martedì, settembre 14, 2010

Quando il tifoso si beve il cervello

Martedì, 14 settembre 2010
Carmine Russo, Elenito Di Liberatore e Alessandro Petrella.
A chi si chiedesse a chi corrispondono questi nomi sconosciuti non c’è una risposta univoca.
Infatti, per gli appassionati di calcio si tratta rispettivamente di un arbitro e di due segnalinee. Ma se si va in casa Berlusconi vi risponderanno che questa triade corrisponde ad un commando di comunisti in mutande nere e maglietta rigorosamente rossa, che nei fine settimana è incaricata da un grande vecchio, successore di un certo Luigi Collina, tal Stefano Braschi, che si spaccia per designatore di arbitri per le partite di serie A, - ma in realtà durante la settimana passa la settimana a congiurare con Bersani, Franceschini, Di Pietro e altri brutti ceffi sovversivi, - di affossare il Milan sul campo di gioco, favorendo la squadra avversaria di turno.
Questa è la conclusione illuminante cui sono giunti, premier in testa, i gerarchi del Milan F.C., dopo la magra recuperata dalla squadra contro il neopromosso Cesena: due pappine a zero, che si aggiungono agli inesorabili insuccessi che sta collezionando come una raccolta di francobolli il mitico cavaliere di Arcore. E dire che dalla dacia russa dalla quale aveva chiamato, ospite del suo compagno (pardon!, amico) di bagordi Putin, a corto di argomenti per i lecconi di Atreju riuniti in meditazione, non aveva trovato che un “Forza Italia e forza Milan” per congedarsi. A quanto pare gli va male sui due fronti: l’Italia, i cui cittadini dopo lo spettacolo a dir poco indecente che sta offrendo in politica non esiterebbero certo ad affibbiargli un poderoso calcione lì dove non prende il sole quando è lontano da villa Certosa; i tifosi milanisti, che devono prendere atto di come la squadra amata sia in fondo composta da una banda di pellegrini, nonostante il loro presidente sborone abbia speso fior di milioni per portarsi in casa nomi ad effetto, come Ibraimovic e Robinho.
Insomma, non gliene va una giusta. Dallo shopping di senatori e deputati per controbilanciare i fuorusciti finiani, al rinforzamento della squadra di calcio per cercare di recuperare attraverso l’idiozia della tifoseria il consenso politico perso e sempre più rarefatto.
«Non siamo una squadra» ha detto sabato sera l’allenatore del Milan Allegri nel dopo gara, ignorando il tapino a quali rischi s’è esposto con quest’affermazione. Concetto ripetuto ieri a Milanello prima della seduta di allenamento: «Giocando così non andiamo da nessuna parte, di certo non vinciamo nulla d’importante». Il poveraccio con lo sfogo forse ha trascurato le vicende in cui è incappato il suo predecessore Leonardo, che, antesignano di Fini, aveva osato dire nello scorso campionato davanti alle altalenanti prestazioni dei suoi ragazzi: «Mettiamo in chiaro una cosa, io non sono suddito a nessuno. La squadra la faccio io e non mi lascio certamente condizionare dalle imposizioni né del premier né di altri». Risultato, se n’è tornato nella favela di Rio che aveva lasciato pieno di speranze al tempo in cui era stato chiamato a sostituire quell’altro poveraccio di Carlo Ancelotti, a meditare su quale sia il prezzo che si paga quando s’attraversa la strada al sommo democratico di Arcore.
«Sabato ho detto forza Milan, ma è andata male. Pazienza, nel calcio succede, anche se credo che l'arbitro abbia negato tre gol al Milan» ha dichiarato il Cavaliere nel corso di Atreju, la festa dei giovani del Pdl. Poi ha aggiunto con l’aria tra l’indispettito e l’amareggiato: «A Cesena il Milan ci ha dato dei dolori, ma non ha giocato male. Il problema è che spesso il Milan si imbatte in arbitri di sinistra»», affermazione scellerata con la quale ha comunque aperto una fase nuova nella geografia del calcio e ha inaugurato una nuova moviola, la moviola degli orientamenti politici. Peccato che a Nola si dica che Russo (nato il 29 settembre, proprio come il premier) sia più filo Pdl che Pd. Ma si sa che ormai il mondo è pieno d’infiltrati e di spioni e Russo deve sicuramente fare parte di queste categorie di eversivi mascherati.
Certo, c’è da dire che un presidente del Consiglio, che ha diritto d’essere tifoso come qualunque cittadino, avrebbe il dovere non solo di tacere davanti ad ingiustizie vere o presunte perpetrate ai danni della sua squadra del “cuore” (sebbene sarebbe il caso di dire “portafoglio”), se non altro per non alimentare le tante manifestazioni di violenza che poi mettono in atto gli esagitati proprio per le affermazioni incaute di certi personaggi, ma dovrebbe avere la capacità di dare al mondo quelle sane lezioni di fair play, che servono a ricondurre il significato dello sport nel giusto alveo.
Chissà se la Federcalcio avrebbe il coraggio di squalificare Berlusconi per queste “dichiarazioni lesive della classe arbitrale”, - assunto che essere di sinistra sia poi un’offesa lesiva della dignità personale e del prestigio arbitrale. La storia del calcio insegna che le punizioni sono arrivate anche per molto meno. Ma il presidente del Consiglio è solo presidente in pectore del Milan, dato che dal 2008, quando s’è ufficialmente dimesso da quella carica, nessuno è stato nominato al suo posto. Rimane la certezza che con i valenti avvocati che ha al soldo, non ultimo l’eccellente Stranamore Ghedini, un’eventuale squalifica inflittagli sarebbe pura perdita di tempo per un tribunale federale, perché ancor prima che avvalersi del legittimo impedimento sosterrebbe di essere stato frainteso da una stampa sportiva anche quella comunista.
Ad ogni buon conto e per evitare equivoci sarebbe auspicabile che gli arbitri dal loro corredo cancellassero la maglietta rossa, se non altro per lasciare il dubbio sulla loro appartenenza e non una sfacciata conferma delle loro debolezze.

PS: a fine partita s'era sparsa la voce che Carmine Russo potesse essere fratello della superpopputa Carmen, cosa che avrebbe potuto indurre il premier a mitigare il suo giudizio sull'arbitro. La cosa, immediatamene smentita, pare abbia aggravato il livore di Berlusconi.

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