I misteri di Montecarlo
Venerdì, 24 settembre 2010
La storiellina del parente scemo è vecchia e risaputa. Chi potrebbe mai giurare che nel parentado, magari in qualche generazione lontana, tra discendenti, ascendenti e collaterali, non ci sia o ci sia stato qualcuno un po’ bizzarro, - per dirla con un eufemismo, - o addirittura stupido, sciocco, idiota, pirla, se non coglione, - per dirla senza mezzi termini?
Questa nemesi di madre natura, in buona sostanza, non risparmia nessuno e guarda caso non ha risparmiato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che da quel che risulta dalle cronache asfissianti del trimestre ormai in chiusura pare abbia un cognato a cui in parecchi stanno cercando di affibbiare la giusta collocazione nella variegata categoria dei mentecatti.
Sì, perché questo giovanotto di belle speranze e ambizioso al punto da farsi male da solo oltre che all’illustre cognato, avrebbe condotto in porto un’operazione straordinaria per appagare il desiderio narcisistico di ostentare casa a Montecarlo, talmente straordinaria da attraversare mezzo mondo e costringerlo a commettere un sacco di scemenze, talmente stupide da farsi scoprire dalla muta di Berlusconi che ha utilizzato la trama di un classico del giallo per incastrare il suo ex amico e co-fondatore del PdL, Gianfranco Fini.
Giusto per ricostruire la vicenda, - almeno per quel che dice la stampa di casa Arcore, - il Tulliani viene a conoscenza di un appartamento sfitto tra le disponibilità immobiliari di AN a Montecarlo e a quel punto comincia una martellane pressione su Gianfranco perché glielo metta a disposizione.
Il cognato presidente della Camera, ovviamente, ostenta un netto rifiuto alla richiesta e dichiara imbufalito: “Piuttosto lo vendo!”.
Tulliani, offeso dal diniego ma sempre più in fregola per quella casa che intende far sua ad ogni costo, non demorde. Anzi, gli si accende pure una lampadina, visto che il cattivo Gianfranco, senza volere, gli ha messo in mano una scorciatoia ghiotta: se l’appartamento va in vendita si tratta solo di inventarsi un compratore al quale far fare un “affare”, quantunque il vero affare lo farà lui, perché dopo l’acquisto provvederà a farsi trasferire la proprietà dell’immobile, pagando ovviamene un obolo per il disturbo arrecato alla testa di paglia messa in campo.
Così, dopo essersi fato una gita a Santa Lucia nei Caraibi, con la scusa di cambiare aria per un po’, ma con il segreto fine di trovare il prestanome per l’operazione d’acquisto, torna a Roma, non prima però d’aver costituito una società, la Timara Ltd (avrebbe voluto chiamarla Tullian Ltd, ma sarebbe stata un’eccessiva ingenuità), e facendo opera di contrizione dice al cognato che dell’appartamento di Montecarlo non gl’importa più nulla, che anzi è una buona idea quella di venderlo e di togliersi dagli zibidei inutili spese condominiali per una casa fatiscente e disabitata. Dice a Gianfranco che, molto casualmente, ha conosciuto durante la gita a Santa Lucia un coglionazzo immobiliarista, titolare di una certa Printemps Ltd, interessato a comprare qualcosa in Europa e pronto a pagare in contanti.
Fini è convinto e chiede a Tulliani di mettere in contatto il coglionazzo con l’amministratore del patrimonio di AN, Pontone, perché s’incontrino e valutino la fattibilità dell’affare.
Tulliani non sta più nella pelle. Adesso si tratta solo di trovare un geometra che faccia una valutazione “addomesticata” dell’immobile, che comunque appaia congrua a Pontone e consenta di chiudere l’affare.
Il prezzo dell’accordo è 300 mila euro, prezzo che qualche giorno dopo sale a 330 mila quando il coglionazzo di Santa Lucia trasferisce la proprietà dell’immobile appena acquistato alla società che Tulliani ha nel frattempo messo in piedi nell’isola. E che la Printemps Ltd sia gestita da un fesso non v’è dubbio alcuno, visto che chi acquista si trova in mano un appartamento del valore di oltre un milione di euro, - così sostiene la muta di Berlusconi, - e se ne disfa per un valore maggiorato appena del 10% del suo costo originario.
Il colpo in ogni caso è fatto, quantunque non si sappia da dove Tulliani abbia preso i 330 mila euro necessari per chiudere il passaggio della proprietà. Si sospetta che possa essere intervenuta la sorella, nonché moglie di Gianfranco, con l’erogazione di un prestito, dato che lei di soldi ne ha tanti, avendoli sottratti, novella Circe, al povero Gaucci, con il quale non avrebbe mai spartito una miliardaria vincita al lotto.
