lunedì, gennaio 24, 2011

La barbarie dell’esistenza

Lunedì, 24 gennaio 2011
Ieri un sondaggio del professor Renato Mannheimer sembra aver confermato ciò che Silvio Berlusconi predica da sempre. Gli Italiani sono con lui, nonostante magistrati, oppositori e adesso anche la Chiesa gli muovano accuse infamanti e gli consiglino di farsi da parte.
Comunque siano state condotte le rilevazioni di Mannheimer e, dunque, al di là della loro precisione, non può non prendersi atto di un atteggiamento generale del Paese che svogliatamente segue questa storiella di puttane in erba, professioniste del sesso, lenoni presunti, profittatori attempati e palesi violazioni del codice penale, che vietano di sollazzarsi con ragazzine minorenni e d’abusare dell’autorità derivante dal proprio ruolo per costringere un’istituzione a bypassare norme di legge.
Alla canea scatenatasi dopo che il premier è stato colto in fallo, - senza allusione alcuna, - si sono associati giornalisti, intellettuali, conduttori di talk show, comici, vignettisti, oltre a politici e mestatori vari di professione, ai quali non è sembrato vero d’aver trovato un altro argomento sul quale scatenare un battage mediatico destinato a durare nel tempo, in difesa e in accusa dei fatti cui si parla.
Ovviamente in questo circo mediatico, che si contrappone al Barnum politico nel quale vegetiamo da oltre tre lustri, non sono mancati gli idioti e le facce di bronzo, pronti ad avanzare ipotesi interpretative sciocche e irriverenti, pur di poter associare il loro nome all’esercito dei critici alla ribalta.
Si va dalla Santanché, quella Daniela che dichiarava di stare antipatica al mitico Cavaliere solo perché si rifiutava di dargliela, - cosa alla quale non sono mai stati molti a credere, vista la qualità delle signorine con le quali Berlusconi si è consolato in attesa che lei si pentisse, - che difende oscenamente e con argomenti risibili il suo padrone anche davanti all’evidenza, ai mesti Frattini e Alfano, rispettivamente ministri scodinzolanti del governo dell’inquisito, proni ad avallare la tesi della congiura giudiziaria ai danni del presidente del consiglio.
Ci sono poi i coimputati, come Emilio Fede, che - dimentico del fatto di quanto sia noto al modo che la sua lingua ha le dimensioni di quella d’un bovino, per detergere con la dovuta cura le terga del suo dante causa, - giunge a dichiarare pubblicamente, e smentendo schiere di testimonianze e le evidenze emerse dalle indagini, che lui non ha mai portato ragazze ad Arcore e non ha mai assistito a scene hard nelle cene e nei dopo cena a Villa S. Martino. Su quest’ultimo punto non ha comunque chiarito se perché avesse scordato a casa gli occhiali o fosse caduto in sonno profondo a causa delle probabili libagioni a base di liquidi pregiati.
Ma mentre qualcuno come Vittorio Zucconi, inviato de la Repubblica negli USA, fa sapere che in quel Paese, non certo esente da qualche peccatuccio a luci rosse dei suoi presidenti, la concezione dell’etica politica ci fa passare tutti per porci, dato che le mancate reazioni del popolo suonano come una sorta d’assoluzione per il premier, c’è su altra sponda un Piero Ostellino del Corriere della Sera, che implicitamente assolve Silvio da ogni accusa di dedicarsi eccessivamente a giochetti poco edificanti, e sproloquia sulle donne, secondo lui sedute sulla chiave delle loro fortune nonostante non tutte ne abbiano contezza. Evidentemente il signor Ostellino, per quanto non abbia precisato se nutra la stessa convinzione nei confronti dei componenti femminile della sua famiglia, dimostra di avere un altissimo concetto delle donne, che avrebbe fatto meglio a definire solo femmine nel corso dell’esposizione della sua nobile teoria scientifica.
In ultima analisi e guardando oltre il senso di squallore e di vomito che provoca questa ennesima vicenda, nella quale è coinvolto un personaggio che da troppo tempo ostenta il più plateale disprezzo per le leggi e la morale, crediamo che due siano gli aspetti sui quali, comunque vadano le cose, si uscirà irrimediabilmente sconfitti.
Il primo riguarda proprio le donne, ricacciate nella fogna culturale che le vede da sempre solo un oggetto, un apparato sessuale casualmente dotato di altre appendici corporee meno pregiate, di cui la testa è certamente la meno interessante e le gambe non sono altro che una sorta di passaggio a livello per la loro ascesa sociale: ogni apertura del passaggio a livello accredita loro ulteriore punteggio e quando il meccanismo si dovesse inceppare, vuoi per ragioni d’età che magari per presa di coscienza, allora perdono ogni valore.
Il secondo non è meno deprimente e riguarda la capacità di un popolo, di una nazione, di subire con indifferenza ogni sorta di vilipendio dei propri diritti d'eguaglianza di fronte alla legge ed alla propria dignità di esseri umani, che li vorrebbe capaci di ribellarsi ad ogni asservimento immorale e civile e non mesti burattini senz’anima, schiavi di ogni umore e desiderio del potere, anche quello oscurantistico e infame.

