Il crepuscolo della democrazia
Giovedì, 30 dicembre 2010
L’anno che si chiude passerà alla storia come uno dei più tristi di questo scorcio d’inizio millennio. L’anno nel quale una centenaria storia di battaglie sindacali, fatta anche di eventi luttuosi, è stata cancellata con l’apposizione di una firma su un accordo che decreta la mortificazione definitiva dei diritti e della rappresentatività dei lavoratori nelle fabbriche e nei posti di lavoro in genere.
A commettere questo misfatto storico, con la complicità di confederazioni sindacali che, senza ulteriori veli, confermano quanto la brama di potere dei loro leader passi anche attraverso la svendita dei loro iscritti, è la nuova incestuosa alleanza tra la Fiat e Cisl e Uil, che hanno sancito come con il contentino di un euro al giorno sia possibile consolidare l’esercito degli sbandati che prestano la loro opera nelle fabbriche, in un continuum tra precariato endemico e sfruttati senza diritti.
Questo è il succo dell’accordo di Pomigliano tra Fiat e sindacati, un accordo che prevede la riassunzione in una nuova società dei 4600 dipendenti impiegati in quella fabbrica, ma con un contratto di lavoro che sostanzialmente azzera ogni tutela prevista dal precedente contratto nazionale dei metalmeccanici, in cambio di investimenti freschi pari a 700 milioni per la produzione del modello Panda e di una contropartita di 360 euro d’aumento medio annuo per tutti i lavoratori.
La rappresentatività dei lavoratori in base a quest’accordo sarà limitata alle sole sigle sindacali firmatarie, pertanto la Fiom Cgil, sindacato maggiormente rappresentativo del settore che la sua firma ha negato, sarà definitivamente esclusa da ogni trattativa futura con l’azienda.
Fin qui paradossalmente non ci sarebbe niente di strano per una realtà che sta vivendo da anni una sorta di golpe strisciante con il quale giorno dopo giorno si tende ad asservire il Paese ad un classe dominante che ha sempre dichiarato di puntare ad un esercizio del potere basato sulla limitazione delle libertà, sull’autoritarismo e l’arroganza, abusando del termine democrazia per qualificare le violenze che perpetra quotidianamente verso un tessuto sociale in totale decomposizione per l’assenza d’ogni speranza e di fiducia nel futuro.
Ciò che risulta incomprensibile è il pericolosissimo atteggiamento dei partiti della sinistra, quelli che storicamente sono nati per la difesa delle classi più povere e vessate dallo sfruttamento di un capitalismo infame, che oggi, infettati da questa arroganza sconfinata, osano persino rinnegare il loro dna e si schierano in difesa di quell’accordo, giustificandolo come l’unico possibile nell’ottica di un modernismo dei tempi che non concederebbe alcun appiglio alla difesa ad oltranza di ideologismi anacronistici e vuoti di contenuto.
Così i vari Fassino, D’Alema, Ichino e i tanti doppiopettisti che infestano ciò che residua del partito del grande Enrico Berlinguer si scagliano contro i barricaderos Landini, Cremaschi, che, in quell’intesa antistorica, non hanno giustamente voluto farsi coinvolgere apponendo la loro firma, accusando la Fiom di limitatezza di vedute e d’oltranzismo ideologico.
Questa reazione improvvida mette però in luce un aspetto del tutto nuovo nel degradato panorama della politica italiana. Sono anni che la sedicente sinistra del Paese lotta per riconquistare una credibilità che le ridia dignità di governo. Pensare di riconquistare questa dignità scendendo sul terreno degli avversari e utilizzarne metodi e slogan per darsi una facciata di perbenismo, che renda meno invisa ai cittadini, profondamente delusi dai tradimenti perpetrati alle loro aspettative durante il breve e farsesco governo Prodi, questo rudere di sinistra, va al di là del semplice errore di valutazione, poiché sconfina nella premeditata volontà di conquistare il comando approfittando del disgusto della gente. Comando possibilmente da esercitare con abusi e prepotenze ai quali s’è convinti ci si sia assuefatti con la lunga e tragica commedia berlusconiana.
Il senso di questo intendimento è nelle dichiarazioni di Paolo Pirani, segretario confederale della Uil, con tessera del Pd: "La Fiom si configura come un movimento politico di antagonismo sociale con precise interlocuzioni nazionali verso le fasce più estreme dei centri sociali e con precisi collegamenti internazionali verso i movimenti del radicalismo ecologista e della cosiddetta resistenza palestinese”. Parole da anni settanta, da anni di piombo, che intendono liquidare il dissenso con la criminalizzazione e il ghetto. Sindacati contro sindacati e partito contro la sua costola operaia, la sua essenza fondante, - operazione che ricorda tristemente la disastrosa campagna fratricida sviluppatasi all’interno del PDS contro Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani non più tardi di due anni or sono e che portò alla sconfitta senza appello dell’esperienza di centrosinistra.