E se fin qui chi ha seguito i passi della vicenda è convinto che Tulliani sia un mago della finanza, in realtà si sbaglia di grosso: Tulliani è un idiota e lo confermerà di lì a breve, quando ottenebrato dal facile successo con il quale è venuto in possesso dell’agognato immobile decide di autostipularsi un contratto d’affitto sulla casa in questione ed appone sul contratto la sua firma sia come locante che come locatario.
Nel frattempo, a cose ormai irrimediabilmente fatte, Gianfranco Fini viene a sapere della spericolata operazione del cognato, quantunque ne sconosca i particolari, ma siccome sarebbe inutile piangere sul latte versato, fa buon viso a cattivo gioco e si offre persino di dare una mano per arredare l’appartamento monegasco, cucina Scavolini compresa.
E pensare che in questa sorta di delitto perfetto, sul quale adesso indagano agenti segreti russi, americani, israeliani e nostrani, nulla sarebbe mai venuto alla luce se il buon Fini non avesse mandato a quel paese quel bravissimo stinco di santo (si dice così, ma il personaggio è santo per intero) di Silvio Berlusconi e quel fesso del cognato non avesse messo scioccamente firme così palesemente rivelatrici dell'inganno sul contratto d’affitto.
E tutta questa vicenda, sicuramente penosa per il povero Fini, è sicuramente dolorosissima per Silvio Berlusconi, che sembra portarsi dietro la cattiva stella delle pessime compagnie. Dell’Utri, Bertolaso, Verdini, Brancher, Scajola, Lunardi, Cosentino, Previti, Mills, - giusto per citarne alcuni, - sono una palla al piede, una macchia vergognosa per un uomo che ha sempre operato nell’onestà e nella trasparenza, a cominciare dalla storia dell’acquisto della villa di Arcore dalla contessina Casati, e che s’è messo al servizio della nazione esclusivamente per spirito d’impareggiabile altruismo. Un uomo che s’è visto tradito nella sua illuminata e sacra missione dagli amici, non ultimo da un Gianfranco Fini, su cui aveva riposto grande fiducia al punto da insediarlo alla poltrona di presidente della Camera, certo che gliene sarebbe stato eternamente riconoscente.
E se da questa storia emerge quanto sia stato protervamente superficiale Fini nel seguire i consigli d’un cognato arrivista e fesso, c’è da chiedersi se anche il sant’uomo di Arcore non sia da sospettare di altrettanta dabbenaggine, visto che con gli amici ci casca sistematicamente, lui povera anima specchiata.
(nella foto, l'edificio in cui c'è l'appartameno della vergognosa storia)
Questa nemesi di madre natura, in buona sostanza, non risparmia nessuno e guarda caso non ha risparmiato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che da quel che risulta dalle cronache asfissianti del trimestre ormai in chiusura pare abbia un cognato a cui in parecchi stanno cercando di affibbiare la giusta collocazione nella variegata categoria dei mentecatti.
Sì, perché questo giovanotto di belle speranze e ambizioso al punto da farsi male da solo oltre che all’illustre cognato, avrebbe condotto in porto un’operazione straordinaria per appagare il desiderio narcisistico di ostentare casa a Montecarlo, talmente straordinaria da attraversare mezzo mondo e costringerlo a commettere un sacco di scemenze, talmente stupide da farsi scoprire dalla muta di Berlusconi che ha utilizzato la trama di un classico del giallo per incastrare il suo ex amico e co-fondatore del PdL, Gianfranco Fini.
Giusto per ricostruire la vicenda, - almeno per quel che dice la stampa di casa Arcore, - il Tulliani viene a conoscenza di un appartamento sfitto tra le disponibilità immobiliari di AN a Montecarlo e a quel punto comincia una martellane pressione su Gianfranco perché glielo metta a disposizione.
Il cognato presidente della Camera, ovviamente, ostenta un netto rifiuto alla richiesta e dichiara imbufalito: “Piuttosto lo vendo!”.
Tulliani, offeso dal diniego ma sempre più in fregola per quella casa che intende far sua ad ogni costo, non demorde. Anzi, gli si accende pure una lampadina, visto che il cattivo Gianfranco, senza volere, gli ha messo in mano una scorciatoia ghiotta: se l’appartamento va in vendita si tratta solo di inventarsi un compratore al quale far fare un “affare”, quantunque il vero affare lo farà lui, perché dopo l’acquisto provvederà a farsi trasferire la proprietà dell’immobile, pagando ovviamene un obolo per il disturbo arrecato alla testa di paglia messa in campo.
