendum sull’accordo Fiat sindacati relativo allo stabilimento di Pomigliano d’Arco ha sancito la vittoria del sì, ma le polemiche non solo non si placano, ma infuriano rinvigorite sotto la pesante spada di Damocle di un quasi 38% di voti contrari registrati.
Adesso c’è quasi il timore che la Fiat, delusa da un risultato che evidenzia un dissenso massiccio all’intesa, sulla base di questo risultato, non intenda dare applicazione al trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia allo stabilimento campano, nonostante l’ad Marchionne abbia dichiarato che la discussione continuerà con le organizzazioni sindacali firmatarie della contestata intesa.
Se fin qui il dibattito e le polemiche sembrerebbero appartenere alla normale dinamica di discussione e scontro di cui ogni confronto sindacale è corredato, rimane in realtà aperto il gravissimo problema apertosi con un intesa che, nel suo contenuto, intervenendo in materia di diritti indisponibili, ha messo in luce un’inedita volontà padronale di realizzare nella disciplina del rapporto di lavoro equilibri restauratori e sostanzialmente antistorici.
Né può accettarsi, quale logica di una nuova regolamentazione della disciplina del lavoro, che un accordo aziendale intervenga persino nel limitare diritti costituzionalmente garantiti. La sussistenza di una crisi economica planetaria, che impone alle aziende la necessità di riorganizzare i meccanismi atti a garantire livelli di produttività in grado di assicurare il recupero dei margini di competitività, non può costituire un movente plausibile al punto da consentire a soggetti privati di negoziare diritti costituzionalmente tutelati. Tale facoltà è concessa solo al legislatore, peraltro nel rispetto di iter procedurali vincolanti.
Con questo assunto il dibattito sull’intesa di Pomigliano, ancorché di dubbia tenuta alla luce dei risultati referendari, dovrebbe ritenersi esaurito, avendo le parti negoziali travalicato nell’oggetto della trattativa i limiti posti loro da norme di legge cogenti e imperative.
Purtroppo, come è ormai consuetudine in questo Paese sempre più con connotazioni di frontiera, la legge non scritta del più forte, - in questo caso la Fiat di Marchionne, - sotto la ricattatrice minaccia di chiusura dello stabilimento, con un atto di arroganza senza precedenti ha imposto la firma di un protocollo platealmente illegale, che non mancherà di ingolfare le aule dei tribunali nella malaugurata ipotesi in cui non venga emendato degli evidenti pregiudizi di costituzionalità.
Aver suonato la grancassa della straordinarietà di questo accordo, persino da parte di ministri in carica, ancor prima di aver valutato la valenza giuridica dell’accordo stesso denota una superficialità, se non addirittura la penosa ignoranza, di chi rappresenta il vertice della gestione statale. E se queste sono le mani alle quali si sono affidati gli Italiani con il loro voto, c’è sicuramente da temere per il nostro futuro, quantunque, tra lodi salva premier, legalizzazione di falsi in bilancio, legittimi impedimenti e bavagli alla libertà di stampa, non mancavano di certo gli elementi per considerare questo governo, la sua guida e i paggi che lo accompagnano una delle peggiori e pericolose espressioni della barbarie culturale e politica della storia repubblicana.
Alla stessa stregua, non possono valutarsi diversamente i proclami della corporazione di viale dell’Astronomia, che per bocca del presidente Marcegaglia non ha esitato ad esprimere il ringraziamento a Marchionne per il contributo fornito dalla Fiat per una politica di nuove relazioni industriali. E per chi immagina i lavoratori alla stregua di randagi da rinchiudere in appositi canili, senza diritti e con un pasto da erogare all’accensione di una lampadina, non c’è dubbio che l’accordo rappresenti un passo importante e irrinunciabile.
Ben ci si rende conto, - come abbiamo già sottolineato n altro articolo, - che un tasso di assenteismo fuori controllo, con oneri ormai insopportabili non solo per le imprese, ma anche per la collettività tutta, chiamata a sostenere il costo di finte malattie, non può essere ammesso, certamente poi in momenti di vacche magre. Ma cosa ben diversa sarebbe stato concertare con il governo le iniziative più idonee per combattere un fenomeno che, in prima battuta, è frutto della criminale connivenza dell’apparato sanitario, preposto sia al rilascio delle certificazioni mediche attestanti lo stato di morbilità dei lavoratori che il controllo sulla sussistenza di quello stato su semplice richiesta dei datori di lavoro. Le gravissime lacune presenti nel meccanismo sanitario non possono costituire la ragione per tagliare alla cieca i diritti sacrosanti alla tutela della salute di chi è effettivamente ammalato. Il toro va afferrato per le corna, recita un vecchio adagio e non è giustificato colui che picchia i figli per aver litigato con la moglie o con il capo reparto.
Dunque, nella annosa e mai risolta questione dell’assenteismo sarebbe stato, - così come è ancora, - necessario intervenire sull’Ordine dei Medici e sulle ASL affinché il delicatissimo lavoro da loro svolto fosse eseguito con deontologia e senso di responsabilità, non con l’approccio del paga Pantalone.
Ma per quanto questi ragionamenti possano apparire di comune intuizione, v’è nel Paese un senso montante di rivalsa che ottunde i cervelli e preferisce le scorciatoie alla trattazione seria dei problemi, certamente più impegnativa ma non per questo da eludere.
Bene ha fatto la Fiom a non sottoscrivere l’accordo e bene farà nel rifiutarsi di apporre la propria firma su un foglio di carta straccia che, così com’è e così com’è stato estorto a coloro che la propria firma ve l’hanno posta, riduce l’Italia alla stregua della Birmania o dello Zimbabwe: là sì, senz’ombra di dubbio, l’accordo potrebbe essere additato quale raro esempio di progresso e di civiltà industriale.
