Parenti ingombranti e colpevolezza preconcetta
Martedì, 10 agosto 2010
Non è ancora dato sapere con certezza se anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è scivolato sulla classica buccia di banana, - anche se le truppe cammellate del premier Silvio Berlusconi non mostrano alcun dubbio, - o, più semplicemente, le vicende che hanno portato l’ex leader di AN alla ribalta delle cronache sono da considerare le solite strumentali carrellate di guano che si riversano su chiunque osi opporsi o persino dissentire dal pensiero unico del Divo di Arcore.
Resta il fatto che i talebani dell’informazione, Feltri e Belpietro, fiancheggiati da un drappello di manovali del terrorismo mediatico al soldo di quel potente e astioso padrone di buona parte del Paese, che ha invaso le istituzioni e le coscienze, non perdono l’occasione per sparare raffiche alla cieca contro Fini e i suoi fuorusciti.
Certo, al di là delle verità da accertare su una vicenda che probabilmente poco ha di rilevante sul piano penale, ma molto ha da chiarire sul versante squisitamente politico, Fini qualche problema ce l’ha veramente nell’ambito strettamente familiare, dove un ingombrante cognato e una suocera ambiziosa hanno dato a lungo prova di voler profittare della parentela con il presidente della Camera per personale tornaconto.
Sono giorni che la signora Frau, madre di Elisabetta Tulliani, compagna di Gianfranco Fini, viene sistematicamente citata negli articoli di numerosi quotidiani, in quanto - almeno formalmente - socia al 51 per cento della Absolute Television, la società che è riuscita a conquistare contratti in Rai per programmi dall'incerta fortuna ma, a quanto sembra, assai ben remunerati. Soprattutto per merito, - e anche su questo son state scritte pagine e pagine, - di suo figlio Giancarlo. Che non solo è finito con l'andare ad abitare nell'appartamento di Montecarlo che fu di Alleanza Nazionale, ma che pure, negli ultimi tempi, ha attraversato i corridoi dei piani alti della Rai con passo deciso, bussando a molte porte, e sempre sfoggiando un tono risoluto e l'aria di chi pensa di meritare un trattamento di particolare attenzione per il solo fatto di essere il cognato di Gianfranco Fini.
E che il rampollo della famiglia Tulliani, Giancarlo, debba essere un personaggio da prendere con le pinze, sembra assodato, visto che anche Luciano Gaucci, ex compagno di Elisabetta, ne ha dipinto un quadro a tinte forti, di un uomo ambizioso, arrogante, affamato di successo e di potere, sempre pronto a chiedere qualcosa per sé, giusto per ricavare vantaggi dalle frequentazioni dei suoi familiari. Così la vendita della famigerata casa di Montecarlo ad una società off-shore pare segnalata proprio da Giancarlo Tulliani, prima, e il successivo affitto proprio a lui, dopo, sono divenuti il pretesto per il muro di fuoco messo in piedi dagli squadristi berlusconiani.
Certo, a ben guardare e se non fosse per la serietà con la quale deve essere valutata la cosa, che vede un conflitto senza precedenti tra organi istituzionali basato su fatti del tutto personali, la questione potrebbe suscitare un qualche sorriso, dato che l’ex leader di un partito nato sulle ceneri d’un conclamato squadrismo è adesso vittima delle becere pratiche che per anni aveva condiviso, - una formidabile nemesi per l’ex leader di AN.
Ciò, comunque, nulla toglie alla scorrettezza con la quale il cavaliere Silvio Berlusconi punta a disfarsi di un oppositore scomodo e poco disponibile a piegarsi al filosofia del culto della personalità, che costituisce la base dell’indottrinamento del PdL e degli opportunisti che vi pascolano dentro.
Ancora ieri il ministro La Russa, ex camerata confluito nel PdL ed ex gerente di AN dopo la designazione di Fini alla presidenza della Camera, nel prendere le distanze dai fatti accaduti, peraltro durante la sua gestione del partito, ha definito «una tristezza» la vicenda nella quale è coinvolto Fini, omettendo di precisare se tale stato d’animo sia da imputare alla condizione di probabile prostrazione in cui è presumibile debba esser caduto il suo ex presidente di partito o, piuttosto, allo squallido spettacolo offerto dagli ex gerarchi di AN, prontamente balzati sul carro del vincitore Berlusconi, - lui compreso, - e attenti a smarcarsi nella vicenda, timorosi di dover mettere in discussione quella ribalta che grazie al PdL sono riusciti nel frattempo a conquistarsi.
