I servi della gleba del terzo millennio
Giovedì, 26 agosto 2010
Un’idea ci sarebbe per uscire dal tormentone della riforma della giustizia di cui si parla da troppo tempo ma solo per sollevare polemiche d’ogni genere senza arrivare a risultato. E l’idea non è poi tanto peregrina, considerato che oramai le decisioni dei tribunali non sembrano più far testo.
In questo clima di sfascio totale basterebbe trasformare per legge la magistratura in organo consultivo, una sorta di Accademia dei Lincei a cui delegare il rilascio di pareri, ovviamente non vincolanti, su ciò che l’etica dominante ritiene lecito o meno. Se così fosse, con una riforma del genere non avremmo più bisogno di scomodare il Presidente della Repubblica affinché rilasci la sua esortazione al rispetto delle sentenze dei magistrati; il signor Silvio Berlusconi finirebbe di massacrare i marroni agli Italiani con la tiritera sulle persecuzioni cui è soggetto nonostante sia innocente (parola di re!); la Marcegaglia, presidente di Confindustria, non dovrebbe svelare al mondo i panni sporchi, facendo sapere che le quattro nozioni di diritto del lavoro che ostenta sono il frutto di sacrificati studi per corrispondenza presso il CEPU; i Verdini, Dell’Utri, Previti, Bertolaso, Scajola e i tanti specchiati personaggi che ruotano alla greppia del potere e che intasano il lavoro delle procure, riacquisterebbero la credibilità appannata dalla tignosa quanto ostile opera inquirente di quattro terroristi rossi annidati nei palazzi della sedicente giustizia; e così di seguito, lasciando alla fantasia del lettore l’individuazione delle migliaia di inutili indagini e processi che oggi distraggono l’alacre attività di un manipolo di uomini valorosi al servizio del Paese.
Così, finalmente, i tre pezzenti di Melfi, sorpresi a protestare ingiustamente contro i trattamenti riservati loro da quel galantuomo di Marchionne, se ne starebbero definitivamente a casa, invece di spacciarsi per vittime dell’arroganza padronale e del disprezzo per le regole del diritto.
E che con queste rivendicazioni di presunti diritti calpestati i lavoratori abbiano rotto, non v’è più dubbio. Ieri in Puglia ne tiravano le cuoia ancore tre, asfissiati mentre pulivano una cisterna, e s’è riaperta l’antica questione del rispetto delle norme antinfortunistiche nei posti di lavoro, norme che vengono sistematicamente eluse e che provocano alcune migliaia di morti all’anno. Ma si sa, la vita della gente vale poco al cospetto dei risparmi che si realizzano con l’omessa dotazione di degli strumenti di sicurezza e la disapplicazione delle cautele necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro. Lo ha detto anche quella testa fine di Giulio Tremonti, nel maldestro tentativo d’imitare il mitico Cetto La Qualunque, ma con risultati assai modesti: «La 626 è un lusso che non ci possiamo permettere». Come a ribadire che queste leggi e una magistratura che vigila sulla loro applicazione non sono più sopportabili per un paese civile, nel quale il movimento verso il progresso è sistematicamente intralciato da quattro stronzi che reclamano elmetti di sicurezza, guanti protettivi e altre assurde e costose amenità che gravano sui bilanci dei padroni: qualcuno ci lascia le penne?, beh, chi se ne frega, d’altra pare non è possibile interferire nelle scelte del tutto personali di suicidarsi. Anche questa è democrazia, un sintomo inoppugnabile di come i tempi siano talmente maturi perché i cittadini non abbiano più bisogno di qualcuno che dica loro ciò che debbono fare o ciò che sia lecito. Così, chi sia in pena per la propria salute o la personale incolumità, - in altri termini, chi ritiene non sia ancora giunto il suo momento di passare a miglio vita, - si attrezzi portandosi da casa il necessario e, in caso di dimenticanza, non stia a rompere con il supporto dei soliti comunisti.
