Fini, il coraggio del pentimento
Domenica, 22 agosto 2010
Il monsone Fini sta determinando nel quadro politico nazionale una situazione del tutto inedita e dai risvolti ancora non del tutto prevedibili, poiché rappresenta il primo scossone vero ad una concezione del governo dello stato assolutistica, personalistica e di pura opportunità che appesta le coscienze degli Italiani ormai da 16 lunghi anni.
Ed è paradossale che lo scossone, che sembra preludere ad un terremoto dagli effetti distruttivi sugli assetti di quella che fu trionfalmente salutata come la Seconda Repubblica, sia stato inferto al regime in atto proprio da una sua componente interna, sostituitasi in quest’opera devastatrice alle forze ignave dell’opposizione ufficiale.
E che il terremoto in atto sia di natura distruttiva è confermato dalle chiare e allo stesso tempi gravi e inequivoche dichiarazioni di coloro che lo hanno messo in onda, non limitate alle piccole schermaglie verbali su questioni marginali, che fanno parte della normale dinamica di contrapposizione delle idee e dei metodi di prassi politica, ma riguardano la natura stessa del berlusconismo, rimettendo in discussione il patto, -“scellerato”, si potrebbe dire oggi, - che ha celebrato appena pochi due anni fa il matrimonio tra gli ex fidanzati AN e Forza Italia. Un matrimonio clamoroso, avvenuto con un colpo di scena pirotecnico, all’insaputa quasi di uno dei due promessi coniugi, con una dichiarazione d’amore perenne fatta da uno spasimante deciso a mettere l’altro davanti al fatto compiuto, dal predellino di un auto al cospetto di migliaia di persone.
Come tutti i matrimoni consumati in fretta e furia, per quanto animati dai migliori propositi dei due amanti, ben presto le incompatibilità caratteriali tra coniugi sono venute alla luce, trasformandosi rapidamente in fratture insanabili sul metodo di governo della casa comune, sino a scivolare in divergenti visioni del mondo.
In questo clima di ménage avvelenato, Fini, minacciato d’esser cacciato da quel ch’era stato il nido d’amore, ha trovato la dignitosa forza di raccogliere frettolosamente la sua roba e andarsene tirandosi dietro la porta, anziché farsela sbattere in faccia, che avrebbe significato subire l’onta di uno sfratto dettato solo dall’ultimo atto in ordine di tempo di un compagno talmente in costante delirio d’onnipotenza da abbandonarsi a continui monologhi dittatoriali, senza lasciare alcuno spazio al dialogo.
Non contento della bravata, quasi per giustificare con il vicinato l’origine di quella rottura eclatante, Berlusconi non ha risparmiato all’ex consorte alcuna accusa, né politica né più prosaica di tradimento, falsità, opportunismo e deliranti annessi. E’ persino arrivato al punto di utilizzare schiere di servitori e quinte colonne per rimbambire il Paese con stupide teorie di improvvise sterzate politiche dell’ex alleato, tese a minare la sua credibilità, - sempre che ne conservi una, - al fine di sostituirlo con un colpo di mano alla guida del partito e del governo. E dove la maldicenza non è bastata, s’è servito dei media di famiglia per insinuare il dubbio che Fini sia più che un fedifrago. Un ipocrita affarista bigotto pronto a censurare i comportamenti altrui, ma incline come tutti a curare gli affaracci propri a vantaggio di parenti e di se stesso.
Davanti a quella che ormai è a tutti gli effetti una disgustosa soap opera dalle puntate interminabili come Beautiful, Fini e il manipolo di dissidenti che ha raccolto hanno rotto gli indugi e, - fatto mai avvenuto prima, - hanno lanciato alla volta dell’ex alleato e dei suoi scagnozzi messaggi chiari in grado di far impallidire qualsiasi intrepido ma non certo il Ciarlatano di Arcore.
Il berlusconismo, l’idea che ha della politica il suo leader, è un mix di «dossieraggio, ricatti, menzogna per distruggere l’avversario, propaganda stupida e intontita, slogan, signorsì e canzoncine ebeti», hanno dichiarato i dissidenti dalle pagine di Fare Futuro, rivista ufficiale dell’omonimo gruppo di riferimento a Gianfranco Fini. «Il senso di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa», è veramente elevato, sebbene «oggi che gli editti toccano da vicino, può sembrare fin troppo facile cambiare idea» e persino che «ha ragione chi dice: perché non ci avete pensato prima?». Infine, ammettono i Finiani, «non c’è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Un vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore».
Dichiarazioni di questa natura vanno ben oltre la semplice critica rituale, perché implicano il metterci la faccia, un’ammissione di errore che, se pur tardivo, non può prescindere dalla sincera presa d’atto di chi ben ne conosce le conseguenze davanti ai propri elettori. Fini, ciò nonostante, preferisce correre il rischio di sputtanarsi così piuttosto che continuare un rapporto associativo giunto irrimediabilmente al capolinea e che nel lungo termine non avrebbe che potuto dimostrarsi fatale anche per lui: «Chi parla così merita un’apertura di credito: cioè di essere giudicato non da quel che ha fatto ieri, ma da quel che farà domani (specie in tema di libertà d’informazione e legalità)», scrive oggi su Il fatto quotidiano Marco Travaglio, che non può essere certo sospettato di generose simpatie nei confronti di Fini e dell’attuale governo Berlusconi.
Vedremo a settembre cosa succederà, se saranno elezioni come rivendica la Lega per ovvie ragioni di sondaggio, che la vedono favorita in questo processo di disfacimento del centro-destra, e come minaccia il premier, oppure ci sarà un lento riavvicinamento dei Finiani alle posizioni di questa maggioranza comatosa.
