Un Paese schiacciato dal governo degli inetti
Sabato, 13 agosto 2011
Buffoni incompetenti. Non v’è modo diverso per qualificare la marmaglia capeggiata dal Pifferaio di Arcore che nelle ultime ore ha sfornato un ulteriore torta avvelenata per il Paese. Una torta da 45 miliardi di euro da gustare comodamente seduti sul divano nel biennio 2012/2013, in aggiunta a quella egualmente tossica da 84 miliardi, preparata con altrettanto disinvolto cinismo appena tre settimane or sono dagli stessi cuochi, assistiti dallo stesso staff di sguatteri.
E la cosa che drammaticamente emerge persino gettando un rapido e svogliato sguardo al manicaretto è che parlare di sviluppo e di rilancio dell’economia per i mestatori d’ingredienti dev’essere sembrato come bestemmiare in Vaticano, visto che da nessuna parte c’è uno straccio di richiamo a norme che pallidamente facciano pensare a misure di sviluppo o di ripartenza del sistema economico ormai ingrippato.
Lacrime e sangue, questa è stata la ricetta di base, riservate però a quella schiera bastarda e senza patria che da sempre deve svenarsi sotto il peso di tasse, imposte, accise, balzelli e veri e propri atti di rapina grave compiuti dallo stato ai danni dei dannati, mentre politicanti ed evasori, quelli numerosi e veri che appestano come topi di fogna e immondi scarafaggi la vita dell’Italia, continueranno a fare i loro porci comodi.
Questa incontrovertibile verità emerge dall’analisi delle misure medesime che, come puntualizza Massimo Giannini su la Repubblica di oggi, si rivelano «evanescenti nel merito e urticanti nel metodo». Sì, perché mentre gli oneri a carico della gente comune sono ben elencati e tangibili, – tassazione aggiuntiva dei redditi dei lavoratori dipendenti, ulteriore stangata sugli stipendi di quella “feccia” costituita dagli impiegati della pubblica amministrazione, aumento dell’età per andare in pensione delle donne, - nulla di concreto investe il bubbone che, a gran voce di popolo, sarebbe stato essenziale estirpare: i costi della politica, per i quali s’è prevista una dubbia eliminazione delle provincie con meno di 300 mila abitanti (dopo l’aggiornamento dei dati del censimento!) e l’accorpamento dei comuni con meno di mille abitanti; mentre nulla che riguardi taglio delle pensioni e degli abnormi benefici goduti dai sedicenti onorevoli è reperibile all’interno della manovra. Che poi l’atto di giustizia si concretizzi con il solo divieto per i parlamentari e i mandarini dei vari enti pubblici di viaggiare in classe business nei voli internazionali di servizio appare sinceramente una beffa provocatoria. Così come è provocatoria la balla dei 54 mila posti di pubblico amministratore soppressi (grazie all’abolizione di provincie e riduzione dei comuni), considerato che del biblico massacro non sono stati indicati né i metodi né i tempi di realizzazione e comunque non inficiano la mangiatoia romana.
«La vera e unica novità di questa stangata – osserva acutamente Giannini - è il cosiddetto "contributo di solidarietà" per i redditi più alti. Una misura che, nella forma, vorrebbe ricordare l'eurotassa introdotta dal governo Prodi nel '96 per raggiungere il traguardo di Maastricht. Ma nella sostanza la nuova norma è mal congegnata, e alla fine ha il solito sapore "di classe", come tutte le scelte fatte dai liberisti alle vongole cresciuti nell'allevamento di Arcore. La scelta di aggredire l'Irpef penalizza soprattutto il lavoro dipendente. La soglia scelta per il doppio prelievo fa sì che a pagare siano pochi "super-ricchi" (511 mila italiani, cioè l'1,2% dei contribuenti secondo la Cgia di Mestre) – e molto poco rispetto anche alle loro effettive capacità contributive, aggiungiamo noi. - E il tetto scelto per i lavoratori autonomi (55 mila euro l'anno) fa sì che all'imposta straordinaria sfuggirà la stragrande maggioranza di chi già evade abbondantemente le tasse (e infatti dichiara in media poco meno di 30 mila euro l'anno). Dunque, l'intenzione del governo poteva anche essere buona, ma la realizzazione è pessima sul piano pratico, e discutibile sul piano etico».