(nella foto, Sergio Marchionne, ad Fiat)
Adesso c’è quasi il timore che la Fiat, delusa da un risultato che evidenzia un dissenso massiccio all’intesa, sulla base di questo risultato, non intenda dare applicazione al trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia allo stabilimento campano, nonostante l’ad Marchionne abbia dichiarato che la discussione continuerà con le organizzazioni sindacali firmatarie della contestata intesa.
Se fin qui il dibattito e le polemiche sembrerebbero appartenere alla normale dinamica di discussione e scontro di cui ogni confronto sindacale è corredato, rimane in realtà aperto il gravissimo problema apertosi con un intesa che, nel suo contenuto, intervenendo in materia di diritti indisponibili, ha messo in luce un’inedita volontà padronale di realizzare nella disciplina del rapporto di lavoro equilibri restauratori e sostanzialmente antistorici.
Né può accettarsi, quale logica di una nuova regolamentazione della disciplina del lavoro, che un accordo aziendale intervenga persino nel limitare diritti costituzionalmente garantiti. La sussistenza di una crisi economica planetaria, che impone alle aziende la necessità di riorganizzare i meccanismi atti a garantire livelli di produttività in grado di assicurare il recupero dei margini di competitività, non può costituire un movente plausibile al punto da consentire a soggetti privati di negoziare diritti costituzionalmente tutelati. Tale facoltà è concessa solo al legislatore, peraltro nel rispetto di iter procedurali vincolanti.
Con questo assunto il dibattito sull’intesa di Pomigliano, ancorché di dubbia tenuta alla luce dei risultati referendari, dovrebbe ritenersi esaurito, avendo le parti negoziali travalicato nell’oggetto della trattativa i limiti posti loro da norme di legge cogenti e imperative.
Purtroppo, come è ormai consuetudine in questo Paese sempre più con connotazioni di frontiera, la legge non scritta del più forte, - in questo caso la Fiat di Marchionne, - sotto la ricattatrice minaccia di chiusura dello stabilimento, con un atto di arroganza senza precedenti ha imposto la firma di un protocollo platealmente illegale, che non mancherà di ingolfare le aule dei tribunali nella malaugurata ipotesi in cui non venga emendato degli evidenti pregiudizi di costituzionalità.
Aver suonato la grancassa della straordinarietà di questo accordo, persino da parte di ministri in carica, ancor prima di aver valutato la valenza giuridica dell’accordo stesso denota una superficialità, se non addirittura la penosa ignoranza, di chi rappresenta il vertice della gestione statale. E se queste sono le mani alle quali si sono affidati gli Italiani con il loro voto, c’è sicuramente da temere per il nostro futuro, quantunque, tra lodi salva premier, legalizzazione di falsi in bilancio, legittimi impedimenti e bavagli alla libertà di stampa, non mancavano di certo gli elementi per considerare questo governo, la sua guida e i paggi che lo accompagnano una delle peggiori e pericolose espressioni della barbarie culturale e politica della storia repubblicana.
Alla stessa stregua, non possono valutarsi diversamente i proclami della corporazione di viale dell’Astronomia, che per bocca del presidente Marcegaglia non ha esitato ad esprimere il ringraziamento a Marchionne per il contributo fornito dalla Fiat per una politica di nuove relazioni industriali. E per chi immagina i lavoratori alla stregua di randagi da rinchiudere in appositi canili, senza diritti e con un pasto da erogare all’accensione di una lampadina, non c’è dubbio che l’accordo rappresenti un passo importante e irrinunciabile.
Ben ci si rende conto, - come abbiamo già sottolineato n altro articolo, - che un tasso di assenteismo fuori controllo, con oneri ormai insopportabili non solo per le imprese, ma anche per la collettività tutta, chiamata a sostenere il costo di finte malattie, non può essere ammesso, certamente poi in momenti di vacche magre. Ma cosa ben diversa sarebbe stato concertare con il governo le iniziative più idonee per combattere un fenomeno che, in prima battuta, è frutto della criminale connivenza dell’apparato sanitario, preposto sia al rilascio delle certificazioni mediche attestanti lo stato di morbilità dei lavoratori che il controllo sulla sussistenza di quello stato su semplice richiesta dei datori di lavoro. Le gravissime lacune presenti nel meccanismo sanitario non possono costituire la ragione per tagliare alla cieca i diritti sacrosanti alla tutela della salute di chi è effettivamente ammalato. Il toro va afferrato per le corna, recita un vecchio adagio e non è giustificato colui che picchia i figli per aver litigato con la moglie o con il capo reparto.
Dunque, nella annosa e mai risolta questione dell’assenteismo sarebbe stato, - così come è ancora, - necessario intervenire sull’Ordine dei Medici e sulle ASL affinché il delicatissimo lavoro da loro svolto fosse eseguito con deontologia e senso di responsabilità, non con l’approccio del paga Pantalone.
Ma per quanto questi ragionamenti possano apparire di comune intuizione, v’è nel Paese un senso montante di rivalsa che ottunde i cervelli e preferisce le scorciatoie alla trattazione seria dei problemi, certamente più impegnativa ma non per questo da eludere.
Bene ha fatto la Fiom a non sottoscrivere l’accordo e bene farà nel rifiutarsi di apporre la propria firma su un foglio di carta straccia che, così com’è e così com’è stato estorto a coloro che la propria firma ve l’hanno posta, riduce l’Italia alla stregua della Birmania o dello Zimbabwe: là sì, senz’ombra di dubbio, l’accordo potrebbe essere additato quale raro esempio di progresso e di civiltà industriale.
(nella foto, Sergio Marchionne, ad Fiat)
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