Solleva poi qualche perplessità anche l’atteggiamento di Libero e de Il Giornale, - le armi di distruzione di massa del premier, - che danno in pasto all’opinione pubblica particolari sempre più precisi sulla vicenda, quasi si trattasse di materiale inedito e fortuitamente capitato nelle mani di Feltri e Belpietro. In realtà i due eminenti giornalisti stanno mettendo in pratica gli stessi metodi che per anni hanno condannato alla schiera dei cosiddetti "giustizialisti ad orologeria". Adesso c’è anche una “verità” ad orologeria, usata ad arte di volta in volta per diffamare, accusare, indebolire la credibilità della vittima di turno. Un bell’esempio di correttezza e di stampa libera e indipendente, esente dai condizionamenti del potere.
Appare, inoltre, sconquassata la motivazione con la quale si continuano a reclamare le dimissioni di Fini dalla carica di presidente della Camera, alludendo alle similitudini che intercorrerebbero tra il suo caso e quelli di Scajola o di Brancher. E’ evidente la confusione che si cerca di ingenerare nella pubblica opinione citando i casi dei due ex ministri, dato che almeno al momento non risulta che il melodramma Fini abbia generato un indebito arricchimento all’interessato, né sulla questione Fini abbia mai avanzato l'ipotesi di avvalersi di un eventuale legittimo impedimento in caso di indagini che lo dovessero vedere direttamente inquisito, come ha invece fatto il signor Brancher non appena insediatosi nel suo vacuo incarico di governo per sfuggire al processo nel quale era coinvolto.
Confessiamo di non aver mai nutrito grande simpatia per Fini, sia per le sue posizioni politiche né, tantomeno, per i trasformismi di cui s’è reso protagonista in questi anni, ma per lui proviamo un profondo rispetto, per l’atteggiamento tenuto nel corso di questa vicenda presumibilmente lungi dal potersi considerare prossima alla conclusione. Lo stesso rispetto che in ogni caso merita chiunque sia sfiorato da un sospetto di comportamento illecito o eticamente non corretto, almeno sino a quando gli indizi non divengano prove inconfutabili e documentate.
Saremo sicuramente di una scuola diversa da quella frequentata dai tanti modesti personaggi che bivaccano nelle bettole della politica corrente, ma il rispetto dell’altrui dignità e dell’innocenza presunta è un bene che va difeso ad ogni costo sino a prova contraria, senza distinzione di sesso, religione e fede politica. Ma probabilmente questi sono principi che non vengono insegnati al CEPU, accademia formativa della politica corrente.
Resta il fatto che i talebani dell’informazione, Feltri e Belpietro, fiancheggiati da un drappello di manovali del terrorismo mediatico al soldo di quel potente e astioso padrone di buona parte del Paese, che ha invaso le istituzioni e le coscienze, non perdono l’occasione per sparare raffiche alla cieca contro Fini e i suoi fuorusciti.
Certo, al di là delle verità da accertare su una vicenda che probabilmente poco ha di rilevante sul piano penale, ma molto ha da chiarire sul versante squisitamente politico, Fini qualche problema ce l’ha veramente nell’ambito strettamente familiare, dove un ingombrante cognato e una suocera ambiziosa hanno dato a lungo prova di voler profittare della parentela con il presidente della Camera per personale tornaconto.
Sono giorni che la signora Frau, madre di Elisabetta Tulliani, compagna di Gianfranco Fini, viene sistematicamente citata negli articoli di numerosi quotidiani, in quanto - almeno formalmente - socia al 51 per cento della Absolute Television, la società che è riuscita a conquistare contratti in Rai per programmi dall'incerta fortuna ma, a quanto sembra, assai ben remunerati. Soprattutto per merito, - e anche su questo son state scritte pagine e pagine, - di suo figlio Giancarlo. Che non solo è finito con l'andare ad abitare nell'appartamento di Montecarlo che fu di Alleanza Nazionale, ma che pure, negli ultimi tempi, ha attraversato i corridoi dei piani alti della Rai con passo deciso, bussando a molte porte, e sempre sfoggiando un tono risoluto e l'aria di chi pensa di meritare un trattamento di particolare attenzione per il solo fatto di essere il cognato di Gianfranco Fini.