Così, dopo essersi fato una gita a Santa Lucia nei Caraibi, con la scusa di cambiare aria per un po’, ma con il segreto fine di trovare il prestanome per l’operazione d’acquisto, torna a Roma, non prima però d’aver costituito una società, la Timara Ltd (avrebbe voluto chiamarla Tullian Ltd, ma sarebbe stata un’eccessiva ingenuità), e facendo opera di contrizione dice al cognato che dell’appartamento di Montecarlo non gl’importa più nulla, che anzi è una buona idea quella di venderlo e di togliersi dagli zibidei inutili spese condominiali per una casa fatiscente e disabitata. Dice a Gianfranco che, molto casualmente, ha conosciuto durante la gita a Santa Lucia un coglionazzo immobiliarista, titolare di una certa Printemps Ltd, interessato a comprare qualcosa in Europa e pronto a pagare in contanti.
Fini è convinto e chiede a Tulliani di mettere in contatto il coglionazzo con l’amministratore del patrimonio di AN, Pontone, perché s’incontrino e valutino la fattibilità dell’affare.
Tulliani non sta più nella pelle. Adesso si tratta solo di trovare un geometra che faccia una valutazione “addomesticata” dell’immobile, che comunque appaia congrua a Pontone e consenta di chiudere l’affare.
Il prezzo dell’accordo è 300 mila euro, prezzo che qualche giorno dopo sale a 330 mila quando il coglionazzo di Santa Lucia trasferisce la proprietà dell’immobile appena acquistato alla società che Tulliani ha nel frattempo messo in piedi nell’isola. E che la Printemps Ltd sia gestita da un fesso non v’è dubbio alcuno, visto che chi acquista si trova in mano un appartamento del valore di oltre un milione di euro, - così sostiene la muta di Berlusconi, - e se ne disfa per un valore maggiorato appena del 10% del suo costo originario.
Il colpo in ogni caso è fatto, quantunque non si sappia da dove Tulliani abbia preso i 330 mila euro necessari per chiudere il passaggio della proprietà. Si sospetta che possa essere intervenuta la sorella, nonché moglie di Gianfranco, con l’erogazione di un prestito, dato che lei di soldi ne ha tanti, avendoli sottratti, novella Circe, al povero Gaucci, con il quale non avrebbe mai spartito una miliardaria vincita al lotto.
E se fin qui chi ha seguito i passi della vicenda è convinto che Tulliani sia un mago della finanza, in realtà si sbaglia di grosso: Tulliani è un idiota e lo confermerà di lì a breve, quando ottenebrato dal facile successo con il quale è venuto in possesso dell’agognato immobile decide di autostipularsi un contratto d’affitto sulla casa in questione ed appone sul contratto la sua firma sia come locante che come locatario.
Nel frattempo, a cose ormai irrimediabilmente fatte, Gianfranco Fini viene a sapere della spericolata operazione del cognato, quantunque ne sconosca i particolari, ma siccome sarebbe inutile piangere sul latte versato, fa buon viso a cattivo gioco e si offre persino di dare una mano per arredare l’appartamento monegasco, cucina Scavolini compresa.
E pensare che in questa sorta di delitto perfetto, sul quale adesso indagano agenti segreti russi, americani, israeliani e nostrani, nulla sarebbe mai venuto alla luce se il buon Fini non avesse mandato a quel paese quel bravissimo stinco di santo (si dice così, ma il personaggio è santo per intero) di Silvio Berlusconi e quel fesso del cognato non avesse messo scioccamente firme così palesemente rivelatrici dell'inganno sul contratto d’affitto.
E tutta questa vicenda, sicuramente penosa per il povero Fini, è sicuramente dolorosissima per Silvio Berlusconi, che sembra portarsi dietro la cattiva stella delle pessime compagnie. Dell’Utri, Bertolaso, Verdini, Brancher, Scajola, Lunardi, Cosentino, Previti, Mills, - giusto per citarne alcuni, - sono una palla al piede, una macchia vergognosa per un uomo che ha sempre operato nell’onestà e nella trasparenza, a cominciare dalla storia dell’acquisto della villa di Arcore dalla contessina Casati, e che s’è messo al servizio della nazione esclusivamente per spirito d’impareggiabile altruismo. Un uomo che s’è visto tradito nella sua illuminata e sacra missione dagli amici, non ultimo da un Gianfranco Fini, su cui aveva riposto grande fiducia al punto da insediarlo alla poltrona di presidente della Camera, certo che gliene sarebbe stato eternamente riconoscente.
E se da questa storia emerge quanto sia stato protervamente superficiale Fini nel seguire i consigli d’un cognato arrivista e fesso, c’è da chiedersi se anche il sant’uomo di Arcore non sia da sospettare di altrettanta dabbenaggine, visto che con gli amici ci casca sistematicamente, lui povera anima specchiata.
(nella foto, l'edificio in cui c'è l'appartameno della vergognosa storia)
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