Il ragionamento non pare faccia una grinza. Peccato che di comunisti in giro non se ne vedano più da un pezzo. Anzi pare che ludoteche e kinder house stiano organizzando per i più piccini, che grazie alla cosiddetta modernità non sono più in grado di distinguere un asino da un cavallo, una sorta di caccia al tesoro con l’obiettivo di individuarne qualcuno. Le scuole per i più abbienti, sembra invece abbiano organizzato visite museali, dove si custodisce ancora qualche reperto, protetto da sofisticati sistemi di sorveglianza.
Certo, dover prendere atto che dei comunisti non v’è più traccia è stato uno shock non indifferente, visto che il signor Berlusconi per anni ha ingannato gli Italiani con questa frottola. Gli stessi operai di Melfi s’erano illusi che, scoppiato il loro caso, schiere di umanità, armate di bandiere rosse e brandendo falci e martelli, avrebbero invaso le piazze per appoggiare la loro causa al canto di “avanti popolo alla riscossa”. Invece non è successo nulla. Un signore distinto sospettato di essere un affiliato alla congregazione rossa, di nome Bersani, intervisto sulla questione, ha tenuto a precisare che il suo colore preferito è il rosa e che comunque essendo i fatti in questione avvenuti in piena stagione feriale non era stato possibile raccogliere dai luoghi di vacanza dove s’erano recati neanche i quattro volontari che, generalmente, si prestano a goliardiche manifestazioni di pseudo-solidarietà, essendo il grosso degli iscritti al PD, - Partito Demagogico, - molto abbottonati e poco inclini a dar spunto al signor Berlusconi e soci per accendere il giradischi e suonare la solita solfa.
In ogni caso, fa trapelare il signor Bersani con il suo comportamento, è bene che i lavoratori si rendano conto che non è più possibile continuare su questa strada: versare incautamente il latte e chiedere a qualcuno di passare lo straccio. Non è più il tempo della solidarietà né delle manifestazioni di piazza, che distrae dall’impegno che richiede la lotta per mantenere la poltrona.
In questo scampolo di fine estate, contrassegnato dalle esilaranti gag regalateci dall’impareggiabile Cavalier Banana, - maestro di soap opere televisive, di giornali, e di dossieraggi, - da Fini e consorte, - ormai in procinto di passare alla Gabetti International, grazie alle loro comprovate esperienze nel settore immobiliare, - e dal sempiterno Bossi, - rimasto in canottiera chiuso in casa per tutta l’estate a sperimentare se tutte le angurie sono verdi fuori e rosse dentro e a farfugliare una straziante litania dal titolo “al voto, al voto”, - ieri abbiamo assistito ad un’esilarante kermesse di fine vacanze, dal titolo tutto un programma I balabiot, farsa in atto unico liberamente tratta da un’opera di Carlo Porta, che ha visto riuniti per l’appunto i guitti più rappresentativi del teatrino al governo. La trama della farsa, - che vedeva la partecipazione speciale di Tremonti, nel ruolo del dottor Mengele, data la sua esperienza in tecniche di pulizia etnica nel settore operaio e nel mondo del lavoro dipendente (tant’è che ormai è quasi scomparso), - e di un certo Calderoli, - già figurante in numerosi cortometraggi, ma promettente attore in ruoli di piromane e d’agente provocatore, - era incentrata sul rifacimento della mitica pièce Aspettando Godot, in cui stavolta però non s’aspettava nessuno, ma doveva decidersi su una questione di casini sì o di casini no, di amletica memoria. Alla fine la farsa, - che si conclude con un tuffo nelle acque del Lago Maggiore dell’intero cast, che approfitta della nudità scanzonata (balabiot) con la quale si presenta in scena, - si chiude con un messaggio di altissimo valore morale: continuiamo così che di casini ne facciamo a iosa e comunque ce ne abbiamo già troppi senza l’aiuto di nessuno.
E nel frattempo, tra una sceneggiata e una rissa, tra una minaccia di ricorso alle urne ed il silenzio dell’opposizione, tra un licenziamento e un nuovo caso di ladrocinio d’un potente, i servi della gleba pagano.
