giovedì, luglio 07, 2011

Politica: uno sporco affare personale

Giovedì, 7 luglio 2011
Mentre ci si lecca le ferite prodotte da una finanziaria di proporzioni enormi, ci si chiede quali alternative avesse il Paese per fronteggiare gli ostacoli che si frappongono al pareggio di bilancio imposto dall’Europa e all’azzeramento di un deficit che, con il suo 119%, ha raggiunto proporzioni inaccettabili.
La manovra varata da Tremonti, basata dichiaratamente sulla riduzione della spesa pubblica e il contenimento degli sprechi, ha avuto ancora una volta il risultato di colpire le classi medie e le categorie più povere, manifestandosi come una vera e propria patrimoniale sui redditi più bassi da lavoro e da pensione, che lascia indenni i grandi patrimoni e le rendite finanziarie.
Cò che ci preme evidenziare qui non è tanto la ricaduta che il provvedimento Tremonti avrà sulla tenuta dei redditi delle famiglie, le cui conseguenze sono all’ordine del giorno del dibattito mediatico e politico in corso, quanto ciò che si sarebbe potuto fare in alternativa se avesse prevalso il buon senso gestionale e la classe dirigente al potere non avesse ancora una volta dimostrato di preferire alle stangate-scorciatoia una riflessione più attenta e ponderata.
Non va dimenticato che uno degli impegni assunti dalla coalizione PdL-Lega in fase elettorale era stato quello di abolire le Provincie, enti manifestamente inutili e parassitari che costano ai cittadini oltre 5 miliardi di euro all’anno e che rappresentano nella loro inutilità metastasi mortali nel sistema di gestione politico-territoriale dell’Italia: 110 apparati con tanto di struttura d’organico, consigli politici e poteri di condizionamento della gestione territoriale, che confliggono molto spesso con i poteri dei comuni e con i criteri di gestione delle risorse locali.
Appena 48 ore or sono una mozione dell’IdV sull’abolizione di questi enti è stata bocciata in parlamento grazie all’astensione del PD e l’ostruzione di parte del PdL e della Lega, che con l’occasione sembrano aver inaugurato una nuova maggioranza trasversale volta ad ostacolare nei fatti quel processo di modernizzazione e moralizzazione della politica tanto reclamato a chiacchiere, facendo cadere la proposta di Di Pietro, votata dal cosiddetto terzo polo, nell’archivio delle cose razionali ma impossibili da realizzare.
Eppure 5 miliardi avrebbero potuto rappresentare un buon viatico verso il risanamento dei conti e un alleggerimento non indifferente dei sacrifici richiesti ai cittadini. Ma d’altra parte da un parlamento infarcito di demagoghi e ipocriti opportunisti, che appena qualche settimana fa s’è aumentato nel silenzio più assoluto l’indennità parlamentare della modica cifra di 1.350 euro mensili, mentre insulta i pensionati imponendo loro scippi sulle già magre pensioni in nome dei sacrifici comuni per il risanamento, cosa si poteva pretendere?
Il quadro vero è quello di un’esigenza complessiva di rifondazione del governo della cosa pubblica, che non può più sopportare la presenza di una casta verminosa che infetta i gangli della vita pubblica e vive a spese di quei cittadini ai quali impone condizioni miserabili. Regioni, Provincie, Comuni, Consigli di Zona e aziende pubbliche, oltre che istituzioni centrali dello stato, sono il rifugium peccatori di una politica invasiva, che pensa a se stessa e prolifera posizioni di sottogoverno esclusivamente per garantire stipendi e privilegi ad un’organizzazione di parassiti ora in posti di visibilità ora trombati e, dunque, bisognosi di un parcheggio garantito nel quale potersi alimentare a sbafo dei cittadini comuni, in attesa o nella speranza di riconquistare qualche posizione di maggiore prestigio e a più alta remunerazione.
Questa finanziaria, se mai ve ne fosse stato bisogno, è stata la dimostrazione di una volontà di perpetuare il sistema del parassitismo e del privilegio. Ne è spia l’accantonamento a data da destinarsi delle misure, pur dichiarate nella finanziaria monstre di Tremonti, di tagliare i costi della politica, sotto forma di azzeramento di auto blu, molteplicità di incarichi remunerati, soppressione di privilegi vari e inconfessabili, come i ricchissimi assegni di pensione per aver assolto un solo incarico parlamentare. Senza trascurare la demagogica presentazione prima dell'amaro bocconne della finanziaria di una fantomatica riforma fiscale, che probabilmente mai vedrà la luce.
Dunque un trionfo di interessi particolari, interessi talmente forti da far perdere ai protagonisti il minimo senso di decenza e di dignità. Ineressi che animano una vera e propria lobby trasversale che coinvolge tutte le componenti politiche. E' molto facile per chi di fondo guarda solo al proprio interesse in barba alla missione pubblica che assolve intervenire per fare ordine nei conti pubblici con tagli ai fondi per l’assistenza sanitaria, con l’imposizione di ticket sulle prestazioni di pronto soccorso, con il taglio delle rivalutazioni delle pensioni dall’erosione inflattiva, con l’aumento delle tasse per l’istruzione, con il congelamento degli stipendi dei pubblici dipendenti, - solo per citare alcuni dei provvedimenti canaglia, - piuttosto che declinare qualcuno dei tanti privilegi di cui gode. E non ci s’illuda, d'altra parte, che provvedimenti di questa natura abbiano una qualche influenza sui componenti della casta nella loro qualità di cittadini qualunque, poiché questi “signori” (qui il termine è un manifesto abuso) nella maggior parte dei casi non subiscono alcun danno da misure destinate a ricadere esclusivamente sulla testa dei comuni mortali: la loro sanità è coperta da polizze d'assicurazione, i loro stipendi sono decisi autoreferenzialmente in piena autonomia, le loro pensioni sono ben al riparo, a spese della collettività.
Viviamo in un’epoca di egoismi esasperati, nella quale ognuno pensa esclusivamente a se stesso e per far ciò, con l’arroganza proveniente dal potere che gli attribuisce la carica che occupa, non disdegna di abbandonarsi a pratiche vessatorie del cittadino pur di non compromettere il proprio privilegio. E’ paradossalmente una situazione simile a quella in cui sguazzava la nobiltà francese all’alba della presa della Bastiglia, nella convinzione che in tempi moderni il ricorso ai moti di piazza contro una classe dirigente nel suo complesso, che ha assunto a regola di governo il disprezzo verso il popolo che rappresenta, mai più possa realizzarsi. Ovviamente questa classe dirigente non solo dimentica che l’eccesso di pressione alla corda determina presto o tardi la sua rottura, ma sottovaluta l’effetto emulazione di quanto sta accadendo nello scenario mediterraneo, che non consente di escludere alcun evento: quando entra in gioco la stessa capacità di continuare a condurre un’esistenza minimamente dignitosa, cadono le remore e le inibizioni e la massa diviene improvvisamente cieca. Allora non c’è più tempo per la cernita tra colpevoli e innocenti, ma c’è solo lo spazio per l’odio di popolo e la giustizia sommaria.

(nella foto, Domenico Scilipoti, parlamentare divenuto celebre per il suo discusso passaggio dall'IdV al PdL alla vigilia del voto di fiducia al governo Berlusconi il 14 dicembre 2011)

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