Anche i ricchi piangono
Mercoledì, 18 agosto 2010
Guardarsi allo specchio ed accorgersi di essere un italiano qualunque, dev’essere uno shock tremendo, ma che, a ben vedere, ha i suoi indubbi lati positivi, se non altro perché difficilmente potrà capitare di trovarsi coinvolti uno di quei drammi che, in fondo, fanno concludere che anche i ricchi piangono.
Sì, sarà dura passar la vita a farsi prendere a calci nel fondoschiena da un padrone che ti fa lavorare per quattro miseri soldi, giurando di non poter fare di più perché la crisi ha colpito anche lui. E poco rileva che questa peana te la faccia al telefono dallo yacht rigorosamente preso a noleggio e ancorato a Porto Cervo. Se per caso gli fai qualche battuta in proposito magari ti risponde che, per far contenta la moglie, la solita donna che capisce poco e non vuol sentir ragioni, s’è dovuto indebitare fino alla prossima estate per pagare le rate di quel noleggio, mentre la tua, più comprensiva, si contenta della vacanza mordi e fuggi del fine settimana, con tanto di panino e di spiaggia libera.
Poi pensi alla sfiga di Scajola, che dopo essere riuscito a comprare un modesto appartamentino con anni e anni di duro lavoro e sacrifici, s’è ritrovato a rimetterci pure la carriera per lo stupido scherzo di un burlone che ha raccontato ai quattro venti la storiella di pagamenti fatti per lui, ma a sua insaputa, per consentirgli d’acquistare quell’ambita casetta a prezzo modico. Sicuramente può anche risultare una sfortuna non avere amici così burloni, ma i tre locali popolari con un cesso solo per tutta la famiglia e magari pagati con mutuo trentennale, è più difficile che se li possano portare via, senza parlare della carriera che non c’entra affatto.
E che dire di Dell’Utri? Lui che s’è beccato sette anni in appello per aver semplicemente osservato qualche elementare precetto della chiesa, dar da mangiare agli affamati e vestire gli ignudi. Dell’Utri bibliografo, mecenate, anfitrione, cultore dell’epopea garibaldina, che si ritrova nei guai solo per avere ospitato un eroe di nome Mangano, che a differenza del prode di Nizza, aveva fatto il tragitto al contrario, da Marsala a Quarto, ma mosso dagli stessi nobili propositi, quelli di liberare il Nord del Paese dal tallone di un capitalismo neo-borbonico vorace, egoista, che nulla dà agli indigenti e che tiranneggia i ceti più poveri. Qualcuno potrebbe obiettare che nella spedizione, l’eroe Mangano, s’era portato dietro dei picciotti, ma l’obiezione è priva di significato, dato che fa perno solo su una banale questione terminologica, che nulla ha a che vedere con la grinta e la vocazione al sacrificio di questi intrepidi. La dimostrazione sta nella capacità che ha avuto questo tentativo, - non si sa ancora bene quanto riuscito, - di arruolare schiere di volontari sul posto, chiamati affettuosamente colletti bianchi, per distinguerli dalle camicie rosse dell’impresa precedente. E poi noto che il rosso è un colore che non va più di moda e provoca crisi epilettiche a Berlusconi, che dell’eroe Mangano è stato albergatore, sebbene ignaro degli alti sentimenti che animavano l’insigne ospite.
Ma vogliamo guardare al povero Verdini? Ecco un altro caso di perseguitato a causa della notorietà. Il poveretto, nato con il pallino della filantropia, passa la vita a raccogliere spiccioli per mettere su una banca, il cui scopo è aiutare la povera gente a comprare a rate frigoriferi, televisori, cellulari ed altre componenti essenziali per poterli illudere di condurre una vita dignitosa: cosa c’è di strano se tra questi bisognosi v’era anche qualche amico suo e qualche familiare? V’è forse qualcosa da condannare nel comportamento di colui che dà una mano all’amico? Secondo i vertici di via Nazionale, parrebbe di sì, visto che lì non hanno cuore e lo accusano di aver distratto somme ingenti a vantaggio di persone che non davano garanzia di solvibilità o, - contumelia delle contumelie!, - per affari nei quali era direttamente coinvolto. La tesi di Draghi e soci è di tutta evidenza priva di fondamento logico, ancorché esente da ogni minimo senso etico: ma i soldi si dovrebbero forse dare a chi già li ha?, s’è difeso il filantropo Verdini, e se è doveroso aiutare un amico si deve rifiutare la mano a chi, secondo la becera chiosa di via Nazionale, ha la sola colpa di appartenere alla cerchia familiare di chi tira le fila?
