mercoledì, agosto 11, 2010

Quando il magistrato rosso fa il guastafeste

Mercoledì, 11 agosto 2010
Adesso qualcuno griderà contro una giustizia che non perde occasione per confermarsi comunista. Una giustizia di parte, che si scaglia a testa bassa contro il potere, sia esso politico che economico, solo per il fatto di rappresentare la parte più forte.
Mentre c’è da attendersi questi commenti, gli operai di Melfi, protervamente licenziati a luglio dalla FIAT, rientrano in fabbrica per decisione del magistrato del lavoro, che ha ritenuto la decisione di Marchionne frutto di un comportamento antisindacale e, dunque, del tutto priva di motivazioni atte a giustificare un provvedimento così grave come il licenziamento.
Ricordiamo che i lavoratori licenziati, - tre, di cui due attivisti sindacali, - erano stati colpiti dal provvedimento di licenziamento perché accusati di sabotaggio, per aver bloccato un carrello sulla linea di montaggio durante uno sciopero. Lo sciopero era stato peraltro proclamato dalla FIOM CGIL per protestare contro gli accordi sottoscritti a Pomigliano, con i quali la FIAT aveva imposto il ricatto di chiusura dello stabilimento campano qualora non fossero state accettate forti e inique revisioni del sistema di indennità di malattia e dei riposi, con il pretesto di attivare norme più severe per combattere l’assenteismo.
L’accordo, sottoscritto da CISL e UIL, ma non dalla CGIL, aveva autorizzato il ministro Sacconi e i falchi di Confindustria, Marcegaglia inclusa, a dichiarare che l’intesa doveva considerarsi una svolta epocale nel sistema della relazioni industriali del Paese, poiché vedeva per la prima volta l’introduzione di meccanismi di coinvolgimento e responsabilizzazione dei lavoratori nel sistema di governo della produttività d’impresa, una responsabilizzazione che consentiva la sopravvivenza di uno stabilimento e la promessa di un rientro di produzione, - quello della Panda, - dalla Polonia all’Italia.
Naturalmente, nessuno degli entusiasti aveva precisato che la mortificazione dei diritti, alcuni costituzionalmente garantiti, non avrebbe prodotto alcun beneficio per i lavoratori, se non la continuità di un’occupazione in condizioni di maggiore frustrazione e di fatica. Ma per quanti hanno della fabbrica una concezione militare, di una caserma nella quale il motto di mussoliniana memoria “credere, obbedire e combattere” non è mai passato di moda, questi rilievi sono stati considerati del tutto privi di fondamento, al punto da attribuire a quanti ne osavano far menzione il classico malanimo eversivo di una sinistra ormai battuta ma sempre pronta a spolverare i vecchi e arrugginiti vessilli di un comunismo di maniera. Analogamente, la stessa sorta è stata riservata a quei benpensanti al di sopra d’ogni sospetto che hanno criticato ciò che in realtà ha costituito solo una forzatura, uno strappo improvvido d’una realtà industriale storica del Paese che ha costruito parte delle proprie fortune grazie anche al sostegno continuativo di incentivi massicci e generosi provvedimenti pubblici. Non va infatti dimenticato che mentre in piena crisi planetaria la FIAT godeva di sostanziosi sostegni produttivi sotto forma di incentivi alla rottamazione, il suo ad Marchionne faceva shopping negli USA con la scusa di dover traguardare all’espansione in un mercato come quello americano per garantire all’azienda un futuro di sviluppo e di continuità: come dire, con i soldi dei cittadini italiani, la FIAT s’è comprata pura la Chrysler e di questo bisognerebbe essergliene grata, così come bisognerebbe mostrare gratitudine quando minaccia di andare in Serbia qualora i lavoratori nostrani si rifiutino di trasformarsi in carne da macello per catena di montaggio a guisa di Indiani, Cinesi o Coreani.
Da qui l’alzata d’ingegno del grande manager Marchionne, convinto che nel clima ormai radicatosi in Italia fosse possibile dare una lezione esemplare a tre straccioni che avevano osato contravvenire ai suoi diktat con uno sciopero di protesta.
D’altra parte, dall’alto di un appannaggio di qualche milione di euro all’anno come si può pretendere che si possa avere senso del limite o del rispetto per le altrui condizioni? Questa sensibilità è persino venuta meno a parecchi sedicenti difensori dei diritti dei lavoratori, sindacalisti di lungo corso, che nell’avallare le decisioni assunte a Pomigliano, hanno creduto di essersi garantiti un futuro da politicanti ben pagati nelle file di quelle componenti politiche che ormai da tempo non puntano che a massacrare le condizioni di vita dei lavoratori per rimpinguare le tasche di altrettanto sedicenti imprenditori, legati al sistema da una tacita intesa di mutuo sostegno. Questo ci dicono la storia della privatizzazione Alitalia e le opere pie messe in piedi da Bertolaso e la sua cricca, giusto per citare le più recenti.
Così, in quest’epoca di ingiustizie assurte a regola, mentre Marchionne e la FIAT vedono per un attimo la loro arroganza stoppata da un giudice di colorazione sospetta, la Mondadori porta a casa un bel risultato a danno del povero contribuente: un risparmio di ben 164 milioni di euro sulla presunta evasione di cui era accusata dai tempi della fusione con l’Amef, grazie alla solita legge ad personam inventa da Silvio Berlusconi, - legge n. 40 del 25 marzo 2010, che ha consentito di estinguere un procedimento pendente con la sola oblazione del 5% del valore contestato.
Si consoli Marchionne, come dice un vecchio adagio per dieci porte che si chiudono c’è sempre un portone che si apre e, presto o tardi, qualche bel presente per fargli scordare l’amarezza dello smacco sicuramente arriverà, tanto i disgraziati a cui presentare il conto aumentano giorno dopo giorno coi tempi che corrono.

(nella foto, l'ad di Fiat, Sergio Marchionne)

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