giovedì, dicembre 23, 2010

Il pentito del condom

Mercoledì, 23 dicembre 2010
Non ci sarebbe stato niente di male se avesse taciuto e, tutto sommato, avesse fatto sì che la cosa passasse in sordina. Di tempo oramai ne era trascorso tanto e il mondo, afflitto da ben altre preoccupazioni, di tutto si poteva preoccupare che dell’apertura di un dibattito sulla liceità dell’uso del preservativo finalmente sdoganato anche da Benedetto XVI, al secolo papa Ratzinger.
Così il pontefice, vittima delle probabili pressanti insistenze di un’ala ecclesiastica reazionaria e retriva al punto da rifiutare la ragione, ha fatto marcia indietro e ha ristabilito i confini del profilattico: nessun visto d’ingresso al condom e le parole di Ratzinger, - precisa una nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè quel ex Sant'Uffizio retto dal cardinale Joseph Ratzinger per 24 anni prima di divenire papa, - ovviamente mal interpretate sull’argomento, "non sono una modifica della dottrina morale né della prassi pastorale della Chiesa". Insomma, non cambiano la posizione dottrinale del Vaticano.
Il Pontefice, sottolinea il Sant'Uffizio nell'intervento intitolato "sulla banalizzazione della sessualità" e diffuso in ben sei lingue, si riferiva nel libro non alla "morale coniugale" e nemmeno alla "norma morale sulla contraccezione". Ma "ad un comportamento gravemente disordinato quale è la prostituzione". Con un rilievo: il papa "non di rado è stato strumentalizzato per scopi e interessi estranei al senso delle sue parole". Al che sembra d’assistere alle stanchevoli gag di Berlusconi, vittima dichiarata della costante manipolazione dei media.
Ci sarebbe da chiedersi d’innanzi a precisazioni così puntuali cosa intenda il comunicato con “prostituzione”, visto che il sillogismo che la precisazione stimola rischia di essere persino più lesivo della dignità umana di quanto non sia la stupida presa di posizione apodittica sul ricorso al condom. La pratica contraccettiva del preservativo non può essere associata con un automatismo becero alla prostituzione o alla frequentazione di donne di malaffare, quantunque anche in quella prospettiva lo strumento risponde ad esigenze di prevenzioni di pericolose infezioni.
La verità sta piuttosto in un ritorno alle retrive impostazioni di un sesso funzionale a millantate pratiche procreative, che da sempre costituiscono il frustrante presupposto della dottrina del cattolicesimo. Dottrina che comunque perde ogni ritegno e credibilità al cospetto dei gravissimi atti di violenza e di libidine compiuti storicamente da papi e prelati nei confronti di donne e fanciulli. E non basta certo ricordare che su questi episodi la Chiesa sia espressa con parole di condanna: i documenti spesso venuti fuori o le parole di qualche alto rappresentante dei vescovi in difesa di prelati infami, denunciano come, dietro ai richiami alla castità ed al rispetto dei dettati teorici, ci sia piuttosto una volontà ipocrita di salvare l’apparato ed autoassolversi dagli abusi, coinvolgendo in questo strumentale calderone anche le naturali effusioni d’affettività che coinvolgono i comuni mortali.
Ma così si appanna la credibilità dell’istituzione, con la richiesta di mantenere una morale alla quale anche il vertice della dottrina, della sua massima espressione, dimostra di non dare credito alcuno.
V’è infine un ultimo aspetto e riguarda l’annoso aspetto della modernizzazione della fede, un aspetto che, salvo rare eccezioni, ha fatto apparire la Chiesa come oscurantista e reazionaria.
Non è possibile continuare a mantenere a dispetto dei tempi un atteggiamento che nega come i costumi si siano evoluti al punto da aver impresso un’accelerazione notevole anche nei comportamenti sessuali. La donna, lungi dall’aver conquistato la piena parità all’uomo, ha oggi un grado di libertà significativamente superiore a quello riconosciutole in passato; una responsabilizzazione nella gestione di se stesa e del proprio corpo, che le consente di godere di un’autodeterminazione affrancata da tanti stereotipi figli di una cultura rancida.
Una chiesa che sia incapace di cogliere come lo spartiacque tra procreazione e governo del proprio corpo oggi è decisamente più netto che nel passato rimane un’istituzione nostalgicamente ancorata alla visione di una donna subalterna, a disposizione delle voglie di un uomo dominante, la cui concezione di sessualità più libera verso se stesso è sempre passata per peccato veniale. La donna non può più esser vista come una sorta di prostituta domestica o, peggio ancora, come una sorta di fossa biologica del maschio preminente. Ella deve avere riconosciuto il diritto di interpretare se stessa nella sua pienezza di diritti e doveri, anche verso la religione, e sostenere il contrario o criminalizzarne comportamenti e pulsioni ha solo il risultato di allontanarla da quella spiritualità di cui tutti hanno bisogno e nella quale tutti cercano conforto.
Una Chiesa non in grado di cogliere questa trasformazione della società e dei suoi valori è senza speranza e rischia di morire soffocata dall’incongruenza e dall’anacronismo dei suoi dogmi.

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