Non c’è più mondo, si potrebbe concludere e questa è la conclusione alla quale dev’essere arrivato il benemerito Bertolaso, sempre pronto a dare una mano, e non solo, con i suoi stacanovisti assistenti a terremotati, alluvionati e vari sinistrati dalla sorte. Lui, pronto anche ad organizzare faraonici eventi per contribuire all’immagine nel mondo di questo popolo di pellegrini, che si ritrova nella polvere per le invidie di chi non è stato invitato all’inaugurazione della Maddalena o al megagalattico centro sportivo e benessere di Roma, dove come il più classico dei guerrieri si concedeva qualche ora di relax nelle mani esperte di tritaossa professionali. S’è gridato allo scandalo per qualche mano caduta casualmente sotto a un camice, come se nel rilassamento si fosse in grado di controllare dove vanno le membra. Ma qualche malalingua ha voluto speculare interrogandosi dove andassero le membra al singolare e lì il discorso s’è fatto peloso, al punto da costringere il Guerriero a chiamare in sua difesa il mitico Bill Clinton, di cui non s’è mai accertato se amasse suonare il sax o piuttosto farlo suonare.
Ultimo in ordine di comparizione c’è adesso Fini, il Gianfrancone già fascista e poi post-fascista, che resosi conto dell’errore fatto a suo tempo nell’essere salito a bordo della limousine dal cui predellino strillava il Cavalier Viagra, stufo di vederlo sempre pimpante e così lontano dal viale del tramonto, ha deciso di sparigliare, esponendosi così alle ire dell’Otelma di Arcore, che gli ha scatenato pitbull ed altra fauna famelica alle costole per farlo sbranare. Come argutamente sono stati ribattezzati i due scriba di casa Berlusconi, i fondi di Littorio Feltri e di Prettypeter, supportati dai latrati di Capezzone, Cicchitto e similari, non lo lasciano in pace, tra storie di Scavolini economiche, comprate a Roma e dirette a Montecarlo, salvo invertire la marcia a Roncobilaccio, cognati furbi con la passione per le case e le belle auto (le Escort, decisamente proletarie, le rastrella dal mercato il Grande Silvio), moglie arrivista transitata persino dall’ufficio del famigerato La Russa (ma la notizia è durata l’éspace d’un matin). E l’interessato che fa? Naturalmente querela tutti, ma non apre bocca, ostentando la pacata sicurezza del cinese seduto sulla sponda del fiume, che sa che il cadavere del suo nemico dovrà presto o tardi transitare portato dalla corrente.
Che Italia triste questa del primo scorcio del terzo millennio. E mentre se ne va un Cossiga e un Bossi straparla di cocomeri e secessione, aspettiamo l’autunno nella speranza che, se s’andrà a votare, ci sia la primavera delle coscienze, che potrà sembrare anche una contraddizione a quanti non siano avvezzi alle tante cose illogiche, che ormai accompagnano la nostra esistenza quotidiana, ma senza la quale continuerà inarrestabile la corsa dentro al tunnel.
Sì, sarà dura passar la vita a farsi prendere a calci nel fondoschiena da un padrone che ti fa lavorare per quattro miseri soldi, giurando di non poter fare di più perché la crisi ha colpito anche lui. E poco rileva che questa peana te la faccia al telefono dallo yacht rigorosamente preso a noleggio e ancorato a Porto Cervo. Se per caso gli fai qualche battuta in proposito magari ti risponde che, per far contenta la moglie, la solita donna che capisce poco e non vuol sentir ragioni, s’è dovuto indebitare fino alla prossima estate per pagare le rate di quel noleggio, mentre la tua, più comprensiva, si contenta della vacanza mordi e fuggi del fine settimana, con tanto di panino e di spiaggia libera.
Poi pensi alla sfiga di Scajola, che dopo essere riuscito a comprare un modesto appartamentino con anni e anni di duro lavoro e sacrifici, s’è ritrovato a rimetterci pure la carriera per lo stupido scherzo di un burlone che ha raccontato ai quattro venti la storiella di pagamenti fatti per lui, ma a sua insaputa, per consentirgli d’acquistare quell’ambita casetta a prezzo modico. Sicuramente può anche risultare una sfortuna non avere amici così burloni, ma i tre locali popolari con un cesso solo per tutta la famiglia e magari pagati con mutuo trentennale, è più difficile che se li possano portare via, senza parlare della carriera che non c’entra affatto.
E che dire di Dell’Utri? Lui che s’è beccato sette anni in appello per aver semplicemente osservato qualche elementare precetto della chiesa, dar da mangiare agli affamati e vestire gli ignudi. Dell’Utri bibliografo, mecenate, anfitrione, cultore dell’epopea garibaldina, che si ritrova nei guai solo per avere ospitato un eroe di nome Mangano, che a differenza del prode di Nizza, aveva fatto il tragitto al contrario, da Marsala a Quarto, ma mosso dagli stessi nobili propositi, quelli di liberare il Nord del Paese dal tallone di un capitalismo neo-borbonico vorace, egoista, che nulla dà agli indigenti e che tiranneggia i ceti più poveri. Qualcuno potrebbe obiettare che nella spedizione, l’eroe Mangano, s’era portato dietro dei picciotti, ma l’obiezione è priva di significato, dato che fa perno solo su una banale questione terminologica, che nulla ha a che vedere con la grinta e la vocazione al sacrificio di questi intrepidi. La dimostrazione sta nella capacità che ha avuto questo tentativo, - non si sa ancora bene quanto riuscito, - di arruolare schiere di volontari sul posto, chiamati affettuosamente colletti bianchi, per distinguerli dalle camicie rosse dell’impresa precedente. E poi noto che il rosso è un colore che non va più di moda e provoca crisi epilettiche a Berlusconi, che dell’eroe Mangano è stato albergatore, sebbene ignaro degli alti sentimenti che animavano l’insigne ospite.