Comunque vadano le cose, il voto in primavera sembra fatto scontato, così come sembra ormai scontato il destino di Berlusconi, avviato consapevolmente sul viale del tramonto e per questo alla ricerca di ogni soluzione possibile che gli eviti la temuta ecclissi tragica.
Ed è paradossale che lo scossone, che sembra preludere ad un terremoto dagli effetti distruttivi sugli assetti di quella che fu trionfalmente salutata come la Seconda Repubblica, sia stato inferto al regime in atto proprio da una sua componente interna, sostituitasi in quest’opera devastatrice alle forze ignave dell’opposizione ufficiale.
E che il terremoto in atto sia di natura distruttiva è confermato dalle chiare e allo stesso tempi gravi e inequivoche dichiarazioni di coloro che lo hanno messo in onda, non limitate alle piccole schermaglie verbali su questioni marginali, che fanno parte della normale dinamica di contrapposizione delle idee e dei metodi di prassi politica, ma riguardano la natura stessa del berlusconismo, rimettendo in discussione il patto, -“scellerato”, si potrebbe dire oggi, - che ha celebrato appena pochi due anni fa il matrimonio tra gli ex fidanzati AN e Forza Italia. Un matrimonio clamoroso, avvenuto con un colpo di scena pirotecnico, all’insaputa quasi di uno dei due promessi coniugi, con una dichiarazione d’amore perenne fatta da uno spasimante deciso a mettere l’altro davanti al fatto compiuto, dal predellino di un auto al cospetto di migliaia di persone.
Come tutti i matrimoni consumati in fretta e furia, per quanto animati dai migliori propositi dei due amanti, ben presto le incompatibilità caratteriali tra coniugi sono venute alla luce, trasformandosi rapidamente in fratture insanabili sul metodo di governo della casa comune, sino a scivolare in divergenti visioni del mondo.
In questo clima di ménage avvelenato, Fini, minacciato d’esser cacciato da quel ch’era stato il nido d’amore, ha trovato la dignitosa forza di raccogliere frettolosamente la sua roba e andarsene tirandosi dietro la porta, anziché farsela sbattere in faccia, che avrebbe significato subire l’onta di uno sfratto dettato solo dall’ultimo atto in ordine di tempo di un compagno talmente in costante delirio d’onnipotenza da abbandonarsi a continui monologhi dittatoriali, senza lasciare alcuno spazio al dialogo.
Non contento della bravata, quasi per giustificare con il vicinato l’origine di quella rottura eclatante, Berlusconi non ha risparmiato all’ex consorte alcuna accusa, né politica né più prosaica di tradimento, falsità, opportunismo e deliranti annessi. E’ persino arrivato al punto di utilizzare schiere di servitori e quinte colonne per rimbambire il Paese con stupide teorie di improvvise sterzate politiche dell’ex alleato, tese a minare la sua credibilità, - sempre che ne conservi una, - al fine di sostituirlo con un colpo di mano alla guida del partito e del governo. E dove la maldicenza non è bastata, s’è servito dei media di famiglia per insinuare il dubbio che Fini sia più che un fedifrago. Un ipocrita affarista bigotto pronto a censurare i comportamenti altrui, ma incline come tutti a curare gli affaracci propri a vantaggio di parenti e di se stesso.
Davanti a quella che ormai è a tutti gli effetti una disgustosa soap opera dalle puntate interminabili come Beautiful, Fini e il manipolo di dissidenti che ha raccolto hanno rotto gli indugi e, - fatto mai avvenuto prima, - hanno lanciato alla volta dell’ex alleato e dei suoi scagnozzi messaggi chiari in grado di far impallidire qualsiasi intrepido ma non certo il Ciarlatano di Arcore.
Il berlusconismo, l’idea che ha della politica il suo leader, è un mix di «dossieraggio, ricatti, menzogna per distruggere l’avversario, propaganda stupida e intontita, slogan, signorsì e canzoncine ebeti», hanno dichiarato i dissidenti dalle pagine di Fare Futuro, rivista ufficiale dell’omonimo gruppo di riferimento a Gianfranco Fini. «Il senso di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa», è veramente elevato, sebbene «oggi che gli editti toccano da vicino, può sembrare fin troppo facile cambiare idea» e persino che «ha ragione chi dice: perché non ci avete pensato prima?». Infine, ammettono i Finiani, «non c’è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Un vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore».
Dichiarazioni di questa natura vanno ben oltre la semplice critica rituale, perché implicano il metterci la faccia, un’ammissione di errore che, se pur tardivo, non può prescindere dalla sincera presa d’atto di chi ben ne conosce le conseguenze davanti ai propri elettori. Fini, ciò nonostante, preferisce correre il rischio di sputtanarsi così piuttosto che continuare un rapporto associativo giunto irrimediabilmente al capolinea e che nel lungo termine non avrebbe che potuto dimostrarsi fatale anche per lui: «Chi parla così merita un’apertura di credito: cioè di essere giudicato non da quel che ha fatto ieri, ma da quel che farà domani (specie in tema di libertà d’informazione e legalità)», scrive oggi su Il fatto quotidiano Marco Travaglio, che non può essere certo sospettato di generose simpatie nei confronti di Fini e dell’attuale governo Berlusconi.
Vedremo a settembre cosa succederà, se saranno elezioni come rivendica la Lega per ovvie ragioni di sondaggio, che la vedono favorita in questo processo di disfacimento del centro-destra, e come minaccia il premier, oppure ci sarà un lento riavvicinamento dei Finiani alle posizioni di questa maggioranza comatosa.
Comunque vadano le cose, il voto in primavera sembra fatto scontato, così come sembra ormai scontato il destino di Berlusconi, avviato consapevolmente sul viale del tramonto e per questo alla ricerca di ogni soluzione possibile che gli eviti la temuta ecclissi tragica.
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