E che il rampollo della famiglia Tulliani, Giancarlo, debba essere un personaggio da prendere con le pinze, sembra assodato, visto che anche Luciano Gaucci, ex compagno di Elisabetta, ne ha dipinto un quadro a tinte forti, di un uomo ambizioso, arrogante, affamato di successo e di potere, sempre pronto a chiedere qualcosa per sé, giusto per ricavare vantaggi dalle frequentazioni dei suoi familiari. Così la vendita della famigerata casa di Montecarlo ad una società off-shore pare segnalata proprio da Giancarlo Tulliani, prima, e il successivo affitto proprio a lui, dopo, sono divenuti il pretesto per il muro di fuoco messo in piedi dagli squadristi berlusconiani.
Certo, a ben guardare e se non fosse per la serietà con la quale deve essere valutata la cosa, che vede un conflitto senza precedenti tra organi istituzionali basato su fatti del tutto personali, la questione potrebbe suscitare un qualche sorriso, dato che l’ex leader di un partito nato sulle ceneri d’un conclamato squadrismo è adesso vittima delle becere pratiche che per anni aveva condiviso, - una formidabile nemesi per l’ex leader di AN.
Ciò, comunque, nulla toglie alla scorrettezza con la quale il cavaliere Silvio Berlusconi punta a disfarsi di un oppositore scomodo e poco disponibile a piegarsi al filosofia del culto della personalità, che costituisce la base dell’indottrinamento del PdL e degli opportunisti che vi pascolano dentro.
Ancora ieri il ministro La Russa, ex camerata confluito nel PdL ed ex gerente di AN dopo la designazione di Fini alla presidenza della Camera, nel prendere le distanze dai fatti accaduti, peraltro durante la sua gestione del partito, ha definito «una tristezza» la vicenda nella quale è coinvolto Fini, omettendo di precisare se tale stato d’animo sia da imputare alla condizione di probabile prostrazione in cui è presumibile debba esser caduto il suo ex presidente di partito o, piuttosto, allo squallido spettacolo offerto dagli ex gerarchi di AN, prontamente balzati sul carro del vincitore Berlusconi, - lui compreso, - e attenti a smarcarsi nella vicenda, timorosi di dover mettere in discussione quella ribalta che grazie al PdL sono riusciti nel frattempo a conquistarsi.
Solleva poi qualche perplessità anche l’atteggiamento di Libero e de Il Giornale, - le armi di distruzione di massa del premier, - che danno in pasto all’opinione pubblica particolari sempre più precisi sulla vicenda, quasi si trattasse di materiale inedito e fortuitamente capitato nelle mani di Feltri e Belpietro. In realtà i due eminenti giornalisti stanno mettendo in pratica gli stessi metodi che per anni hanno condannato alla schiera dei cosiddetti "giustizialisti ad orologeria". Adesso c’è anche una “verità” ad orologeria, usata ad arte di volta in volta per diffamare, accusare, indebolire la credibilità della vittima di turno. Un bell’esempio di correttezza e di stampa libera e indipendente, esente dai condizionamenti del potere.
Appare, inoltre, sconquassata la motivazione con la quale si continuano a reclamare le dimissioni di Fini dalla carica di presidente della Camera, alludendo alle similitudini che intercorrerebbero tra il suo caso e quelli di Scajola o di Brancher. E’ evidente la confusione che si cerca di ingenerare nella pubblica opinione citando i casi dei due ex ministri, dato che almeno al momento non risulta che il melodramma Fini abbia generato un indebito arricchimento all’interessato, né sulla questione Fini abbia mai avanzato l'ipotesi di avvalersi di un eventuale legittimo impedimento in caso di indagini che lo dovessero vedere direttamente inquisito, come ha invece fatto il signor Brancher non appena insediatosi nel suo vacuo incarico di governo per sfuggire al processo nel quale era coinvolto.
Confessiamo di non aver mai nutrito grande simpatia per Fini, sia per le sue posizioni politiche né, tantomeno, per i trasformismi di cui s’è reso protagonista in questi anni, ma per lui proviamo un profondo rispetto, per l’atteggiamento tenuto nel corso di questa vicenda presumibilmente lungi dal potersi considerare prossima alla conclusione. Lo stesso rispetto che in ogni caso merita chiunque sia sfiorato da un sospetto di comportamento illecito o eticamente non corretto, almeno sino a quando gli indizi non divengano prove inconfutabili e documentate.
Saremo sicuramente di una scuola diversa da quella frequentata dai tanti modesti personaggi che bivaccano nelle bettole della politica corrente, ma il rispetto dell’altrui dignità e dell’innocenza presunta è un bene che va difeso ad ogni costo sino a prova contraria, senza distinzione di sesso, religione e fede politica. Ma probabilmente questi sono principi che non vengono insegnati al CEPU, accademia formativa della politica corrente.
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