martedì, settembre 21, 2010

La maledizione di Montezuma della sinistra

Martedì, 21 settembre 2010
La sinistra italiana ce l’ha sempre avuto nel DNA. E’ la sua una malattia inguaribile ereditaria, che la rende incapace di compattarsi e andare decisa sull’obiettivo. Si rappresenta come un salotto d’intellettuali benpensanti, che non perdono occasione per misurare le proprie teorizzazioni, imbastendo scontri, spesso fine a se stessi, al solo scopo di affermare la supremazia culturale del relatore di turno, ma senza alcun beneficio per quanti ascoltano e dovrebbero trarre da quei discorsi linee d’indirizzo e aggregazione.
La cosa peggiore di quest’esercizio ai limiti della demenzialità è che ha la capacità d’incalzare gli scontri ogni qual volta lo scenario politico del Paese sembra giungere ad una fase nella quale vengono meno i riferimenti saldi nei confronti degli schieramenti dominanti e si avvertirebbe la necessità di individuare sbocchi alternativi, in grado di fare da nuovi referenti alla confusione diffusa venutasi a creare.
A causa di questa patologica propensione autodistruttiva, la sinistra si autocolloca in posizione drammaticamente perdente, segno tangibile d’una immaturità congenita e irreversibile che, anche quando è riuscita a darsi una credibilità di governo, rende effimera la radicazione nella gente.
Anche questa volta lo scenario si ripresenta, quasi fosse una sorta di maledizione di Montezuma, - peraltro nel senso più tecnico. Così, mentre si erge un muro comune delle opposizioni all’attuale sistema elettorale e si alzano da più parti le richieste di modificare il cosiddetto porcellum, Massimo D’Alema non trova di meglio che confondere le acque con disquisizioni teoriche tra metodo francese e metodo tedesco, come se, sorpresi da un incendio dentro un edificio, fosse lecito chiedersi prima di darsi alla fuga e mettersi in salvo se fuori stia piovendo o imperversi una tormenta. Davanti ad un’emergenza senza precedenti, che ha trascinato il Paese in una situazione di egemonia artefatta della destra, il leader del PD preferisce perdersi in anacronistiche disquisizioni sui metodi, dando ancora una volta chiara dimostrazione che il diritto dei cittadini di scegliere i propri rappresentati sia una questione accademica prim’ancora che di democrazia.
Allo stesso modo Walter Veltroni, già segretario del PD, personaggio già rivelatosi ottimo oratore ma pessimo realizzatore dei progetti faraonici delle sue prediche, mentre un Bersani, -certamente figura d’apparato e imbolsito dalla cautela con la quale l’intero partito ha deciso d’affrontare il processo di riaccreditamento nel Paese, - si strizza le meningi alla ricerca di una formula in grado di rilanciare la credibilità di una sinistra sempre più in declino, con proposte di coalizioni rifondanti e allargate ad altri partiti dell’opposizione sulla scorta dell’esperienza del defunto Ulivo, si inventa un manifesto di dissenso, con il quale minaccia persino la scissione dal partito, creando così le condizioni per ringalluzzire la coalizione di governo Lega-PdL in stato comatoso da parecchi mesi. Non a torto Bersani ha bollato l’iniziativa come «un pacco dono a Berlusconi e i suoi».
Sono, quelle si Veltroni e di D’Alema, operazioni per le quali sarebbe sprecato ogni commento, ma che evidenziano quanto il quadro politico del Paese sia in rotta totale e le guerre per bande siano oramai le regole di confronto. Sembra uno scenario da Somalia civilizzata, nella quale alle bande armate e ai kalashnikov si sono sostituiti i clan di sedicenti esperti di formule politiche miracolistiche, che usano lo scoop per minare la stabilità del faticoso consenso realizzato di giorno in giorno in un’opposizione tutt’altro che omogenea in quanto a metodi e obiettivi.
Il giornale spagnolo El Pais, nell’esprimere un proprio giudizio sulle vicende italiane e sul percorso in atto nella sinistra, ritiene il Pd un partito «in coma e senza respiratore», diviso da liti e che «non osa essere di sinistra». Nonostante l'entusiasmo generato dal “'si può fare” veltroniano, la sensazione attuale per il quotidiano è che il Pd, più che un partito riformista di governo, sia una «maionese impazzita di ex democristiani ed ex comunisti che cercano di mantenere i loro privilegi». Secco il giudizio del giornale sul segretario Pierluigi Bersani, che definisce impietosamente «uomo di apparato e senza carisma».
E nell’attesa dell’ennesima umiliane sconfitta alla prova del voto, si consuma nella nullità più assoluta lo scontro all’interno di un partito che dovrebbe rappresentare la speranza e la guida di un riscatto da un biennio berlusconiano fatto di parole, dichiarazioni, cronaca erotica ed amanti, faide interne, ladrocini volgari, spacciati per “governo del fare”, mentre le condizioni del Paese peggiorano sempre più nell’indifferenza più sorda.

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