L’Italia vista dall'estero
Giovedì, 16 dicembre 2010
Siamo ormai a due giorni dalla Caporetto della politica italiana e la polemica non accenna a diminuire, anzi con il passare delle ore si fa persino più dura ed assume i colori lividi della bile e dell’odio. Da una parte un Berlusconi sempre più isolato, asserragliato nella sua torre eburnea, che lancia antemi contro Fini e i suoi, dall’altra Fini che tace, mentre si lecca le ferite prodottegli dallo scontro con il padre-padrone del partito che aveva contribuito a fondare e che sicuramente medita la prossima mossa per vendicarsi e infliggere una sconfitta al suo nemico.
Nel frattempo i corridoi del parlamento pullulano di impresari più o meno scalcinati, che cercano di comprare qualche guitto di passaggio e imbarcarlo nel pullman del PdL SpA per togliere ulteriore forza e terreno sotto le suole al presidente della Camera, nonché capo del Fli.
E’ un mercato in piena regola, con banditori con tanto di tappeti e collanine al braccio esibiti apposta per turlupinare qualche indeciso passante e appioppare un po’ di fufa, così il padrone della ditta di chincaglieria, alla sera, sarà magari contento dei colpi messi a segno dai suoi vu cumprà sguinzagliati in ogni dove.
Ma Fini non si fa sorprendere, così come non conta di farsi sorprendere Casini, a cui hanno fatto balenare sott’al naso specchietti, collanine e ciarpame colorato vario pur di traghettarselo sulla propria sponda. E allora i due si alleano, fondano il tanto promesso terzo polo, quello di centro, imbarcando nella compagine Rutelli e l’Mpa di Lombardo, i liberali e liberaldemocratici, chiudendo così l’accesso ad ogni interferenza esterna. Certo il terzo polo somiglia sempre più ad un’insalata russa un poco inacidita, una sorta di riedizione della vecchia DC, con la differenza che imbarca qualche screditato di troppo, a cui si pensa la gente non faccia troppo caso, presa com’è dal discredito incancrenito che alberga nel PdL e nei tanti personaggi che un conto aperto con la giustizia ce l’hanno, a cominciare dal suo padre-padrone Silvio Berlusconi.
«Che tristezza, spariranno: sembrano De Mita e Forlani» pare abbia detto il premier con una punta di stizza. E c’è da capirlo, sicuramente gli avrebbe fatto assai più comodo qualcuno che ricordasse più la figura di Oscar Mammì, - che non si sa mai cosa potrebbe accadere se, andando presto o tardi alle urne, questi personaggi dovessero magari ritrovarsi in una posizione molto meno debole di quanto non sia quella attuale.
E mentre l’arrogante Cavaliere s’ostina a mantenersi in sella, a dispetto della responsabilità che dovrebbe avere verso il Paese, e suoi baciapile della Lega continuano a sfogliare la margherita delle elezioni sì, elezioni no, il consesso internazionale, di cui in questa tragica situazione inella quale si trova l’Italia ha molto bisogno, non risparmia frecciate al curaro ad un premier senza dignità. Berlusconi, recita sintetico e impietoso un editoriale del New York Times, «è screditato, non ha più una maggioranza in grado di funzionare. Non è una situazione che l’Italia può tollerare a lungo. Servono, e servono con urgenza, nuovi leader, nuove elezioni e uno stile di governo più onesto». Berlusconi ha fallito e il suo è «un fallimento personale». Il suo «restare in carica ha estenuato l’Italia, indebolito il discorso pubblico, indebolito il governo della legge», conclude il quotidiano d’oltre oceano.
Duro anche l'affondo del Financial Times. Berlusconi deve avere delle «unghie resistenti», scrive oggi il quotidiano, riferendo su come il presidente del consiglio italiano sia riuscito, «tra la violenza nelle strade di Roma e le risse in parlamento», a rimanere «aggrappato al potere» con il minimo scarto. Berlusconi può presentarsi come il vincitore, ma la sua «non è altro che una vittoria di Pirro» - sottolinea il Financial Times - «perché ha perso la maggioranza assoluta alla Camera e molti suoi ex colleghi sono oggi all'opposizione». Tuttavia, sebbene il governo sia in difficoltà, i suoi oppositori hanno poco da festeggiare, continua il quotidiano economico: «Il loro fallimento serve solo a illuminare il loro scompiglio».
Anche l'Economist dice la sua nel descrivere quanto accaduto il 14 dicembre. Tra scontri e voto di fiducia una «giornata non bella per la democrazia parlamentare in Italia», per poi delineare un futuro incerto per Berlusconi, leader di «un governo di minoranza», destinato a barcamenarsi «di crisi in crisi e a racimolare giorno per giorno e legge per legge maggioranze raccogliticce». La sua unica speranza è di «andare avanti finché non ci siano i segni di una ripresa dell'economia e della sua popolarità personale». Il vero perdente, conclude il settimanale britannico, è Fini. «Ma anche il premier è stato gravemente indebolito. A meno che non riesca a concludere un accordo con l'Udc, sembra ancora probabile un'elezione l'anno prossimo».
