Comicità made in Italy
Martedì, 7 settembre 2010
Silvio Berlusconi e Umberto Bossi saliranno al Quirinale per chiedere le dimissioni di Gianfranco Fini da presidente della Camera. E' questa la risposta del premier e del leader della Lega al discorso di Mirabello. Una mossa a sorpresa che viene annunciata al termine del vertice di Arcore fra il Cavaliere e lo stato maggiore leghista. «Le dichiarazioni dell'on. Gianfranco Fini sono state unanimemente giudicate inaccettabili», si legge in un comunicato.
«La decisione del presidente del consiglio Silvio Berlusconi e del ministro per le riforme Umberto Bossi di chiedere formalmente le dimissioni del presidente della Camera Gianfranco Fini è politicamente inaccettabile e grave sotto il profilo istituzionale, violando il principio costituzionale della separazione tra poteri». Lo dichiara in una nota il capogruppo di Futuro e Libertà per l'Italia, Italo Bocchino. «La richiesta di Berlusconi e Bossi è strumentale, irrituale e irricevibile ed è gravissima sotto il profilo istituzionale, considerato che la terzietà riguarda il ruolo e non la personalità politica, riguarda la conduzione del ramo parlamentare presieduto e non la libera espressione dei propri convincimenti politici», conclude Bocchino.
Questa la sintesi dell’ennesima serata contrassegnata dall’incontro Bossi-Berlusconi ad Arcore, con la presenza di un nutrito stuolo di camerieri del padrone di casa, pronti ad assecondare ogni richiesta. Incontro conclusosi con tanto di scarno comunicato stampa, che preannuncia la visita del duetto al Quirinale, per chiedere le dimissioni di Gianfranco Fini dalla carica di presidente della Camera.
Pronta la risposta di Bocchino in nome del gruppo di dissidenti strettisi intorno all’ex co-fondatore del PdL, che ha rammentato alla buffa coppia come la loro richiesta sia da ritenersi irrituale sotto il profilo costituzionale e, dunque, irricevibile.
Ma nell’ottica del Cavaliere e del suo socio di Cassano Magnago, Varese, ciò che costituisce evidenza istituzionale è per puro formalismo, convinti come sono da sempre di poter imporre la propria legge in quell’azienda Italia che considerano proprietà privata, e dunque al di fuori da ogni soggezione a regole limitative del potere dell’imprenditore.
Così, riunitosi ieri sera come azionisti di maggioranza in quella che hanno interpretato come un’assemblea straordinaria, hanno deliberato che il signor Gianfranco Fini, dirigente a libro paga della loro azienda e reo di aver messo in discussione gli obblighi derivanti dal piano quinquennale a suo tempo fissato dagli organi deliberanti della società, essendo venuto meno il rapporto fiduciario, debba essere licenziato senza indugio alcuno.
Non è dato ancora sapere se al dirigente dimissionato sarà riconosciuta l’indennità di preavviso e le relative maggiorazioni in ragione dell’età anagrafica previste dal vigente contratto nazionale per i dirigenti d’azienda, né se l’interessato intenderà ricorrere alla magistratura del lavoro per impugnare il licenziamento sospettosamente illegittimo.
A parte questo esilarante quadretto dal quale traspare la becera ignoranza dei due comici personaggi, l’inaudita trovata di Berlusconi e Bossi impone qualche riflessione, non fosse che per la novità con la quale i due leader politici sembrerebbero voler risolvere la grave crisi deflagrata all’interno della maggioranza di governo, - che non pare offrire alcuna via di sbocco se non quella che obbligherebbe Berlusconi a rimettere il mandato nella mani del Capo dello Stato affinché si proceda o alla formazione di un nuovo governo, - ove esistesse ancora la possibilità di comporre una maggioranza intorno ad un nome alternativo a quello del dimissionario Berlusconi, - o ad indire nuove elezioni.
