Sbornia di potere o potere degli sbronzi?
Mercoledì, 31 agosto 2011
Il dubbio era venuto. Era un tarlo che rodeva, un sospetto pressante che s’ingigantiva già da tempo, ma sul quale mancava il pur minimo elemento di prova. Ma ieri il dubbio attanagliante finalmente s’è sciolto.
Ebbene sì!, i nostri politici sono avvezzi all’alcol. Bevono come spugne. S’intende, roba pregiata, con tante bollicine ed etichetta rigorosamente francese – la “robaccia” nazionale è lasciata al consumo dei pezzenti, quelli della defunta classe media e o di qualche parvenu in vena d’auto promozione sociale. Naturalmente tutto a spese dei cittadini, che presumono felicissimi di sapere che i loro rappresentanti sono nelle migliori condizioni di spirito quando elaborano o partoriscono una portentosa pensata che li riguarda. D’altra parte è più che giustificato che un onorevole consesso di così tanti onorevoli personaggi stemperi le tensioni sorseggiando un calice di nobile champagne. Ormai anche nelle stanze del potere vige un ferreo divieto di fumo, peraltro da sempre aborrito dall’eccellentissimo presidente del consiglio, e quindi un buon bicchiere è quello che ci vuole in surroga.
Questo dubbio ce l’ha definitivamente rimosso Silvio Berlusconi in persona, che ieri dopo oltre sette ore di vertice con Bossi, sulla questione dei ritocchi da apportare alla manovra anticrisi, ha annunciato che l’intesa era raggiunta e si sarebbe brindato al buon esito del meeting.
Tuttavia, il premier ha omesso di precisare che le libagioni non sono prassi conclusive degli incontri, ché qualche birichino scostumato, forse ottimista com’è vezzo di quegli incontri, allunga la mano prima ed inizia a sorseggiare qualcosina anzitempo del via ufficiale. Certo, il pericolo è quello d’alzare troppo il gomito, ma nel marasma delle decisioni, delle contro decisioni, delle conferme e delle repentine smentite, ormai è difficile stabilire se certi risultati sono il frutto delle sbronze o il parto di menti obnubilate di proprio.
Un esempio lampante, ultimo in ordine di tempo, l’abbiamo avuto ieri con le trionfali dichiarazioni sui correttivi apportati alla manovra economica, che prevedevano tout court l’abolizione del servizio militare (obbligatorio) e dei riscatti laurea dal computo degli anni utili ai fini dell’anzianità di pensionamento. Una norma che, oltre a sputtanare irrimediabilmente i fruttivendoli della Lega, che sino a qualche ora prima giuravano sulla tenuta della linea Maginot sulle pensioni, sollevava un inizio di moto popolare da parte di coloro che il militare sono stati costretti a farlo e, peggio ancora, da chi ha pagato fior di migliaia di euro per riscattare gli anni universitari.
Il fatto che nessuno dei provetti premi Nobel per l’economia convenuti ad Arcore per discutere la questione si sia lasciato sfiorare non solo dalla legittimità di una misura del genere, ma dall’ovvio pericolo di una discesa in strada con forconi e roncole della gente ormai schifata e all’esasperazione, la dice lunga sul livello alcolemetrico che doveva esserci nelle stanze dell’importantissima trattativa, nella quale, c’è da giurarci, fosse per caso entrato un qualunque carabiniere si sarebbe proceduto ad una retata senza guardare in faccia i convenuti.
E che il nettare che scorre in quegli ambienti debba essere di quello buono n’è riprova la durata della sbornia, impossibile da smaltire anche a distanza di parecchie ore dall’ultimo bicchiere consumato.
Anche questo s’evince dal comportamento di certi personaggi, che convinti di far proseliti a basso costo con le corbellerie che predicano contro i presunti nemici storici dell’efficienza dell’economia, continuano a sostenere la validità di norme dal sapore persecutorio contro i pubblici dipendenti, ai quali ora si blocca lo stipendio, poi si blocca l’anzianità, per passare all’imposizione di vere e proprie corse ad ostacoli per raggiungere la pensione e, infine, con assurde, minacce di cancellazione della tredicesima qualora gli obiettivi di bilancio, si badi bene!, fissati alle direzioni generali nelle quali hanno infiltrato i loro servi e lacchè, non dovessero essere raggiunti.