La stangata, dunque, è una miscela caotica di omissioni in tragica linea di continuità con l'impianto sostanzialmente regressivo seguito dalla maggioranza in questi tre anni. Una stangata che fa emergere prepotente l’approccio ideologico perverso di una pubblica amministrazione covo di nullafacenti, parassiti, inetti e poco di buono ai quali aver riconosciuto un posto di lavoro e uno stipendio – poco importa se da fame – è stato un regalo della Provvidenza a cui il clan dei “liberisti alle vongole” ha deciso di tagliare le gambe e i viveri. Non importa se il fango riversato addosso a questi lavoratori schizzi anche addosso a chi in questi tre anni di governo s’è rivelato incapace di far funzionare la macchina o di ritararne i meccanismi. Lo sbruffone Brunetta, evidentemente, s’è ritenuto pagato per insultare i precari e sparare stronzate sulla riduzione delle malattie e i recuperi di produttività, non certo per gestire con quell’umiltà a lui sconosciuta un mondo lavorativo afflitto da stratificate frustrazioni, ma in cui sono presenti anche enormi talenti bisognosi della giusta motivazione.
Allo stesso modo è stato trattato l'universo dei pensionati, quei lavoratori che in larghissima parte hanno già dato e, a guisa di ferrivecchi, adesso vanno sbattuti giù dal balcone affinché il primo rigattiere di passaggio se li porti via. Poco importa che abbiano pagato i contributi con i quali assicurarsi un trattamento di sostegno alla vecchiaia: in tempi di magra prima tirano le cuoia, prima finiscono di pesare su un sistema previdenziale spolpato all’inverosimile dai giocolieri delle tre carte politici e dalla famelicità di imprese dedite all’evasione sistematica o all’abuso di cassa integrazione e prepensionamenti. «Dall'altro lato, - commenta ancora tristemente Giannini - il carniere del rigore è altrettanto pieno per quanto riguarda i ministeri e gli enti locali, che patiscono il danno più devastante perché accompagnato dalla beffa del federalismo, ormai un feticcio virtuale persino per Bossi. Dopo la mannaia indiscriminata dei tagli lineari, il colpo di scure su dicasteri, regioni e comuni si accelera rispetto alla tempistica già prevista nel pacchetto di luglio: nulla di nuovo, dunque, ma l'esito non potrà non essere l'aumento dei tributi locali e l'azzeramento dei servizi sul territorio. Se è vero che c'è da soffrire (ed è doveroso farlo, perché il Paese ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità e chi lo governa ha fatto di tutto per non farglielo capire) è anche vero che non possono soffrire sempre gli stessi».
«Questa manovra è un atto di guerra contro il Paese!», ha tuonato il governatore della Puglia, Nichi Vendola. E se è vero questo grido d’allarme, allora occorre che il Paese risponda in modo adeguato, con una mobilitazione che costringa questo spregiudicato e imbarazzante drappello di scandalosi inetti a liberare le poltrone e tornarsene a casa, con le proprie gambe, prima che anche questa chance decada e si scateni l’irreparabile.
E la cosa che drammaticamente emerge persino gettando un rapido e svogliato sguardo al manicaretto è che parlare di sviluppo e di rilancio dell’economia per i mestatori d’ingredienti dev’essere sembrato come bestemmiare in Vaticano, visto che da nessuna parte c’è uno straccio di richiamo a norme che pallidamente facciano pensare a misure di sviluppo o di ripartenza del sistema economico ormai ingrippato.
Lacrime e sangue, questa è stata la ricetta di base, riservate però a quella schiera bastarda e senza patria che da sempre deve svenarsi sotto il peso di tasse, imposte, accise, balzelli e veri e propri atti di rapina grave compiuti dallo stato ai danni dei dannati, mentre politicanti ed evasori, quelli numerosi e veri che appestano come topi di fogna e immondi scarafaggi la vita dell’Italia, continueranno a fare i loro porci comodi.
Questa incontrovertibile verità emerge dall’analisi delle misure medesime che, come puntualizza Massimo Giannini su la Repubblica di oggi, si rivelano «evanescenti nel merito e urticanti nel metodo». Sì, perché mentre gli oneri a carico della gente comune sono ben elencati e tangibili, – tassazione aggiuntiva dei redditi dei lavoratori dipendenti, ulteriore stangata sugli stipendi di quella “feccia” costituita dagli impiegati della pubblica amministrazione, aumento dell’età per andare in pensione delle donne, - nulla di concreto investe il bubbone che, a gran voce di popolo, sarebbe stato essenziale estirpare: i costi della politica, per i quali s’è prevista una dubbia eliminazione delle provincie con meno di 300 mila abitanti (dopo l’aggiornamento dei dati del censimento!) e l’accorpamento dei comuni con meno di mille abitanti; mentre nulla che riguardi taglio delle pensioni e degli abnormi benefici goduti dai sedicenti onorevoli è reperibile all’interno della manovra. Che poi l’atto di giustizia si concretizzi con il solo divieto per i parlamentari e i mandarini dei vari enti pubblici di viaggiare in classe business nei voli internazionali di servizio appare sinceramente una beffa provocatoria. Così come è provocatoria la balla dei 54 mila posti di pubblico amministratore soppressi (grazie all’abolizione di provincie e riduzione dei comuni), considerato che del biblico massacro non sono stati indicati né i metodi né i tempi di realizzazione e comunque non inficiano la mangiatoia romana.