Ma a quanto pare anche in questo caso la storia sembra aver insegnato nulla ad una nomenklatura abbarbicata alla poltrona e che, - come s’è già avuto modo di far rilevare, - è ormai avviata sulla strada del compromesso ad ogni costo pur di conquistare il potere, anche se questo prevede la negazione della propria identità e della propria storia.
(nella foto, Maurizio Landini, segretario generale della Fiom)
A commettere questo misfatto storico, con la complicità di confederazioni sindacali che, senza ulteriori veli, confermano quanto la brama di potere dei loro leader passi anche attraverso la svendita dei loro iscritti, è la nuova incestuosa alleanza tra la Fiat e Cisl e Uil, che hanno sancito come con il contentino di un euro al giorno sia possibile consolidare l’esercito degli sbandati che prestano la loro opera nelle fabbriche, in un continuum tra precariato endemico e sfruttati senza diritti.
Questo è il succo dell’accordo di Pomigliano tra Fiat e sindacati, un accordo che prevede la riassunzione in una nuova società dei 4600 dipendenti impiegati in quella fabbrica, ma con un contratto di lavoro che sostanzialmente azzera ogni tutela prevista dal precedente contratto nazionale dei metalmeccanici, in cambio di investimenti freschi pari a 700 milioni per la produzione del modello Panda e di una contropartita di 360 euro d’aumento medio annuo per tutti i lavoratori.
La rappresentatività dei lavoratori in base a quest’accordo sarà limitata alle sole sigle sindacali firmatarie, pertanto la Fiom Cgil, sindacato maggiormente rappresentativo del settore che la sua firma ha negato, sarà definitivamente esclusa da ogni trattativa futura con l’azienda.
Fin qui paradossalmente non ci sarebbe niente di strano per una realtà che sta vivendo da anni una sorta di golpe strisciante con il quale giorno dopo giorno si tende ad asservire il Paese ad un classe dominante che ha sempre dichiarato di puntare ad un esercizio del potere basato sulla limitazione delle libertà, sull’autoritarismo e l’arroganza, abusando del termine democrazia per qualificare le violenze che perpetra quotidianamente verso un tessuto sociale in totale decomposizione per l’assenza d’ogni speranza e di fiducia nel futuro.
Ciò che risulta incomprensibile è il pericolosissimo atteggiamento dei partiti della sinistra, quelli che storicamente sono nati per la difesa delle classi più povere e vessate dallo sfruttamento di un capitalismo infame, che oggi, infettati da questa arroganza sconfinata, osano persino rinnegare il loro dna e si schierano in difesa di quell’accordo, giustificandolo come l’unico possibile nell’ottica di un modernismo dei tempi che non concederebbe alcun appiglio alla difesa ad oltranza di ideologismi anacronistici e vuoti di contenuto.
Così i vari Fassino, D’Alema, Ichino e i tanti doppiopettisti che infestano ciò che residua del partito del grande Enrico Berlinguer si scagliano contro i barricaderos Landini, Cremaschi, che, in quell’intesa antistorica, non hanno giustamente voluto farsi coinvolgere apponendo la loro firma, accusando la Fiom di limitatezza di vedute e d’oltranzismo ideologico.
Questa reazione improvvida mette però in luce un aspetto del tutto nuovo nel degradato panorama della politica italiana. Sono anni che la sedicente sinistra del Paese lotta per riconquistare una credibilità che le ridia dignità di governo. Pensare di riconquistare questa dignità scendendo sul terreno degli avversari e utilizzarne metodi e slogan per darsi una facciata di perbenismo, che renda meno invisa ai cittadini, profondamente delusi dai tradimenti perpetrati alle loro aspettative durante il breve e farsesco governo Prodi, questo rudere di sinistra, va al di là del semplice errore di valutazione, poiché sconfina nella premeditata volontà di conquistare il comando approfittando del disgusto della gente. Comando possibilmente da esercitare con abusi e prepotenze ai quali s’è convinti ci si sia assuefatti con la lunga e tragica commedia berlusconiana.
Il senso di questo intendimento è nelle dichiarazioni di Paolo Pirani, segretario confederale della Uil, con tessera del Pd: "La Fiom si configura come un movimento politico di antagonismo sociale con precise interlocuzioni nazionali verso le fasce più estreme dei centri sociali e con precisi collegamenti internazionali verso i movimenti del radicalismo ecologista e della cosiddetta resistenza palestinese”. Parole da anni settanta, da anni di piombo, che intendono liquidare il dissenso con la criminalizzazione e il ghetto. Sindacati contro sindacati e partito contro la sua costola operaia, la sua essenza fondante, - operazione che ricorda tristemente la disastrosa campagna fratricida sviluppatasi all’interno del PDS contro Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani non più tardi di due anni or sono e che portò alla sconfitta senza appello dell’esperienza di centrosinistra.
Ma a quanto pare anche in questo caso la storia sembra aver insegnato nulla ad una nomenklatura abbarbicata alla poltrona e che, - come s’è già avuto modo di far rilevare, - è ormai avviata sulla strada del compromesso ad ogni costo pur di conquistare il potere, anche se questo prevede la negazione della propria identità e della propria storia.
(nella foto, Maurizio Landini, segretario generale della Fiom)
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