In tutta verità è doveroso riconoscere che scemenze simili non era stato in grado di partorirle il Duce in persona, quel mentecatto di un Benito Mussolini che, come tutti i dittatori, certo non brillò per senso di giustizia e lungimiranza, ma è indubbio avesse un pò di sale in zucca.
C’è voluto un medico prestato alla politica – sperando che non si sia trattato piuttosto d’un maligno regalo – per ritenere che le sortite da bullo di terza mano potessero fare carta straccia di norme costituzionali che tutelano i cittadini e i loro scarsi diritti dalle farsesche quanto proterve discriminazione estemporanee del pirla di turno.
Se si realizza, poi, che questa vergognosa macelleria umana è motivata dalla necessità di evitare che qualche Briatore o Tronchetti Provera o Benetton, – giusto per citare nomi a caso di gente che non risulta iscritta nelle liste dei poveri dei rispettivi comuni di residenza né nell'agenda della Charitas – contribuisca alla disfatta nazionale con una patrimoniale sicuramente in grado di poter essere pagata senza determinare particolari sfaceli al tenore di vita di quei "poveracci", allora il giudizio cambia: non si tratta di avvinazzati che decidono il contenuto dei loro piani di risanamento all’uscita dell’osteria, tra un canto, un peto e una risata sboccata, ma di odiosi criminali che per collasso cerebrale non sanno più distinguere il confine tra decenza e pornografia.
Le opposizioni attribuiscono la malattia allo stato confusionale irreversibile in cui verserebbe la maggioranza. Ma il problema non è tanto l’individuazione della patologia, quanto l’anamnesi e l’origine delle cause della stessa, senza il cui studio è improbabile stendere una prognosi.
Peraltro, questo drappello di beoni scostumati non fa categoria a sé, ma lungo la strada ha raccolto migliaia di infettati proseliti, personaggi che definire uomini provoca un comprendibile disagio unito ad uno sconcerto inenarrabile. Ed il pensiero primariamente vola ai tanti imbrattata-carta, sedicenti giornalisti, che giorno dopo giorno ora vorrebbero convincerci della bontà delle scelte fatte dai loro miti, ora auspicano addirittura misure ancore più fellone di quanto quelle menti irrimediabilmente bacate siano state in grado d’immaginare la sera prima. Chissà, forse anche loro sperano così di poter bere una coppa di champagne……. e al popolo una salutare tazza d’olio di ricino.
Ebbene sì!, i nostri politici sono avvezzi all’alcol. Bevono come spugne. S’intende, roba pregiata, con tante bollicine ed etichetta rigorosamente francese – la “robaccia” nazionale è lasciata al consumo dei pezzenti, quelli della defunta classe media e o di qualche parvenu in vena d’auto promozione sociale. Naturalmente tutto a spese dei cittadini, che presumono felicissimi di sapere che i loro rappresentanti sono nelle migliori condizioni di spirito quando elaborano o partoriscono una portentosa pensata che li riguarda. D’altra parte è più che giustificato che un onorevole consesso di così tanti onorevoli personaggi stemperi le tensioni sorseggiando un calice di nobile champagne. Ormai anche nelle stanze del potere vige un ferreo divieto di fumo, peraltro da sempre aborrito dall’eccellentissimo presidente del consiglio, e quindi un buon bicchiere è quello che ci vuole in surroga.
Questo dubbio ce l’ha definitivamente rimosso Silvio Berlusconi in persona, che ieri dopo oltre sette ore di vertice con Bossi, sulla questione dei ritocchi da apportare alla manovra anticrisi, ha annunciato che l’intesa era raggiunta e si sarebbe brindato al buon esito del meeting.
Tuttavia, il premier ha omesso di precisare che le libagioni non sono prassi conclusive degli incontri, ché qualche birichino scostumato, forse ottimista com’è vezzo di quegli incontri, allunga la mano prima ed inizia a sorseggiare qualcosina anzitempo del via ufficiale. Certo, il pericolo è quello d’alzare troppo il gomito, ma nel marasma delle decisioni, delle contro decisioni, delle conferme e delle repentine smentite, ormai è difficile stabilire se certi risultati sono il frutto delle sbronze o il parto di menti obnubilate di proprio.
