lunedì, settembre 12, 2011

Il default di Berlusconi sull’onda dello sfacelo economico

Lunedì, 12 settembre 2011
Oramai è chiaro a tanti: il default è alle porte. Sull’onda delle vicende economiche che stanno scuotendo la Grecia, incapace di dare una sterzata positiva alla propria economia nonostante gli ingentissimi aiuti europei tramite il fondo salva stati, si susseguono le previsioni di un capolinea anche per l'Italia.
La Grecia ha ridotto il proprio PIL di oltre 7 punti percentuali e adesso si prepara ad introdurre una patrimoniale sulla proprietà immobiliare, come misura aggiuntiva alle già pesantissime azioni messe in atto negli scorsi mesi. Nessuno, però, se la sente di scommettere su quello che appare sempre più il tentativo di salvare un moribondo in fase terminale, che anziché rispondere alle sollecitazioni dei medici al suo capezzale da sempre più segni sconfortanti di irreversibile agonia.
D’altra parte, come hanno fatto notare concordemente gli addetti ai lavori, nessuno è in grado di uscire dal tunnel dell’indebitamento con una costante e progressiva riduzione delle risorse necessarie a pagare persino le rate di quel debito, cosicché lo spettro dell’insolvenza prende giorno dopo giorno forma concreta e non lascia più speranza.
Un analoga situazione si prospetta per l’Italia, che oggi in un quadro depresso di borsa e fiducia, e con una crescita non ancora negativa ma in palese stagnazione, tenterà di collocare ben 18 miliardi di titoli del debito pubblico con uno spread bund/BTP vicinissimo ai 400 punti, che tradotto in soldoni significa garantire ai sottoscrittori di quei titoli un tasso di rendimento superiore al 6% annuo. Ovviamente un onere del genere non fa che azzerare immediatamente buona parte dei proventi derivanti dalla manovra economica ancora in discussione, poiché i suoi introiti – alcuni colpevolmente solo virtuali – anziché poter essere utilizzati per ridurre i debiti contratti dovranno essere dirottati per pagare gli interessi sulle nuove emissioni.
E’ la classica situazione del cane che si morde la coda, dalla quale venir fuori appare sempre più difficile, in quanto la crisi in atto, oltre che puramente economica, è di natura politica e di fiducia dei mercati internazionali nella politica. Nella capacità riconosciuta al governo Berlusconi, squassato da continui e inarrestabili scandali personali che coinvolgono il premier e dalle guerre intestine al partito che lo esprime, di tener fede agli impegni assunti per il risanamento.
Da qui un coro quasi monotono di proteste da parte dell’opposizione – divenuta oramai maggioranza in base ai sondaggi – affinché il divino Silvio si faccia da parte e lasci gli spazi per il varo immediato di un governo di riconciliazione nazionale, aperto a tutte le parti politiche, che si assuma l’onere di gestire la terribile crisi in atto e di riguadagnare il livello di credibilità internazionale essenziale in frangenti come questi. E questa richiesta non proviene solo dalle opposizioni, ma è una convinzione che si sta facendo strada anche in alcune componenti della maggioranza, nella quale il malumore serpeggia da tempo e il panico di un disastro alla tornata elettorale del 2013, – sempre che si riesca ad arrivare a quella scadenza ancora in sella, che falcerà decine di poltrone, - si fa sempre più acuto.
E’ l’affondamento del Titanic quello in atto, un naufragio in cui la ricerca della salvezza propria sta facendo emergere vere e proprie lotte senza esclusione di colpi e che coinvolge persino donne e bambini. Ed è un naufragio per tanti versi annunciato, ma non per questo meno drammatico, dato che i mezzi di soccorso che si sarebbero dovuti approntare sono stati spocchiosamente sottovalutati da chi doveva organizzarli per tempo. In primo luogo dallo stesso Berlusconi, che sino a tempi recentissimi ha negato l’esistenza di un pericolo crisi e, anzi, ha inveito persino con volgarità contro coloro che lanciavano allarmi o, addirittura, gli chiedevano di destarsi dal trip auto-ipnotico in cui è sembrava caduto per lungo tempo.
Quei soggetti, tuttavia, non erano untori, come voleva farli apparire il Cavaliere, ma solo persone di buon senso che osservavano i dati reali e non avevano la mente obnubilata dai bunga-bunga o dai decolleté di mercenarie disposte a tutto pur d’emergere dal guano nel quale strisciano ogni giorno.
D’altra parte è anche vero che un paese non può essere governato con la menzogna, anche la più ingenua e pacchiana, sullo stato dell’economia o la solidità dei suoi fondamentali. Né quattro slogan da venditore di lattughe, come quelli del non mettere le mani in tasca agli italiani, - peraltro contraddetti platealmente dalla dissennata politica di controllo di prezzi e tariffe, schizzati verso l’alto a causa dei folli provvedimenti di tartassamento dello stato sociale, - potevano ingannare i mercati: quegli slogan sono serviti a pennello per irretire parecchi dei cerebrolesi che hanno creduto alle infime panzane di un premier attinto dall'avanspettacolo o si sono fatti abbagliare dall’ingente ricchezza ostentata, senza chiedersi cosa ci fosse dietro, da un’uomo cui stava a cuore solo la ricerca di un metodo sicuro per la propria impunità.
E’ proprio in quest’epilogo che acquisiscono ancora più valore le parole che pronunciò Veronica Lario al momento della sua rottura con il premier: è un uomo ammalato, che avrebbe bisogno di cure, ma che è circondato da consiglieri fraudolenti, opportunisti e feccia di vario genere, che di quella malattia approfitta per proprio tornaconto, rinforzandogli la convinzione di essere onnipotente e indistruttibile.
Ma la dura realtà e governata da fatti, non dalle parole dei ciarlatani di turno. Chissà se, al pari del suo venerato amico Muammar Gheddafi, altro prototipo di slogan e demenziali menzogne, anche il Cavaliere si renda conto che anche per lui l’ora della resa dei conti è assai vicina.


0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page