(nella foto, Umberto Bossi, ministro del governo Berlusconi e leader della Lega, mentre accenna al solito signorile e affettuoso cenno di saluto agli Italiani)
In questo clima di sfascio totale basterebbe trasformare per legge la magistratura in organo consultivo, una sorta di Accademia dei Lincei a cui delegare il rilascio di pareri, ovviamente non vincolanti, su ciò che l’etica dominante ritiene lecito o meno. Se così fosse, con una riforma del genere non avremmo più bisogno di scomodare il Presidente della Repubblica affinché rilasci la sua esortazione al rispetto delle sentenze dei magistrati; il signor Silvio Berlusconi finirebbe di massacrare i marroni agli Italiani con la tiritera sulle persecuzioni cui è soggetto nonostante sia innocente (parola di re!); la Marcegaglia, presidente di Confindustria, non dovrebbe svelare al mondo i panni sporchi, facendo sapere che le quattro nozioni di diritto del lavoro che ostenta sono il frutto di sacrificati studi per corrispondenza presso il CEPU; i Verdini, Dell’Utri, Previti, Bertolaso, Scajola e i tanti specchiati personaggi che ruotano alla greppia del potere e che intasano il lavoro delle procure, riacquisterebbero la credibilità appannata dalla tignosa quanto ostile opera inquirente di quattro terroristi rossi annidati nei palazzi della sedicente giustizia; e così di seguito, lasciando alla fantasia del lettore l’individuazione delle migliaia di inutili indagini e processi che oggi distraggono l’alacre attività di un manipolo di uomini valorosi al servizio del Paese.
Così, finalmente, i tre pezzenti di Melfi, sorpresi a protestare ingiustamente contro i trattamenti riservati loro da quel galantuomo di Marchionne, se ne starebbero definitivamente a casa, invece di spacciarsi per vittime dell’arroganza padronale e del disprezzo per le regole del diritto.
E che con queste rivendicazioni di presunti diritti calpestati i lavoratori abbiano rotto, non v’è più dubbio. Ieri in Puglia ne tiravano le cuoia ancore tre, asfissiati mentre pulivano una cisterna, e s’è riaperta l’antica questione del rispetto delle norme antinfortunistiche nei posti di lavoro, norme che vengono sistematicamente eluse e che provocano alcune migliaia di morti all’anno. Ma si sa, la vita della gente vale poco al cospetto dei risparmi che si realizzano con l’omessa dotazione di degli strumenti di sicurezza e la disapplicazione delle cautele necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro. Lo ha detto anche quella testa fine di Giulio Tremonti, nel maldestro tentativo d’imitare il mitico Cetto La Qualunque, ma con risultati assai modesti: «La 626 è un lusso che non ci possiamo permettere». Come a ribadire che queste leggi e una magistratura che vigila sulla loro applicazione non sono più sopportabili per un paese civile, nel quale il movimento verso il progresso è sistematicamente intralciato da quattro stronzi che reclamano elmetti di sicurezza, guanti protettivi e altre assurde e costose amenità che gravano sui bilanci dei padroni: qualcuno ci lascia le penne?, beh, chi se ne frega, d’altra pare non è possibile interferire nelle scelte del tutto personali di suicidarsi. Anche questa è democrazia, un sintomo inoppugnabile di come i tempi siano talmente maturi perché i cittadini non abbiano più bisogno di qualcuno che dica loro ciò che debbono fare o ciò che sia lecito. Così, chi sia in pena per la propria salute o la personale incolumità, - in altri termini, chi ritiene non sia ancora giunto il suo momento di passare a miglio vita, - si attrezzi portandosi da casa il necessario e, in caso di dimenticanza, non stia a rompere con il supporto dei soliti comunisti.
Il ragionamento non pare faccia una grinza. Peccato che di comunisti in giro non se ne vedano più da un pezzo. Anzi pare che ludoteche e kinder house stiano organizzando per i più piccini, che grazie alla cosiddetta modernità non sono più in grado di distinguere un asino da un cavallo, una sorta di caccia al tesoro con l’obiettivo di individuarne qualcuno. Le scuole per i più abbienti, sembra invece abbiano organizzato visite museali, dove si custodisce ancora qualche reperto, protetto da sofisticati sistemi di sorveglianza.