Un esempio lampante, ultimo in ordine di tempo, l’abbiamo avuto ieri con le trionfali dichiarazioni sui correttivi apportati alla manovra economica, che prevedevano tout court l’abolizione del servizio militare (obbligatorio) e dei riscatti laurea dal computo degli anni utili ai fini dell’anzianità di pensionamento. Una norma che, oltre a sputtanare irrimediabilmente i fruttivendoli della Lega, che sino a qualche ora prima giuravano sulla tenuta della linea Maginot sulle pensioni, sollevava un inizio di moto popolare da parte di coloro che il militare sono stati costretti a farlo e, peggio ancora, da chi ha pagato fior di migliaia di euro per riscattare gli anni universitari.
Il fatto che nessuno dei provetti premi Nobel per l’economia convenuti ad Arcore per discutere la questione si sia lasciato sfiorare non solo dalla legittimità di una misura del genere, ma dall’ovvio pericolo di una discesa in strada con forconi e roncole della gente ormai schifata e all’esasperazione, la dice lunga sul livello alcolemetrico che doveva esserci nelle stanze dell’importantissima trattativa, nella quale, c’è da giurarci, fosse per caso entrato un qualunque carabiniere si sarebbe proceduto ad una retata senza guardare in faccia i convenuti.
E che il nettare che scorre in quegli ambienti debba essere di quello buono n’è riprova la durata della sbornia, impossibile da smaltire anche a distanza di parecchie ore dall’ultimo bicchiere consumato.
Anche questo s’evince dal comportamento di certi personaggi, che convinti di far proseliti a basso costo con le corbellerie che predicano contro i presunti nemici storici dell’efficienza dell’economia, continuano a sostenere la validità di norme dal sapore persecutorio contro i pubblici dipendenti, ai quali ora si blocca lo stipendio, poi si blocca l’anzianità, per passare all’imposizione di vere e proprie corse ad ostacoli per raggiungere la pensione e, infine, con assurde, minacce di cancellazione della tredicesima qualora gli obiettivi di bilancio, si badi bene!, fissati alle direzioni generali nelle quali hanno infiltrato i loro servi e lacchè, non dovessero essere raggiunti.
In tutta verità è doveroso riconoscere che scemenze simili non era stato in grado di partorirle il Duce in persona, quel mentecatto di un Benito Mussolini che, come tutti i dittatori, certo non brillò per senso di giustizia e lungimiranza, ma è indubbio avesse un pò di sale in zucca.
C’è voluto un medico prestato alla politica – sperando che non si sia trattato piuttosto d’un maligno regalo – per ritenere che le sortite da bullo di terza mano potessero fare carta straccia di norme costituzionali che tutelano i cittadini e i loro scarsi diritti dalle farsesche quanto proterve discriminazione estemporanee del pirla di turno.
Se si realizza, poi, che questa vergognosa macelleria umana è motivata dalla necessità di evitare che qualche Briatore o Tronchetti Provera o Benetton, – giusto per citare nomi a caso di gente che non risulta iscritta nelle liste dei poveri dei rispettivi comuni di residenza né nell'agenda della Charitas – contribuisca alla disfatta nazionale con una patrimoniale sicuramente in grado di poter essere pagata senza determinare particolari sfaceli al tenore di vita di quei "poveracci", allora il giudizio cambia: non si tratta di avvinazzati che decidono il contenuto dei loro piani di risanamento all’uscita dell’osteria, tra un canto, un peto e una risata sboccata, ma di odiosi criminali che per collasso cerebrale non sanno più distinguere il confine tra decenza e pornografia.
Le opposizioni attribuiscono la malattia allo stato confusionale irreversibile in cui verserebbe la maggioranza. Ma il problema non è tanto l’individuazione della patologia, quanto l’anamnesi e l’origine delle cause della stessa, senza il cui studio è improbabile stendere una prognosi.
Peraltro, questo drappello di beoni scostumati non fa categoria a sé, ma lungo la strada ha raccolto migliaia di infettati proseliti, personaggi che definire uomini provoca un comprendibile disagio unito ad uno sconcerto inenarrabile. Ed il pensiero primariamente vola ai tanti imbrattata-carta, sedicenti giornalisti, che giorno dopo giorno ora vorrebbero convincerci della bontà delle scelte fatte dai loro miti, ora auspicano addirittura misure ancore più fellone di quanto quelle menti irrimediabilmente bacate siano state in grado d’immaginare la sera prima. Chissà, forse anche loro sperano così di poter bere una coppa di champagne……. e al popolo una salutare tazza d’olio di ricino.
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