«La vera e unica novità di questa stangata – osserva acutamente Giannini - è il cosiddetto "contributo di solidarietà" per i redditi più alti. Una misura che, nella forma, vorrebbe ricordare l'eurotassa introdotta dal governo Prodi nel '96 per raggiungere il traguardo di Maastricht. Ma nella sostanza la nuova norma è mal congegnata, e alla fine ha il solito sapore "di classe", come tutte le scelte fatte dai liberisti alle vongole cresciuti nell'allevamento di Arcore. La scelta di aggredire l'Irpef penalizza soprattutto il lavoro dipendente. La soglia scelta per il doppio prelievo fa sì che a pagare siano pochi "super-ricchi" (511 mila italiani, cioè l'1,2% dei contribuenti secondo la Cgia di Mestre) – e molto poco rispetto anche alle loro effettive capacità contributive, aggiungiamo noi. - E il tetto scelto per i lavoratori autonomi (55 mila euro l'anno) fa sì che all'imposta straordinaria sfuggirà la stragrande maggioranza di chi già evade abbondantemente le tasse (e infatti dichiara in media poco meno di 30 mila euro l'anno). Dunque, l'intenzione del governo poteva anche essere buona, ma la realizzazione è pessima sul piano pratico, e discutibile sul piano etico».
La stangata, dunque, è una miscela caotica di omissioni in tragica linea di continuità con l'impianto sostanzialmente regressivo seguito dalla maggioranza in questi tre anni. Una stangata che fa emergere prepotente l’approccio ideologico perverso di una pubblica amministrazione covo di nullafacenti, parassiti, inetti e poco di buono ai quali aver riconosciuto un posto di lavoro e uno stipendio – poco importa se da fame – è stato un regalo della Provvidenza a cui il clan dei “liberisti alle vongole” ha deciso di tagliare le gambe e i viveri. Non importa se il fango riversato addosso a questi lavoratori schizzi anche addosso a chi in questi tre anni di governo s’è rivelato incapace di far funzionare la macchina o di ritararne i meccanismi. Lo sbruffone Brunetta, evidentemente, s’è ritenuto pagato per insultare i precari e sparare stronzate sulla riduzione delle malattie e i recuperi di produttività, non certo per gestire con quell’umiltà a lui sconosciuta un mondo lavorativo afflitto da stratificate frustrazioni, ma in cui sono presenti anche enormi talenti bisognosi della giusta motivazione.
Allo stesso modo è stato trattato l'universo dei pensionati, quei lavoratori che in larghissima parte hanno già dato e, a guisa di ferrivecchi, adesso vanno sbattuti giù dal balcone affinché il primo rigattiere di passaggio se li porti via. Poco importa che abbiano pagato i contributi con i quali assicurarsi un trattamento di sostegno alla vecchiaia: in tempi di magra prima tirano le cuoia, prima finiscono di pesare su un sistema previdenziale spolpato all’inverosimile dai giocolieri delle tre carte politici e dalla famelicità di imprese dedite all’evasione sistematica o all’abuso di cassa integrazione e prepensionamenti. «Dall'altro lato, - commenta ancora tristemente Giannini - il carniere del rigore è altrettanto pieno per quanto riguarda i ministeri e gli enti locali, che patiscono il danno più devastante perché accompagnato dalla beffa del federalismo, ormai un feticcio virtuale persino per Bossi. Dopo la mannaia indiscriminata dei tagli lineari, il colpo di scure su dicasteri, regioni e comuni si accelera rispetto alla tempistica già prevista nel pacchetto di luglio: nulla di nuovo, dunque, ma l'esito non potrà non essere l'aumento dei tributi locali e l'azzeramento dei servizi sul territorio. Se è vero che c'è da soffrire (ed è doveroso farlo, perché il Paese ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità e chi lo governa ha fatto di tutto per non farglielo capire) è anche vero che non possono soffrire sempre gli stessi».
«Questa manovra è un atto di guerra contro il Paese!», ha tuonato il governatore della Puglia, Nichi Vendola. E se è vero questo grido d’allarme, allora occorre che il Paese risponda in modo adeguato, con una mobilitazione che costringa questo spregiudicato e imbarazzante drappello di scandalosi inetti a liberare le poltrone e tornarsene a casa, con le proprie gambe, prima che anche questa chance decada e si scateni l’irreparabile.
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