(nella foto, Piero Ostellino, ex direttore del Corriere della Sera e "nuovo guru" della liberazione dela donna)

martedì, gennaio 18, 2011

La Repubica della gnocca

Martedì, 18 gennaio 2011
A dispetto dei suoi detrattori e di quanti ritenevano che parlasse a vanvera, Berlusconi alla fine ce l’ha fatta, bisogna riconoscerlo. Siamo all’avvio di quella Terza Repubblica basata su valori nuovi e rivoluzionari, costata sacrifici e strappi laceranti, ma che alla fine avrà dato un volto nuovo alla nostra Italia imbolsita da 150 anni di storia fatta di scandali, abusi d’ogni genere e ingiustizie mai rimosse.
Per cominciare il nome, che sarà mutato in Repubica Italiana, in omaggio ai valori innovativi che ne contraddistingueranno le finalità, sinteticamente individuati nel pube femminile, forza motrice dell’operosità della nazione. In questo senso, in attesa d’una revisione più complessiva e puntuale della obsoleta Carta Costituzionale, cambierà anche il principio basilare dello stato, non più fondato sul lavoro, ma più modernamente sostituito dalla gnocca, visto che è ormai anacronistico far riferimento ad un elemento che, se non scomparso del tutto, è in palese via d’estinzione.
Naturalmente, sarà compito degli esperti trovare le modalità giuste per esprimere un concetto assai importante e che dovrà valorizzarsi in maniera inequivocabile. Tale concetto è che la crescita sociale dei cittadini è garantita sulla base della disponibilità a darla, con l’avvertenza che il principio vale anche per tutti, anche per i cittadini di sesso maschile, alle cui opportunità di sviluppo sociale contribuiranno in modo tangibile mamme e sorelle.
Rivoluzione anche negli organismi rappresentativi, con una Presidenza del Consiglio per gli Acquisti, che coordinerà l’attività di un numero da definire, ma ridotto rispetto al passato, di Machos addetti al presidio delle tematiche di punta del Paese: l’Educazione (Sessuale), gli Interni (non necessario specificare perché di facile intuizione), la Difesa (dei Privilegi), le Pari Opportunità (affinché non ci sia discriminazione tra chi la dà di più), i Trasporti (delle giovani in carriera), la Prostituzione Civile, e qualche altra attività da definire comunque coerente con il nuovo corso, come la Lussuria, alla quale sembrano già puntare molti pretendenti.
La stessa Presidenza del Consiglio per gli Acquisti sarà supportata da un organismo tecnico, composto dai Machos più importanti, - ciò che un tempo era costituito dai Ministeri con portafoglio, - dal nome suggestivo Con.d.O.M. (Consiglio degli Organismi Machos), che avrà il compito di suggerire gli indirizzi in tema di politiche sociali, sviluppo ed economia.
I due rami del Parlamento saranno sostituiti da due Camere, una Bassa e una Alta, nell’ambito delle quali è intuitivo comprendere ciò che vi si svolgerà come attività e la cui differenza sarà costituita dalle modalità di accesso: alla Bassa andranno i candidati scelti in seguito a pubbliche Erezioni Nazionali, - questa è la nuova dicitura prevista per chiamare al voto i cittadini, - alla Alta avranno accesso solo persone nominate direttamente dalla Presidenza del Consiglio per gli Acquisti in maniera di garantire finalmente nel tempo quella governabilità costantemente messa in crisi nei precedenti sistemi dalla variabilità degli umori dei rappresentanti dei cittadini. Il numero dei Privilegiati, - tale sarà l’appellativo dei componenti delle due Camere, - ancora da definire, sarà in ogni caso pariteticamente ripartito tra uomini e donne, al fine di garantire il massimo dell’integrazione , lo scambio coppia o i lavoro di gruppo, senza creare inutili e perniciose discriminazioni nel fruimento dei servizi ai membri.
Sarà in fine abolita la Presidenza della Repubica, i cui compiti saranno più fattivamente assolti direttamente dalla Presidenza del Consiglio per gli Acquisti, sgravata dai tanti adempimenti di bassa cucina grazie all’opera del Con.d.O.M.
Da sottolineare l’estenuante battaglia condotta con la Lega di Umberto Bossi, il famosissimo esponente dei celoduristi padani fautori del federalismo pubico, secondo il quale ogni regione dovrà fruire della gnocca reperibile localmente e che inibisce di trasferire alle aree più bisognose risorse in eccedenza. La tanto reclamata riforma è passata, nonostante i pericoli denunciati dalle opposizioni che vaste aree del Paese rischiano così l’omosessualizzazione e il crollo demografico. La Presidenza del Consiglio per gli Acquisti, dall’alto della sua lunga esperienza diretta in materia e avvalendosi del guru Cetto Laqualunque, ha promesso “più gnocca per tutti”, lanciando quel che potrebbe sembrare l’ennesimo slogan privo di contenuti, ma che questa volta sembra abbia grandi chance di tramutarsi in realtà.

