D’Alema, ma vada a farsi fottere!
Giovedì, 2 settembre 2010
Più volte abbiamo affermato che il nostro è un Paese senza speranze, un Paese nel quale la gestione dello stato e lo squallore offerto dalla politica, che ne ha permeato i gangli, sono tali da non lasciare intravvedere alcuna possibilità di ripristino di una civile convivenza.
Così, mentre a destra si consumano faide miserabili tra berlusconiani e finiani, tra leghisti arrampicatori e demagoghi e pidiellini affaristi e collusi, sul versante opposto si scatenano polemiche inammissibili su primarie, leadership, blocchi di coalizione e, soprattutto, riforme di legge elettorale.
Non che la riforma della legge elettorale non sia essenziale per ridare al Paese un barlume della calpestata legalità democratica. Ma dibattere stupidamente se all’attuale normativa canaglia concepita a suo tempo da Calderoli, - che ha candidamente definito la sua legge una mera porcata, - sia modificare con la scelta dell’uninominale alla francese piuttosto che con il tedesco o altra sconclusionata diavoleria, appare francamente una cosa senza senso, visto che l’obiettivo primario dovrebbe essere solo quello di cancellare una legge che ha fatto sino ad ora il gioco sfacciato di chi sta al potere, scippando i cittadini dal diritto di scegliersi coloro da inviare in parlamento e concedendo alle segreterie di partito un arma di ricatto di stampo feudale nei confronti dei parlamentari: ti nomino solo se hai dimostrato di allinearti.
Anche questa volta a guastare la festa e avvelenare il clima è il solio D’Alema, che, perdendo di vista l’obiettivo, apre una disquisizione demenziale sul sistema elettorale da privilegiare, augurandosi che si propenda per quello tedesco, in grado di «convogliare un campo vasto di forze, dall’Udc alla Lega e creare un assetto tendenzialmente bipolare, con un centro forte che si allea con la sinistra».
Scrive Giulia Innocenzi su Il fatto quotidiano: «Eh no, questa volta mi girano. Essere costretta a dare ragione a Capezzone, quando dice che “è surreale lo spettacolo del Pd, che appena comincia a discutere di un argomento è già lacerato“, è troppo.» Già che ci siamo, suggerisce la Innocenzi, «perché non anche Minnie e Topolino?» oltre alla Lega e l’UDC. Con questo approccio, che rischia di far sì che anche questa volta il PD si faccia da solo lo sgambetto, non s’andrà da nessuna parte e l’obiettivo di cancellare la porcata non solo non si realizzerà, ma finirà per diventare l’ennesimo boomerang per la credibilità sia del PD che di tutta l’opposizione.
Sembra di rivedere un film già visto, quello proiettato agli sgoccioli prematuri del governo Prodi in cui il dibattito sulla modifica della legge elettorale, - che in quella legislatura aveva favorito la coalizioni di sinistra, - non aveva prodotto alcun risultato proprio a causa delle contrapposizioni di mero contenuto estetico che avevano coinvolto il confronto tra le opposte fazioni. Risultato, posizioni ingessate ed elezioni perse, con conseguenze storicamente disastrose sulla morfologia di tutta la sinistra, dimostratasi incapace di quagliare una posizione comune e, oltre tutto, di mantenere gli impegni assunti con l’elettorato durante la sua brevissima legislatura.
Ma la lezione non sembra essere stata appresa. Anzi, ogni occasione è buona per la riemersione di sciovinistiche prese di posizione, che marchino i distinguo e che consentano di ritagliarsi un posticino di fugace visibilità, quantunque sia ormai risaputo che la tragica cancrena della sinistra e del suo storico insuccesso stia proprio in questa tignosa guerra tra intellettualismi e accademie fatue, in cui le primedonne gareggiano nell’ostentazione di un sapere fine a sé stesso e solitamente incapace di tradursi in terapie efficaci per la cura delle malattie più banali.
E se l’Innocenzi si dispera nel dover dare ragione al mesto Capezzone, non minore è il voltastomaco che si prova nel dover rivalutare la battuta “turarsi il naso e votare DC” proferita da Giulio Andreotti parecchi lustri or sono, che tra le mille incoerenze che incarnava sapeva che in certi frangenti il tatticismo impone scelte anche sul terreno di un compromesso inaccettabile in condizioni normali, ma che possono rappresentare l’unica via d’uscita ad impasse altrimenti inestricabili.