L’iter, per quanto ovvio ed allo stesso semplice, non è gradito ad entrambi i personaggi: a Bossi, consapevole del favore dell’elettorato qualora si andasse al voto immediatamente, un elettorato frastornato dall’indecenza stomachevole della rissa scoppiata in casa PdL, ma che potrebbe affievolire il proprio sdegno, - dunque, la preferenza verso la compagine leghista, - qualora al governo Berlusconi si sostituisse un esecutivo guidato da un altro personaggio e retto da una maggioranza meno traballante e che fosse effettivamente in grado di realizzare alcune riforme ritenute unanimemente urgenti e irrinunciabili, a cominciare dalla revisione della legge elettorale.
Al contrario di Bossi, Berlusconi è dibattuto sull’esito di dell’eventuale rinuncia al mandato di capo dell’esecutivo, in primo luogo perché non è affatto sicuro che Napolitano procederebbe allo scioglimento delle camere, ed un governo affidato ad altro leader, per quanto di transizione, magari per il varo di una diversa legge elettorale e per traghettare il Paese ad elezioni da tenersi in primavera, lo confinerebbe nella posizione inedita di “sconfitto”, poiché avrebbe dimostrato di non aver avuto le capacità promesse di controllare la sua maggioranza e concludere il quinquennio di mandato. In secondo luogo, i sondaggi condotti dai suoi fidati gli hanno detto chiaramente che Fini gli porterebbe via un 5-6% e la Lega potrebbe fare altrettanto, con un evidente ridimensionamento del suo partito e del peso politico relativo. Rimane, infine, l’irrisolta questione giustizia, ancora più minacciosa alla luce dell’imminente sentenza della Consulta sulla illegittimità costituzionale del lodo Alfano e la riapertura, in quel caso, dei processi pendenti a suo carico, primo fra tutti quello Mills.
Qualcuno aveva già previsto che con la fine del periodo feriale ne avremmo visto di belle, ma il quadro che ci si presenta d’innanzi siamo certi va anche oltre le fantasie di uno scrittore di romanzi d’appendice. Rimane la consolazione che, nel nostro piccolo, abbiamo ancora la capacità di porci al vertice dell’attenzione mondiale, sebbene non per la tanto decantata qualità dei prodotti delle nostre imprese, quanto per una qualità forse ad oggi non del tutto apprezzata, la ridicola comicità di una politica cialtrona.
Ma anche questo, in fondo, è made in Italy.
«La decisione del presidente del consiglio Silvio Berlusconi e del ministro per le riforme Umberto Bossi di chiedere formalmente le dimissioni del presidente della Camera Gianfranco Fini è politicamente inaccettabile e grave sotto il profilo istituzionale, violando il principio costituzionale della separazione tra poteri». Lo dichiara in una nota il capogruppo di Futuro e Libertà per l'Italia, Italo Bocchino. «La richiesta di Berlusconi e Bossi è strumentale, irrituale e irricevibile ed è gravissima sotto il profilo istituzionale, considerato che la terzietà riguarda il ruolo e non la personalità politica, riguarda la conduzione del ramo parlamentare presieduto e non la libera espressione dei propri convincimenti politici», conclude Bocchino.
Questa la sintesi dell’ennesima serata contrassegnata dall’incontro Bossi-Berlusconi ad Arcore, con la presenza di un nutrito stuolo di camerieri del padrone di casa, pronti ad assecondare ogni richiesta. Incontro conclusosi con tanto di scarno comunicato stampa, che preannuncia la visita del duetto al Quirinale, per chiedere le dimissioni di Gianfranco Fini dalla carica di presidente della Camera.
Pronta la risposta di Bocchino in nome del gruppo di dissidenti strettisi intorno all’ex co-fondatore del PdL, che ha rammentato alla buffa coppia come la loro richiesta sia da ritenersi irrituale sotto il profilo costituzionale e, dunque, irricevibile.
Ma nell’ottica del Cavaliere e del suo socio di Cassano Magnago, Varese, ciò che costituisce evidenza istituzionale è per puro formalismo, convinti come sono da sempre di poter imporre la propria legge in quell’azienda Italia che considerano proprietà privata, e dunque al di fuori da ogni soggezione a regole limitative del potere dell’imprenditore.