(nella foto, il nuovo simbolo che sostituirà l'antiquata Italia turrita realizzata agli inizi del 1900 dall'artista e disegnatore Daniele Fontana)

domenica, gennaio 16, 2011

Il martirio del santo di Arcore

Domenica, 16 gennaio 2011
E’ da molto tempo che si scrive contro Silvio Berlusconi, contro il suo modo di fare politica, - se di politica si può mai parlare e non, piuttosto, di qualcos’altro più oscuro e fetido, - della sua interpretazione del potere e dell’esercizio dello stesso, e persino della sua discesa in campo, che, ha detta dei maligni, non avrebbe avuto nulla di eroico e ideale se non salvare con ogni mezzo se stesso dalle mille accuse rivoltegli dai giudici per gli imbrogli compiuti per arricchirsi e per mettere al sicuro l’impero costruito con la protezione ben pagata dei corrotti che aveva prezzolato nel corso del tempo.
A questo coro di detrattori e persecutori ci siamo uniti anche noi, poveri di spirito e, soprattutto, di lungimirante intuizione.
Di queste pecche della nostra intelligenza oggi facciamo pubblica ammenda, dovendo riconoscere, anche se tardivamente, che il divino uomo di Arcore, questo inestimabile regalo del Padreterno, aveva ragione, poiché ha definitivamente fatto capire al mondo che le regole del vivere civile, quelle che ci si era dati nella convinzione che potesse esistere un confine tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra lecito e illecito, erano solo il frutto della radicata ipocrisia di quanti non avevano capito che la vita va vissuta senza imporsi alcun schema, inutili orpelli morali ed etici, che finiscono solo per frustrare l’esistenza.
E’ a Silvio Berlusconi e ai suoi apostoli, tra i quali Emilio Fede, Lele Mora, Marcello Dell’Utri, Guido Bertolaso, Denis Verdini, Gianfranco Micciché e tantissimi altri, - ben oltre i dodici di cui si circondava suo fratello Gesù, - che dobbiamo il superamento di concetti vuoti come concussione, corruzione, falso in bilancio, sfruttamento della prostituzione, anche minorile, costituzione di fondi neri per addomesticare testimoni e tante altre banalità alle quali abbiamo creduto per qualche secolo, in un oscurantismo morale dominante al cospetto del quale il medio evo appare un’epoca di fervida cultura progressista.
C’è da augurarsi che presto cadano tabù come l’incesto e l’omicidio, il primo simbolo di una ritrovata felicità del corpo e dell’anima anche in ambito familiare e il secondo come elemento regolatore naturale di rapporti malsani tra gli individui.
Giustamente il profeta di palazzo Chigi, sostenuto in questo da un uomo schivo ma sempre pronto ad offrire al Messia il suo illuminato supporto, tal Niccolò Ghedini, grida nei confronti di quanti ancora osino resistere e levino il dito contro ciò che gli imputano come misfatti che si tratta di infanganti montature tese solo a diffamare la sua opera apostolica, personaggi affetti da un endemico oscurantismo o dall’invidia per non aver potuto assaggiare le grazie carnali Kharima El Mahroug, al secolo Ruby. I suoi persecutori non saranno mai in grado di capire l’estasi che deriva dall’accoppiarsi con una minorenne marocchina e, men che meno, il valore altamente umanitario di una intercessione per farla rilasciare quando la ragazzina era caduta nelle grinfie di quattro sbirri repressi obbedienti a leggi ingiuste.
L’Italia con questo regalo piovutole dal cielo, oggi è ritornata a splendere nel mondo, riacquisendo quella posizione di faro di civiltà che s’era spento da qualche millennio con la scomparsa dell’Impero Romano. E che lo abbia capito persino la Chiesa, notoriamente centro di reazionario conservatorismo, è tutto dire: si pensi all’importante passo avanti che ha fatto il Vaticano sdoganando la bestemmia allor quando questa, opportunamente contestualizzata, serva a suscitare ilarità, magari in una barzelletta, o ad esternare il disagio irrefrenabile e profondo di un perseguitato dallo sorte.
E qualcuno osa ancora ironizzare sulle affermazioni del divino Silvio quando qualifica il suo pontificato come “governo del fare”, aggiungendo a quel fare la parola “schifo”. E’ evidente che ci si trova in quelle circostanze di fronte a gente ignorante e, dunque, incapace di cogliere il valore del verbo e il significato delle gesta di un santo ora operaio, ora maestro, ora impiegato e, perché no, ora pedofilo se serve a rompere le catene che legano ad una concezione della sessualità platealmente bigotta.
Certo, la lotta per il trionfo della nuova fede non è facile e di garantito successo, anche se il martire di Arcore, forte dell’esperienza del fratello Gesù capace di mettere in fuga i mercanti dal tempio, saprà trovare la strada per far sì che la sua parola trionfi sull’infinita ipocrisia del manipolo di miserabili persecutori, che da sempre lo assediano facendosi scudo di leggi ingiuste e fuori da ogni sentiero che conduce al riscatto dell’umanità.

