giovedì, gennaio 13, 2011

La miseria morale di pazzo Chigi

Giovedì, 13 gennaio 2011
Nel caso in cui venisse bocciata l'intesa raggiunta tra la Fiat e i sindacati, «le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi» ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi da Berlino, rompendo il silenzio sulla vicenda e schierandosi a favore dell'ad Sergio Marchionne.
«Non conosco nessun presidente del Consiglio che si auguri che se ne vada il più grande gruppo industriale dal Paese. Se questa è la sua idea del Paese, è meglio che sia il premier ad andarsene», ha detto la leader della Cgil Susanna Camusso. «Il presidente del Consiglio» - ha aggiunto - «s».ta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat a chi fa più danno al nostro Paese
Questa in sintesi la cronaca della giornata sulla questione Mirafiori, dove domani si voterà per l’approvazione o la bocciatura dell’accordo-ricatto siglato tra azienda e sindacati con l’esclusione della Fiom.
Ma mentre questo penoso dibattito tra pro e contro si trascina ormai da giorni, fa assolutamente specie che Silvio Berlusconi abbia perso un’altra occasione per tacere e risparmiare al Paese l’ennesima esternazione, che dimostra quanto sia inconsistente il suo senso di responsabilità verso la grave situazione di conflitto sociale che si delinea all’orizzonte.
Né per ciò che ha detto è sufficiente esternargli di rimando lo sdegno e il disprezzo di chi per guadagnarsi una pagnotta è posto davanti all’inqualificabile ricatto del prendere o lasciare imposto da un Marchionne negli inediti panni del novello Brenno.
Ma se nella logica di un capitalismo spietato, che anni di dure lotte anche in armi non si è riusciti a rendere più umano, è comprensibile che l’ad della Fiat approfitti di una sconvolgente situazione di crisi economica, sociale e morale di portata planetaria per infliggere ai lavoratori il colpo finale di maglio in vista di una riedizione di una schiavitù ormai dimenticata, non altrettanto può ammettersi per un presidente del consiglio che palesa con le sue affermazioni la più totale indegnità morale a ricoprire il ruolo che gli ha affidato il popolo.
Non è ammissibile che chi guida il Paese si conceda il lusso di sputare sulla pelle di tanti lavoratori e delle rispettive famiglie per schierarsi al fianco di coloro che intendono umiliarli, riducendoli in servi senza spina dorsale. Specialmente se questi lavoratori appartengono a quell’azienda storica nel sistema economico nazionale che ha tirato avanti a suon di pubbliche sovvenzioni.
La concezione che dello stato ha Silvio Berlusconi non è diversa da quella che aveva Amin Dada e qualche altro scarto d’umanità: un’aggregazione di affaristi benestanti e spregiudicati che costruiscono le loro ricchezze sul dolore della gente comune e sulla vigliaccheria e la pavidità di chi non ha il coraggio di scendere in strada e rovesciarne l’arrogante dominio, di abbattere con ogni mezzo l’esercizio disinvolto e sprezzante di lesione di ogni diritto
«Bisognerebbe denunciare per alto tradimento il presidente Berlusconi. E non è una battuta» ha detto il governatore della Puglia Nichi Vendola, in visita ieri a Mirafiori nella veste di leader del SEL. Visita nel corso della quale ai cancelli dello stabilimento ha subito la contestazione di un gruppo di lavoratori esasperati e sfiduciati, che non sanno più in che direzione andare visto che anche i partiti che storicamente ne hanno rappresentato gli interessi e si sono posti alla loro tutela sembrano affetti da una cloroformica sonnolenza, che li porta ad assumere solo svogliate prese di posizione verso quella che, con il passare delle ore, appare sempre più una mostruosa forzatura di stampo autoritario.
C’è da credere comunque che Silvio Berlusconi e il suo codazzo di cortigiani abbia fatto bene i propri conti, poiché sortite come quelle che appoggiano le ragioni di una Fiat in veste ricattatoria non sono un buon viatico per l’accrescimento dei consensi. Anzi è probabile che una grossa fetta del mondo operaio, quello che deluso dalla fallimentare esperienza del centro-sinistra di Prodi e soci, che s’era spostata verso Lega e PdL all’ultima tornata elettorale, vada ad ingrossare le fila dell’astensionismo, in assenza di un movimento politico in grado di dimostrare la minima attenzione ai suoi bisogni e alle sue istanze.
Sebbene non sia possibile prevedere l’esito del referendum indetto sull’accordo-ricatto, i pronostici indicano una probabile vittoria del sì, quantunque di misura, conferma che dopo la stentata approvazione di un’intesa simile a Pomigliano d’Arco alcuni mesi or sono, segnerà un ulteriore solco non solo tra i sindacati e tra gli stessi lavoratori, ma anche nella supremazia delle regole democratiche sulla deriva autoritaria messa in atto da tempo dalle forze peggiori del Paese attraverso una classe politica spregiudicata e priva del minimo senso dello stato.

(nella foto, Nichi Vendola)

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