Non è che almeno questa volta il mitico “ma vada a farsi fottere!”, gridato da D’Alema alla volta di un imbecille che lo provocava, se lo meriti proprio lui?
Così, mentre a destra si consumano faide miserabili tra berlusconiani e finiani, tra leghisti arrampicatori e demagoghi e pidiellini affaristi e collusi, sul versante opposto si scatenano polemiche inammissibili su primarie, leadership, blocchi di coalizione e, soprattutto, riforme di legge elettorale.
Non che la riforma della legge elettorale non sia essenziale per ridare al Paese un barlume della calpestata legalità democratica. Ma dibattere stupidamente se all’attuale normativa canaglia concepita a suo tempo da Calderoli, - che ha candidamente definito la sua legge una mera porcata, - sia modificare con la scelta dell’uninominale alla francese piuttosto che con il tedesco o altra sconclusionata diavoleria, appare francamente una cosa senza senso, visto che l’obiettivo primario dovrebbe essere solo quello di cancellare una legge che ha fatto sino ad ora il gioco sfacciato di chi sta al potere, scippando i cittadini dal diritto di scegliersi coloro da inviare in parlamento e concedendo alle segreterie di partito un arma di ricatto di stampo feudale nei confronti dei parlamentari: ti nomino solo se hai dimostrato di allinearti.
Anche questa volta a guastare la festa e avvelenare il clima è il solio D’Alema, che, perdendo di vista l’obiettivo, apre una disquisizione demenziale sul sistema elettorale da privilegiare, augurandosi che si propenda per quello tedesco, in grado di «convogliare un campo vasto di forze, dall’Udc alla Lega e creare un assetto tendenzialmente bipolare, con un centro forte che si allea con la sinistra».
Scrive Giulia Innocenzi su Il fatto quotidiano: «Eh no, questa volta mi girano. Essere costretta a dare ragione a Capezzone, quando dice che “è surreale lo spettacolo del Pd, che appena comincia a discutere di un argomento è già lacerato“, è troppo.» Già che ci siamo, suggerisce la Innocenzi, «perché non anche Minnie e Topolino?» oltre alla Lega e l’UDC. Con questo approccio, che rischia di far sì che anche questa volta il PD si faccia da solo lo sgambetto, non s’andrà da nessuna parte e l’obiettivo di cancellare la porcata non solo non si realizzerà, ma finirà per diventare l’ennesimo boomerang per la credibilità sia del PD che di tutta l’opposizione.
Sembra di rivedere un film già visto, quello proiettato agli sgoccioli prematuri del governo Prodi in cui il dibattito sulla modifica della legge elettorale, - che in quella legislatura aveva favorito la coalizioni di sinistra, - non aveva prodotto alcun risultato proprio a causa delle contrapposizioni di mero contenuto estetico che avevano coinvolto il confronto tra le opposte fazioni. Risultato, posizioni ingessate ed elezioni perse, con conseguenze storicamente disastrose sulla morfologia di tutta la sinistra, dimostratasi incapace di quagliare una posizione comune e, oltre tutto, di mantenere gli impegni assunti con l’elettorato durante la sua brevissima legislatura.
Ma la lezione non sembra essere stata appresa. Anzi, ogni occasione è buona per la riemersione di sciovinistiche prese di posizione, che marchino i distinguo e che consentano di ritagliarsi un posticino di fugace visibilità, quantunque sia ormai risaputo che la tragica cancrena della sinistra e del suo storico insuccesso stia proprio in questa tignosa guerra tra intellettualismi e accademie fatue, in cui le primedonne gareggiano nell’ostentazione di un sapere fine a sé stesso e solitamente incapace di tradursi in terapie efficaci per la cura delle malattie più banali.
E se l’Innocenzi si dispera nel dover dare ragione al mesto Capezzone, non minore è il voltastomaco che si prova nel dover rivalutare la battuta “turarsi il naso e votare DC” proferita da Giulio Andreotti parecchi lustri or sono, che tra le mille incoerenze che incarnava sapeva che in certi frangenti il tatticismo impone scelte anche sul terreno di un compromesso inaccettabile in condizioni normali, ma che possono rappresentare l’unica via d’uscita ad impasse altrimenti inestricabili.
Non è che almeno questa volta il mitico “ma vada a farsi fottere!”, gridato da D’Alema alla volta di un imbecille che lo provocava, se lo meriti proprio lui?
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