Ma vogliamo guardare al povero Verdini? Ecco un altro caso di perseguitato a causa della notorietà. Il poveretto, nato con il pallino della filantropia, passa la vita a raccogliere spiccioli per mettere su una banca, il cui scopo è aiutare la povera gente a comprare a rate frigoriferi, televisori, cellulari ed altre componenti essenziali per poterli illudere di condurre una vita dignitosa: cosa c’è di strano se tra questi bisognosi v’era anche qualche amico suo e qualche familiare? V’è forse qualcosa da condannare nel comportamento di colui che dà una mano all’amico? Secondo i vertici di via Nazionale, parrebbe di sì, visto che lì non hanno cuore e lo accusano di aver distratto somme ingenti a vantaggio di persone che non davano garanzia di solvibilità o, - contumelia delle contumelie!, - per affari nei quali era direttamente coinvolto. La tesi di Draghi e soci è di tutta evidenza priva di fondamento logico, ancorché esente da ogni minimo senso etico: ma i soldi si dovrebbero forse dare a chi già li ha?, s’è difeso il filantropo Verdini, e se è doveroso aiutare un amico si deve rifiutare la mano a chi, secondo la becera chiosa di via Nazionale, ha la sola colpa di appartenere alla cerchia familiare di chi tira le fila?
Non c’è più mondo, si potrebbe concludere e questa è la conclusione alla quale dev’essere arrivato il benemerito Bertolaso, sempre pronto a dare una mano, e non solo, con i suoi stacanovisti assistenti a terremotati, alluvionati e vari sinistrati dalla sorte. Lui, pronto anche ad organizzare faraonici eventi per contribuire all’immagine nel mondo di questo popolo di pellegrini, che si ritrova nella polvere per le invidie di chi non è stato invitato all’inaugurazione della Maddalena o al megagalattico centro sportivo e benessere di Roma, dove come il più classico dei guerrieri si concedeva qualche ora di relax nelle mani esperte di tritaossa professionali. S’è gridato allo scandalo per qualche mano caduta casualmente sotto a un camice, come se nel rilassamento si fosse in grado di controllare dove vanno le membra. Ma qualche malalingua ha voluto speculare interrogandosi dove andassero le membra al singolare e lì il discorso s’è fatto peloso, al punto da costringere il Guerriero a chiamare in sua difesa il mitico Bill Clinton, di cui non s’è mai accertato se amasse suonare il sax o piuttosto farlo suonare.
Ultimo in ordine di comparizione c’è adesso Fini, il Gianfrancone già fascista e poi post-fascista, che resosi conto dell’errore fatto a suo tempo nell’essere salito a bordo della limousine dal cui predellino strillava il Cavalier Viagra, stufo di vederlo sempre pimpante e così lontano dal viale del tramonto, ha deciso di sparigliare, esponendosi così alle ire dell’Otelma di Arcore, che gli ha scatenato pitbull ed altra fauna famelica alle costole per farlo sbranare. Come argutamente sono stati ribattezzati i due scriba di casa Berlusconi, i fondi di Littorio Feltri e di Prettypeter, supportati dai latrati di Capezzone, Cicchitto e similari, non lo lasciano in pace, tra storie di Scavolini economiche, comprate a Roma e dirette a Montecarlo, salvo invertire la marcia a Roncobilaccio, cognati furbi con la passione per le case e le belle auto (le Escort, decisamente proletarie, le rastrella dal mercato il Grande Silvio), moglie arrivista transitata persino dall’ufficio del famigerato La Russa (ma la notizia è durata l’éspace d’un matin). E l’interessato che fa? Naturalmente querela tutti, ma non apre bocca, ostentando la pacata sicurezza del cinese seduto sulla sponda del fiume, che sa che il cadavere del suo nemico dovrà presto o tardi transitare portato dalla corrente.
Che Italia triste questa del primo scorcio del terzo millennio. E mentre se ne va un Cossiga e un Bossi straparla di cocomeri e secessione, aspettiamo l’autunno nella speranza che, se s’andrà a votare, ci sia la primavera delle coscienze, che potrà sembrare anche una contraddizione a quanti non siano avvezzi alle tante cose illogiche, che ormai accompagnano la nostra esistenza quotidiana, ma senza la quale continuerà inarrestabile la corsa dentro al tunnel.
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