(nella foto, Ilda Boccassini, giudice del tribunale di Milano indicato come uno dei capi del movimento di persecuzione a Silvio Berlusconi)

giovedì, gennaio 13, 2011

La miseria morale di pazzo Chigi

Giovedì, 13 gennaio 2011
Nel caso in cui venisse bocciata l'intesa raggiunta tra la Fiat e i sindacati, «le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi» ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi da Berlino, rompendo il silenzio sulla vicenda e schierandosi a favore dell'ad Sergio Marchionne.
«Non conosco nessun presidente del Consiglio che si auguri che se ne vada il più grande gruppo industriale dal Paese. Se questa è la sua idea del Paese, è meglio che sia il premier ad andarsene», ha detto la leader della Cgil Susanna Camusso. «Il presidente del Consiglio» - ha aggiunto - «s».ta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat a chi fa più danno al nostro Paese
Questa in sintesi la cronaca della giornata sulla questione Mirafiori, dove domani si voterà per l’approvazione o la bocciatura dell’accordo-ricatto siglato tra azienda e sindacati con l’esclusione della Fiom.
Ma mentre questo penoso dibattito tra pro e contro si trascina ormai da giorni, fa assolutamente specie che Silvio Berlusconi abbia perso un’altra occasione per tacere e risparmiare al Paese l’ennesima esternazione, che dimostra quanto sia inconsistente il suo senso di responsabilità verso la grave situazione di conflitto sociale che si delinea all’orizzonte.
Né per ciò che ha detto è sufficiente esternargli di rimando lo sdegno e il disprezzo di chi per guadagnarsi una pagnotta è posto davanti all’inqualificabile ricatto del prendere o lasciare imposto da un Marchionne negli inediti panni del novello Brenno.
Ma se nella logica di un capitalismo spietato, che anni di dure lotte anche in armi non si è riusciti a rendere più umano, è comprensibile che l’ad della Fiat approfitti di una sconvolgente situazione di crisi economica, sociale e morale di portata planetaria per infliggere ai lavoratori il colpo finale di maglio in vista di una riedizione di una schiavitù ormai dimenticata, non altrettanto può ammettersi per un presidente del consiglio che palesa con le sue affermazioni la più totale indegnità morale a ricoprire il ruolo che gli ha affidato il popolo.
Non è ammissibile che chi guida il Paese si conceda il lusso di sputare sulla pelle di tanti lavoratori e delle rispettive famiglie per schierarsi al fianco di coloro che intendono umiliarli, riducendoli in servi senza spina dorsale. Specialmente se questi lavoratori appartengono a quell’azienda storica nel sistema economico nazionale che ha tirato avanti a suon di pubbliche sovvenzioni.
La concezione che dello stato ha Silvio Berlusconi non è diversa da quella che aveva Amin Dada e qualche altro scarto d’umanità: un’aggregazione di affaristi benestanti e spregiudicati che costruiscono le loro ricchezze sul dolore della gente comune e sulla vigliaccheria e la pavidità di chi non ha il coraggio di scendere in strada e rovesciarne l’arrogante dominio, di abbattere con ogni mezzo l’esercizio disinvolto e sprezzante di lesione di ogni diritto
«Bisognerebbe denunciare per alto tradimento il presidente Berlusconi. E non è una battuta» ha detto il governatore della Puglia Nichi Vendola, in visita ieri a Mirafiori nella veste di leader del SEL. Visita nel corso della quale ai cancelli dello stabilimento ha subito la contestazione di un gruppo di lavoratori esasperati e sfiduciati, che non sanno più in che direzione andare visto che anche i partiti che storicamente ne hanno rappresentato gli interessi e si sono posti alla loro tutela sembrano affetti da una cloroformica sonnolenza, che li porta ad assumere solo svogliate prese di posizione verso quella che, con il passare delle ore, appare sempre più una mostruosa forzatura di stampo autoritario.
C’è da credere comunque che Silvio Berlusconi e il suo codazzo di cortigiani abbia fatto bene i propri conti, poiché sortite come quelle che appoggiano le ragioni di una Fiat in veste ricattatoria non sono un buon viatico per l’accrescimento dei consensi. Anzi è probabile che una grossa fetta del mondo operaio, quello che deluso dalla fallimentare esperienza del centro-sinistra di Prodi e soci, che s’era spostata verso Lega e PdL all’ultima tornata elettorale, vada ad ingrossare le fila dell’astensionismo, in assenza di un movimento politico in grado di dimostrare la minima attenzione ai suoi bisogni e alle sue istanze.
Sebbene non sia possibile prevedere l’esito del referendum indetto sull’accordo-ricatto, i pronostici indicano una probabile vittoria del sì, quantunque di misura, conferma che dopo la stentata approvazione di un’intesa simile a Pomigliano d’Arco alcuni mesi or sono, segnerà un ulteriore solco non solo tra i sindacati e tra gli stessi lavoratori, ma anche nella supremazia delle regole democratiche sulla deriva autoritaria messa in atto da tempo dalle forze peggiori del Paese attraverso una classe politica spregiudicata e priva del minimo senso dello stato.

(nella foto, Nichi Vendola)