Così, riunitosi ieri sera come azionisti di maggioranza in quella che hanno interpretato come un’assemblea straordinaria, hanno deliberato che il signor Gianfranco Fini, dirigente a libro paga della loro azienda e reo di aver messo in discussione gli obblighi derivanti dal piano quinquennale a suo tempo fissato dagli organi deliberanti della società, essendo venuto meno il rapporto fiduciario, debba essere licenziato senza indugio alcuno.
Non è dato ancora sapere se al dirigente dimissionato sarà riconosciuta l’indennità di preavviso e le relative maggiorazioni in ragione dell’età anagrafica previste dal vigente contratto nazionale per i dirigenti d’azienda, né se l’interessato intenderà ricorrere alla magistratura del lavoro per impugnare il licenziamento sospettosamente illegittimo.
A parte questo esilarante quadretto dal quale traspare la becera ignoranza dei due comici personaggi, l’inaudita trovata di Berlusconi e Bossi impone qualche riflessione, non fosse che per la novità con la quale i due leader politici sembrerebbero voler risolvere la grave crisi deflagrata all’interno della maggioranza di governo, - che non pare offrire alcuna via di sbocco se non quella che obbligherebbe Berlusconi a rimettere il mandato nella mani del Capo dello Stato affinché si proceda o alla formazione di un nuovo governo, - ove esistesse ancora la possibilità di comporre una maggioranza intorno ad un nome alternativo a quello del dimissionario Berlusconi, - o ad indire nuove elezioni.
L’iter, per quanto ovvio ed allo stesso semplice, non è gradito ad entrambi i personaggi: a Bossi, consapevole del favore dell’elettorato qualora si andasse al voto immediatamente, un elettorato frastornato dall’indecenza stomachevole della rissa scoppiata in casa PdL, ma che potrebbe affievolire il proprio sdegno, - dunque, la preferenza verso la compagine leghista, - qualora al governo Berlusconi si sostituisse un esecutivo guidato da un altro personaggio e retto da una maggioranza meno traballante e che fosse effettivamente in grado di realizzare alcune riforme ritenute unanimemente urgenti e irrinunciabili, a cominciare dalla revisione della legge elettorale.
Al contrario di Bossi, Berlusconi è dibattuto sull’esito di dell’eventuale rinuncia al mandato di capo dell’esecutivo, in primo luogo perché non è affatto sicuro che Napolitano procederebbe allo scioglimento delle camere, ed un governo affidato ad altro leader, per quanto di transizione, magari per il varo di una diversa legge elettorale e per traghettare il Paese ad elezioni da tenersi in primavera, lo confinerebbe nella posizione inedita di “sconfitto”, poiché avrebbe dimostrato di non aver avuto le capacità promesse di controllare la sua maggioranza e concludere il quinquennio di mandato. In secondo luogo, i sondaggi condotti dai suoi fidati gli hanno detto chiaramente che Fini gli porterebbe via un 5-6% e la Lega potrebbe fare altrettanto, con un evidente ridimensionamento del suo partito e del peso politico relativo. Rimane, infine, l’irrisolta questione giustizia, ancora più minacciosa alla luce dell’imminente sentenza della Consulta sulla illegittimità costituzionale del lodo Alfano e la riapertura, in quel caso, dei processi pendenti a suo carico, primo fra tutti quello Mills.
Qualcuno aveva già previsto che con la fine del periodo feriale ne avremmo visto di belle, ma il quadro che ci si presenta d’innanzi siamo certi va anche oltre le fantasie di uno scrittore di romanzi d’appendice. Rimane la consolazione che, nel nostro piccolo, abbiamo ancora la capacità di porci al vertice dell’attenzione mondiale, sebbene non per la tanto decantata qualità dei prodotti delle nostre imprese, quanto per una qualità forse ad oggi non del tutto apprezzata, la ridicola comicità di una politica cialtrona.
Ma anche questo, in fondo, è made in Italy.
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