Che tristezza: e se questa è l’Italia che Berlusconi aveva promesso ai tanti illusi che gli hanno dato credito, allora viva quella di Gava e Pomicino.
Nel frattempo i corridoi del parlamento pullulano di impresari più o meno scalcinati, che cercano di comprare qualche guitto di passaggio e imbarcarlo nel pullman del PdL SpA per togliere ulteriore forza e terreno sotto le suole al presidente della Camera, nonché capo del Fli.
E’ un mercato in piena regola, con banditori con tanto di tappeti e collanine al braccio esibiti apposta per turlupinare qualche indeciso passante e appioppare un po’ di fufa, così il padrone della ditta di chincaglieria, alla sera, sarà magari contento dei colpi messi a segno dai suoi vu cumprà sguinzagliati in ogni dove.
Ma Fini non si fa sorprendere, così come non conta di farsi sorprendere Casini, a cui hanno fatto balenare sott’al naso specchietti, collanine e ciarpame colorato vario pur di traghettarselo sulla propria sponda. E allora i due si alleano, fondano il tanto promesso terzo polo, quello di centro, imbarcando nella compagine Rutelli e l’Mpa di Lombardo, i liberali e liberaldemocratici, chiudendo così l’accesso ad ogni interferenza esterna. Certo il terzo polo somiglia sempre più ad un’insalata russa un poco inacidita, una sorta di riedizione della vecchia DC, con la differenza che imbarca qualche screditato di troppo, a cui si pensa la gente non faccia troppo caso, presa com’è dal discredito incancrenito che alberga nel PdL e nei tanti personaggi che un conto aperto con la giustizia ce l’hanno, a cominciare dal suo padre-padrone Silvio Berlusconi.
«Che tristezza, spariranno: sembrano De Mita e Forlani» pare abbia detto il premier con una punta di stizza. E c’è da capirlo, sicuramente gli avrebbe fatto assai più comodo qualcuno che ricordasse più la figura di Oscar Mammì, - che non si sa mai cosa potrebbe accadere se, andando presto o tardi alle urne, questi personaggi dovessero magari ritrovarsi in una posizione molto meno debole di quanto non sia quella attuale.
E mentre l’arrogante Cavaliere s’ostina a mantenersi in sella, a dispetto della responsabilità che dovrebbe avere verso il Paese, e suoi baciapile della Lega continuano a sfogliare la margherita delle elezioni sì, elezioni no, il consesso internazionale, di cui in questa tragica situazione inella quale si trova l’Italia ha molto bisogno, non risparmia frecciate al curaro ad un premier senza dignità. Berlusconi, recita sintetico e impietoso un editoriale del New York Times, «è screditato, non ha più una maggioranza in grado di funzionare. Non è una situazione che l’Italia può tollerare a lungo. Servono, e servono con urgenza, nuovi leader, nuove elezioni e uno stile di governo più onesto». Berlusconi ha fallito e il suo è «un fallimento personale». Il suo «restare in carica ha estenuato l’Italia, indebolito il discorso pubblico, indebolito il governo della legge», conclude il quotidiano d’oltre oceano.
Duro anche l'affondo del Financial Times. Berlusconi deve avere delle «unghie resistenti», scrive oggi il quotidiano, riferendo su come il presidente del consiglio italiano sia riuscito, «tra la violenza nelle strade di Roma e le risse in parlamento», a rimanere «aggrappato al potere» con il minimo scarto. Berlusconi può presentarsi come il vincitore, ma la sua «non è altro che una vittoria di Pirro» - sottolinea il Financial Times - «perché ha perso la maggioranza assoluta alla Camera e molti suoi ex colleghi sono oggi all'opposizione». Tuttavia, sebbene il governo sia in difficoltà, i suoi oppositori hanno poco da festeggiare, continua il quotidiano economico: «Il loro fallimento serve solo a illuminare il loro scompiglio».
Anche l'Economist dice la sua nel descrivere quanto accaduto il 14 dicembre. Tra scontri e voto di fiducia una «giornata non bella per la democrazia parlamentare in Italia», per poi delineare un futuro incerto per Berlusconi, leader di «un governo di minoranza», destinato a barcamenarsi «di crisi in crisi e a racimolare giorno per giorno e legge per legge maggioranze raccogliticce». La sua unica speranza è di «andare avanti finché non ci siano i segni di una ripresa dell'economia e della sua popolarità personale». Il vero perdente, conclude il settimanale britannico, è Fini. «Ma anche il premier è stato gravemente indebolito. A meno che non riesca a concludere un accordo con l'Udc, sembra ancora probabile un'elezione l'anno prossimo».
Che tristezza: e se questa è l’Italia che Berlusconi aveva promesso ai tanti illusi che gli hanno dato credito, allora viva quella di Gava e Pomicino.
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