giovedì, gennaio 06, 2011

Mafia come metodo culturale

Giovedì, 6 gennaio 2011
Roberto Maroni e soci continuano a gridare orgogliosamente che la mafia e le sue consorelle, ‘ndrangheta e camorra, sono state sconfitte, grazie ai numerosi arresti messi a segno nell’ultimo biennio di pericolosissimi boss ai vertici delle rispettive organizzazioni.
La questione, tuttavia, non è quella di stabilire se la malavita organizzata abbia subito un ridimensionamento significativo delle sue strutture, visto che ad ogni boss arrestato succede un generale pronto a prenderne il posto, ma di capire se l’essenza della mafia, cioè l’atteggiamento culturale che ne qualifica i comportamenti e le azioni, sia in fase d’estinzione o, piuttosto, rimanga indifferente all’eliminazione della manovalanza dedita a loschi traffici e business da codice penale.
Alcuni giorni orsono una notizia è apparsa su alcuni giornali siciliani, che rendeva pubblica la decisione del presidente dell’Assemblea Siciliana, Francesco Cascio, di sciogliere la commissione regionale per la revisione dello Statuto. La commissione Statuto è un organismo istituito nel giugno del 2008, che avrebbe dovuto rinnovare l'antica carta dell'autonomia isolana: due anni e mezzo dopo il lavoro non si è ancora concluso. Anzi. Da luglio a oggi, la commissione si è riunita dieci volte e in sei occasioni nessuno dei 13 novelli padri costituenti che la compongono si è presentato all'appuntamento.
Morale: 205 minuti di lavoro nell’ultimo semestre, 34 faticosissimi minuti ogni mese, la maggior parte dei quali spesi nell'ascoltare l'assessore all'Economia che ha relazionato sul federalismo e i sette consulenti nominati per un parere tecnico, evidentemente indispensabile. Oddio, non è che nel semestre precedente la commissione avesse operato con maggior vigore: poco più di un paio di sedute ogni trenta giorni, sei delle quali disdettate o annullate e cinque (cinque!) consumate prima di mettersi d'accordo sull'elezione della centralissima figura del segretario, senza il quale l’attività della commissione non avrebbe mai potuto cominciare.
A dire il vero, Cascio aveva già proposto nel luglio del 2009 l’abolizione della commissione in questione ai colleghi parlamentari regionali, per la manifesta improduttività della commissione medesima. Com’era prevedibile, la proposta fu bocciata senza appello, visti gli interessi clientelari di cui quei signori deputati erano e rimangono portatori, avendo ciascuno qualche sodale di partito e qualche amico consulente da sistemare in una posizione a reddito garantito. Risultato, si fece persino ricorso a deliberare la proroga della commissione, nonostante il regolamento esplicitamente non lo consentisse.
Ma al di là di questi atti di incommensurabile arroganza e disprezzo della legge da parte dei sedicenti onorevoli di palazzo dei Normanni, la cosa che adesso si apprende è che il presidente di questa commissione fantasma, il finiano Alessandro Aricò, i due vice presidenti ed il segretario hanno portato a casa senza colpo ferire e con un calcio in faccia ad ogni predica sui sacrifici e i risparmi necessari in quest’Italia disastrata, ben 165 mila euro di compensi, aggiuntivi ai 19 mila euro lordi mensili di appannaggio parlamentare.
