giovedì, agosto 12, 2010

Il Paese con l'etica del guano


Giovedì, 12 agosto 2010
Ebbene, occorrerebbe l’onestà intellettuale d’ammettere che se solo leggessimo le notizie che provengono dal giardino d’inverno della politica italiana senza sapere che si parla dell’Italia, convinti che riguardino un altro Paese, con ogni probabilità saremmo colti da una sensazione a metà strada tra il disgusto e il disprezzo. Non esiteremmo a definire quelle vicende l’espressione di un sottosviluppo sociale e culturale, nel quale le bassezze e le volgarità, lo scoopismo scandalistico e pruriginoso, la malversazione sfrontata dei leader, sono il condimento usuale di ogni pietanza politica, il terreno di confronto tra fazioni opposte che considerano la dignità del proprio ruolo e il rispetto per il popolo alla stregua di carta straccia.
Forse sorrideremmo pure amaramente all’idea che nel ventunesimo secolo esistano ancora realtà nelle quali il medio evo dell’etica e della morale è ancora così attuale.
Poi, quando ci rendiamo conto che non si parla di sperduti Paesi africani o di regioni asiatiche ancora ai margini della civiltà, il disgusto si fa rabbia, addirittura furore in qualche caso, visto che l’indegno spettacolo che ci offre quell’avvilente pratica di far politica in realtà grava sulle nostre teste e ci riprende in un’immagine di profondo squallore nei confronti del resto del mondo.
Per carità!, questo non vuol significare che esistano realtà indenni da scandali o malaffare che coinvolgano la politica dominante. La natura umana è tale da escludere l’illusione che da qualche parte vi sia un paradiso nel quale il bene si sia definitivamente affermato sul male, gli onesti siano i soli abitanti di quelle lande e la politica e il potere siano esercitati con spirito stacanovistico e di dedizione per l’esclusivo bene della collettività. Né è necessario scomodare Gesù rammentando il suo monito ai farisei a proposito della prima pietra da brandire contro gli altrui peccati.
Eppure quello che accade in Italia, o meglio la continuità con la quale nel nostro Paese vengono a galla vicende di corruzione, di devianza dalle regole della democrazia, prevalenza dell’interesse personale su quello generale, commistioni d’interessi e d’affari tra lobby non proprio cristalline e potere, il sistematico ricorso all’invettiva contro avversari e oppositori, la conclamata connivenza tra delinquenza organizzata e potere politico e via dicendo, sono sintomi straordinari di una gravissima patologia che non ha pari nel resto del mondo civile e in epoca moderna.
Peraltro, siamo l’unico Paese dichiaratamente di democrazia occidentale, che disperde un’infinità di risorse per restaurare fantasmi paleolitici di anacronistiche tirannie, sotto forma di impunità assoluta dei vertici della politica, di censure alla libertà di parola entrate persino nel mirino dell’ONU, d’imposizione di vergognosi segreti sugli intrallazzi o le perverse pulsioni sessuali che coinvolgono i ras al potere, di norme elettorali che assegnano ai capi partito ruoli di principi indiscussi con potere di nominare a piacimento addomesticati valvassori e valvassini, e di altre indecenze simili di cui sarebbe troppo lunga la lista, con uno spreco di risorse straordinario e senza precedenti.
Nel frattempo il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dichiara attonito: «E’ un bailamme! », sintetizzando così un quadro politico che, tra risse e insulti, non è in grado di dare la minima risposta alle pressanti e irrisolte questioni del Paese; mentre Luca di Montezemolo, ex presidente della Fiat ed eminente maître à penser del capitalismo nazionale afferma senza appello che «il bilancio della seconda repubblica,» - quella governata da Silvio Berlusconi, - «è fallimentare. Il fallimento è certificato dalle parole di Berlusconi, che dopo quasi dieci anni da presidente del Consiglio si dichiara impossibilitato a governare per colpa delle istituzioni che non è stato capace di riformare». E infine, conclude Montezemolo, commentando il clima da guerra civile instauratosi dopo la fuoruscita forzosa di Fini dal PdL e il velenoso scambio di bordate tra il presidente della Camera e il capo del governo, «questa legislatura si sta chiudendo con un conflitto istituzionale e tra schizzi di fango, senza precedenti».
Quasi a confermare l’aria da basso impero che aleggia a Montecitorio e dintorni, non sono mancate alle affermazioni di Montezemolo le repliche pronte e piccate degli spavaldi giannizzeri di un PdL in piena crisi di nervi, a cominciare dalla nota del sottosegretario ai Beni e alle Attività culturali, Francesco Giro: «A giudicare dalle molte ovvietà scritte o ispirate da Montezemolo, la sua fondazione più che Italia Futura farebbe bene a chiamarsi Italia Qualunque, depressa e disfattista, l'esatto contrario di quello per cui lavora il Pdl e il suo fondatore Berlusconi». Ironica anche la reazione del ministro Rotondi: «Sono giorni che spiego al mio Pdl che sono tutti cascati nella manovra funzionale alla discesa in campo del presidente col ciuffo». «È una bella notizia la presa di posizione di Montezemolo. Speriamo che si decida a sciogliere i residui tentennamenti e compia una chiara e coerente scelta politica. Le idee e neppure i mezzi gli mancano per dimostrare ciò che vuole e, soprattutto, ciò che è capace di fare per il bene del nostro Paese. La democrazia si avvantaggerà di posizioni coraggiose e trasparenti», afferma Sandro Bondi, coordinatore nazionale del Pdl e ministro dei beni culturali. Infine Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl: «A Montezemolo l'ho personalmente detto più volte, tutti hanno diritto a partecipare alla vita politica. Poi però bisogna prendere i voti per contare. Capisco che, a quanto si legge, debba trovare spazio altrove dopo le esperienze imprenditoriali. Avrà tempo e modo per misurarsi. E capirà che è più facile parlare che raccogliere consensi. Intanto si preoccupi della Red Bull e dia una mano ad Alonso», - che equivale a un “faccia il suo mestiere, il signor Montezemolo, e lasci la politica a chi se ne intende,” cioè a noi, - aggiungiamo, - che abbiamo dato un grande esempio di rettitudine e di devozione agli interessi del Paese.
Un bel quadro, non c’è che dire, che apre un barlume di speranza per un’Italia migliore e, finalmente, degna di sedere nel consesso delle nazioni terzomondiste nelle quali l’etica s’è definitivamente persa in un mare maleodorante di interessi di bottega e di faide sordide, salvo poi simulare persino stupore davanti al disgusto della gente.

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