mercoledì, agosto 17, 2011

Fatta la legge, si trovi l’inganno!

Domenica, 14 agosto 2011
Buffoni e incompetenti! L’avevamo scritto ieri e lo ribadiamo oggi, magari con l’aggiunta di una qualificazione ulteriore, quella d’imbroglioni, alla luce di quanto sta emergendo in queste ore di febbrile valutazione della ricaduta del recentissimo provvedimento-stangata.
E l’ulteriore qualificazione ha una sua ragion d’essere, visto che pian piano emergono i trucchetti che stanno dietro alcune previsioni che mai si sarebbe potuto pensare avessero autore Berlusconi e la sua troupe, incapaci di certo, ma stupidi mai.
A parte aver fatto sparire dal testo inviato alla firma del Capo dello stato il capitoletto che prevedeva un inasprimento della tassazione per i redditi oltre i 55 mila euro degli autonomi, la manovra lacrime e sangue (per i soliti noti) e che ha provocato un’emorragia cardiaca al premier (fosse vero!), si sta rivelando una burla ancora più amara a danno dei cittadini usualmente vessati dal disprezzo di questo governo sempre più di parte.
A cominciare dalle provincie, abolite con il clamore delle trombe dei soliti venditori di tappeti, si scopre adesso che il criterio degli abitanti non basta a far decadere l’ente inutile, in quanto questo criterio andrebbe abbinato all’estensione territoriale. Ma se questo non bastasse a rendere necessaria una correzione dei numeri farlocchi di prima battuta sulle provincie abolite (38), si scopre, naturalmente, che il governo almeno per le regioni a statuto speciale (Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia) avrebbe legiferato indebitamente, in pieno abuso dei propri poteri, essendo costituzionalmente delegato ai rispettivi consigli regionali ogni decisione sull’abolizione di enti della natura di quelli di cui si parla. L’errore di valutazione di Tremonti e Berlusconi è stato tale da far passare per luminare di diritto costituzionale persino Gianfranco Micciché, il quale ha tuonato: «In questo governo siede tanta gente che non conosce il Paese. Esempio: l'accorpamento delle Province regionali di Enna e Caltanissetta è il risultato "matematico" del criterio adottato dal governo, ma è un risultato aberrante».
Al giureconsulto Micciché ha fatto eco un altro berlusconiano d’acciaio, il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, ricordando che la competenza su queste faccende, a casa sua, non è di Roma e, dunque, le Province di Trieste e Gorizia non saranno abolite, ma semmai accorpate. Anzi, già che c'era, ha precisato che lui non abolirà neppure i Comuni sotto i 1.000 abitanti: «Manterranno i municipi e i sindaci, ma verranno accorpati i servizi». Come dire, non è una questione di servizi, che possono benissimo essere erogati da un'altra parte, ma le cadreghe su cui poggiano i deretani dei politicanti di seconda fila o dei trombati in parcheggio e in attesa di rispiccare il salto non si toccano per nessuna ragione.
E’ del tutto inutile precisare che con analogo ragionamento sulle prerogative costituzionali delle regioni a statuto speciale e con l’incrocio del dato popolazione/estensione territoriale son saltate quasi il 50% delle cancellazioni già date per certe. Ma l’effetto psicologico su tanti cittadini, che magari si saranno fermati allo scoop iniziale, è stato in parte raggiunto. Finalmente qualcuno s’è deciso a tagliare gli enti inutili, ma che poi nei fatti non se ne faccia niente sarà stata colpa dei soliti “comunisti”, usi ad ostacolare le decisioni provvidenziali di chi ormai abitudinariamente si spaccia per salvatore della patria pur infliggendo colpi mortali alla povera gente.
Ma ciò che sconvolge in quella che sempre più appare oramai la genesi di una manovra-farsa, è il dissenso montante all’interno della stessa coalizione di maggioranza, che reclama a gran voce correttivi ora sul contributo di solidarietà del 5 e del 10% - peraltro già svelato come un bluff, visto che sarà deducibile in fase di dichiarazione dei redditi o che inciderà in maniera a dir poco ridicola sui redditi dei parlamentari, sebbene previsto al raddoppio nel loro caso, considerato che oltre 500 rappresentanti di questa categoria di “lenoni di stato” dichiara redditi di 50 mila euro circa, - ora su qualcos'altro. Senza contare i finti paladini dei diritti dei vessati, come gli statali, verso i quali lo stesso Bossi ha già teso la mano per difendere pensioni, tredicesime e trattamenti di fine rapporto nel mirino di questa manovra iniqua oltre ogni limite.
C’è infine chi attacca la manovra suggerendo di trasferire i meccanismi di maggiori introitazione sull’IVA, che, qualora aumentata di qualche punto percentuale, avrebbe potuto surrogare le previste misure di limatura dei redditi.
Insomma siamo nella classica situazione del prospera omnes sibi clamant, che si contrappone all’altrettanto nota situazione che vede orfane le misure negative e impopolari. Poco importa che la manovra sia stata approvata all’unanimità del consiglio dei ministri, salvo non doversi confermare che quell’unanimità sia stata frutto di qualche libagione in eccesso consumata a palazzo Chigi durante la votazione.
Certo è che chi sperava che la manovra contenesse un timido accenno a provvedimenti di rilancio dell’economia non solo è andato deluso, ma si chiede anche come potrà realizzarsi il rientro dal deficit catastrofico oramai a 1900 miliardi di euro, visto che i soldi a disposizione della gente non bastano più neanche a garantire la consumazione di un pasto al giorno per i 30 giorni di ogni mese e che non c’è alcun surplus per pagare debiti pregressi.
E chi avesse ancora il dubbio che l’avventura con Berlusconi al governo sarebbe stata una catastrofe, adesso è servito: per restare in tema, veritas filia temporis.

(nella foto, l'aula del Consiglio dei Ministri a palazzo Chigi)


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