Questa vicenda, peraltro di assoluta ordinaria mangiuglia alla faccia dei cittadini e a dispetto di ogni buon proposito raccomandato gridato ai quattro venti, conferma come la politica sia non solo distante anni luce dalla gente, ma un cancro putrescente di cui per liberarsi non c’è cobaltoterapia che tenga. E questo, a dispetto di quanto spudoratamente dichiarano gerarchie politiche di rango nazionale, che consentono lo sperpero del pubblico denaro agli amici della politica locale, ma varano provvedimenti per affamare i comuni cittadini. Il tutto con la connivenza o la distrazione più totale di quella magistratura contabile e penale che dovrebbe intervenire per reprimere questi marchiani abusi e non muove invece un dito. Ovviamente questi “distratti” non rientrano nella schiera delle toghe rosse nemiche del Cavaliere. Al più faranno parte della squadra di reggimoccolo cui non si interesseranno mai gli ispettori del vigilissimo ministro Alfano.
Orbene, questi episodi non sono il frutto di improvvise e casuali sbandate del sistema, ma sono piuttosto la spia vera di una concezione del potere basato sull’arroganza, la sopraffazione del prossimo, il disprezzo di ogni regola, il disconoscimento della legge, il nepotismo e il clientelismo come regola d’affermazione e ostentazione del proprio potere, meccanismi che nulla hanno di diverso da quelle regole non scritte con le quali da sempre si autogoverna l’onorata società.
Questo modo di concepire l’esercizio di potere conferma come i meccanismo mafioso abbia permeato i gangli del vivere civile e sia definitivamente assurto a regola del sistema della politica e del governo quotidiano della cosa pubblica, sistema che dimostra come non basta eliminare quattro boss, per quanto pericolosi, e inibire traffici border line per dichiarare una vittoria sulla malavita organizzata, ma quanto sia necessario piuttosto estirpare una cultura malata che ha importato regole e metodi di malaffare, prima di poter gridare alla sconfitta della mafia. Essere mafiosi non significa solo esercitare traffici illegali, ma innanzitutto avere una mentalità delinquenziale protesa a ad utilizzare il proprio potere per proprio arricchimento con atti sistematici di raggiro della legge e profittazione delle prerogative di ruolo.
Aricò ufficialmente non parla. Il suo movimento – quel Fli che non perde occasione per unirsi al coro dei predicatori ipocriti - grida all'attacco politico: Cascio è un esponente di quel Pdl che in Sicilia è stato messo all'opposizione dal governatore Lombardo e adesso ricorre a questi mezzucci per colpire gli avversari. Così, fra le polemiche, cala il sipario sull'ultimo scandalo siciliano costato, a conti fatti, 166.640 euro: la spesa sostenuta dalle casse pubbliche per garantire il gettone ai padri della riforma mai nata. E nel frattempo la mafia perde pezzi, ma la mafiosità rinforza la sua cultura.

(nella foto, Francsco Cascio, presidente dell'Ars, in quota PdL)