Certo, dover prendere atto che dei comunisti non v’è più traccia è stato uno shock non indifferente, visto che il signor Berlusconi per anni ha ingannato gli Italiani con questa frottola. Gli stessi operai di Melfi s’erano illusi che, scoppiato il loro caso, schiere di umanità, armate di bandiere rosse e brandendo falci e martelli, avrebbero invaso le piazze per appoggiare la loro causa al canto di “avanti popolo alla riscossa”. Invece non è successo nulla. Un signore distinto sospettato di essere un affiliato alla congregazione rossa, di nome Bersani, intervisto sulla questione, ha tenuto a precisare che il suo colore preferito è il rosa e che comunque essendo i fatti in questione avvenuti in piena stagione feriale non era stato possibile raccogliere dai luoghi di vacanza dove s’erano recati neanche i quattro volontari che, generalmente, si prestano a goliardiche manifestazioni di pseudo-solidarietà, essendo il grosso degli iscritti al PD, - Partito Demagogico, - molto abbottonati e poco inclini a dar spunto al signor Berlusconi e soci per accendere il giradischi e suonare la solita solfa.
In ogni caso, fa trapelare il signor Bersani con il suo comportamento, è bene che i lavoratori si rendano conto che non è più possibile continuare su questa strada: versare incautamente il latte e chiedere a qualcuno di passare lo straccio. Non è più il tempo della solidarietà né delle manifestazioni di piazza, che distrae dall’impegno che richiede la lotta per mantenere la poltrona.
In questo scampolo di fine estate, contrassegnato dalle esilaranti gag regalateci dall’impareggiabile Cavalier Banana, - maestro di soap opere televisive, di giornali, e di dossieraggi, - da Fini e consorte, - ormai in procinto di passare alla Gabetti International, grazie alle loro comprovate esperienze nel settore immobiliare, - e dal sempiterno Bossi, - rimasto in canottiera chiuso in casa per tutta l’estate a sperimentare se tutte le angurie sono verdi fuori e rosse dentro e a farfugliare una straziante litania dal titolo “al voto, al voto”, - ieri abbiamo assistito ad un’esilarante kermesse di fine vacanze, dal titolo tutto un programma I balabiot, farsa in atto unico liberamente tratta da un’opera di Carlo Porta, che ha visto riuniti per l’appunto i guitti più rappresentativi del teatrino al governo. La trama della farsa, - che vedeva la partecipazione speciale di Tremonti, nel ruolo del dottor Mengele, data la sua esperienza in tecniche di pulizia etnica nel settore operaio e nel mondo del lavoro dipendente (tant’è che ormai è quasi scomparso), - e di un certo Calderoli, - già figurante in numerosi cortometraggi, ma promettente attore in ruoli di piromane e d’agente provocatore, - era incentrata sul rifacimento della mitica pièce Aspettando Godot, in cui stavolta però non s’aspettava nessuno, ma doveva decidersi su una questione di casini sì o di casini no, di amletica memoria. Alla fine la farsa, - che si conclude con un tuffo nelle acque del Lago Maggiore dell’intero cast, che approfitta della nudità scanzonata (balabiot) con la quale si presenta in scena, - si chiude con un messaggio di altissimo valore morale: continuiamo così che di casini ne facciamo a iosa e comunque ce ne abbiamo già troppi senza l’aiuto di nessuno.
E nel frattempo, tra una sceneggiata e una rissa, tra una minaccia di ricorso alle urne ed il silenzio dell’opposizione, tra un licenziamento e un nuovo caso di ladrocinio d’un potente, i servi della gleba pagano.
(nella foto, Umberto Bossi, ministro del governo Berlusconi e leader della Lega, mentre accenna al solito signorile e affettuoso cenno di saluto agli Italiani)
1 Commenti:
L'attuale crisi che sta devastando l'intero mondo non è una crisi finanziaria, questa è una crisi della stupidità e del falso morale.
Un futuro migliore è in lungo ritardo. Ma per quale raggione? Nella sala decisionale sono tutti assenti, fuori c'è brutto tempo, ci sono i lavori lungo la strada, fanno l'autopsia all'alieno o è un mix di qualcos'altro?
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