Le tristi ricette per uscire dalla crisi
Mercoledì, 18 gennaio 2012
(nella foto, il duo Umberto Bossi-Roberto Maroni, un tempo forza trainante della Lega ed oggi acerrimi nemici)
L’onda delle proteste contro quella che più che un’iniziativa a vantaggio dei cittadini sembra profilarsi come una questione di principio non si ferma. Nel mirino della protesta ci sono le liberalizzazioni, termine dal sapore più di slogan che di contenuto, con le quali nelle intenzioni del governo Monti si vorrebbero determinare le condizioni per una concorrenzialità più diffusa nei settori interessati e, dunque, un raffreddamento dei prezzi. Contemporaneamente – ma non è chiaro ancora in virtù di quale magico effetto – le liberalizzazioni dovrebbero anche favorire l’ingresso nei settori interessati di nuovi competitori e, quindi, favorire un effetto ripresa delle attività economiche oggi in forte contrazione a causa della crisi.
Tutto ciò sarà anche vero, ma mentre è chiaro che l’accesso di nuovi avvocati alla professione legale può generare una riduzione delle tariffe al pari dei notai e di altre professioni, risulta poco chiaro come la liberalizzazione delle farmacie o delle licenze di taxista potrà generare un beneficio tariffario per i cittadini, considerato che i prezzi dei farmaci sono determinati da una commissione ministeriale e le tariffe delle auto pubbliche sono fissate dai comuni.
Resta il fatto che sia stato sufficiente parlarne per scatenare un’ondata di proteste in tutta la penisola, con gravissimi disagi per i cittadini in alcune aeree geografiche, come la Sicilia, nelle quali i rappresentanti di categorie tra le più eterogenee come autotrasportatori, braccianti, piccole imprese artigiane, pescatori e altre vari aggregati di mestieri marginali, sono scesi in strada bloccando la circolazione per un’intera settimana e mettendo in ginocchio negozianti, famiglie e gente comune che non sa più dove rifornirsi per il pane ed altri generi di prima necessità.
Questo è il quadro di un’Italia che rischia sempre più di sprofondare nel caos, ma che allo stesso tempo e grazie alle vessazioni di un governo che si dimostra forte coi deboli e debolissimo coi forti può nuovamente contare sul rispetto dei paesi europei che contano e che sino ad ora hanno dettato legge nella gestione della crisi dell’euro.
Ovviamente, questo quadro lascia indifferente Monti e soci, presi come sono dal dimostrare un rigore senza precedenti nella gestione della spesa pubblica e nelle politiche di riduzione del debito pubblico, quantunque sia chiaro al mondo che il peso di questo risanamento, necessario ma dall’onere distribuito impropriamente, grava principalmente su chi già da tempo girava in mutande. E che il governo Monti stia dando prova di perfida gestione e di debolezza verso i poteri forti è dal tutto evidente: nessuna misura è stata varata per colpire i grandi patrimoni e le rendite finanziarie, i cui percettori continuano indisturbati ad arricchirsi con spericolate operazioni speculative su titoli di stato, attività di borsa o commercializzazione di prodotti energetici, che generano oneri aggiuntivi sulla collettività.
Giorno dopo giorno si assiste al trionfo di una classe di speculatori sempre più ristretta, ma saldamente in sella, che ingrassa i propri guadagni e che vede il governo tentennare su imposte patrimoniali o tobin tax, mentre la maggior parte della gente non sa più a che santo votarsi per trovare un lavoro o per trovare i soldi con i quali pagare una bolletta della luce. La stessa classe politica, quella che ha millantato credito con promesse di riduzione dei propri appannaggi, della riforma del numero dei rappresentanti, dell’abolizione di pensioni d’oro e altri privilegi, ha dato prova esemplare d’infamia nell’eludere la messa in pratica dei buoni propositi sbandierati e nell’avallare nel segreto delle riunioni riservate scelte e orientamenti del governo in carica, salvo dichiarare il proprio disaccordo nelle occasioni ufficiali.
C’è in buona sostanza una divaricazioni sempre più profonda tra politica e società, ben rappresentata da quel 46% che dichiara che non si recherà mai più alle urne, come rilevato dai sondaggi resi noti nell’ultima puntata della trasmissione televisiva Ballarò. Ciò conferisce alla situazione italiana una configurazione particolare, che vede un disfacimento non solo dell’economia e delle condizioni di vita, ma anche del senso d’identità nazionale e dei suoi valori: v’è quasi la sensazione che tra gli Italiani ed i suoi rappresentanti politici si sia instaurato un rapporto simile a quello che intercorrerebbe tra un albergatore ed i suoi ospiti, attenti ai servizi che ricevono ma del tutto indifferenti alle problematiche che coinvolgono la dirigenza dell’albergo. E ciò è assai spiacevole, poiché tale stato di cose sancisce una rottura, probabilmente irreversibile, tra paese legale e paese reale, con conseguenze perniciose sul proseguo della democrazia e del senso di appartenenza nazionale che ne deriva.
Sullo sfondo di questa caduta di valori, la Lega, con le sue beghe interne tra Bossi e Maroni e la sua caduta di credibilità verticale: facile e manieristico criticare a tutto tondo sol perché è stata costretta a lasciare le poltrone di governo cui s’era piacevolmente assuefatta. Non è possibile pretendere di ricostruirsi una verginità criticando con rinnovata acredine ciò che il governo propone e il parlamento dispone in ordine a ciò che essa per prima avrebbe potuto realizzare negli inutili otto anni in cui ha vanamente occupato la plancia del paese. Piaccia o meno il movimento di Bossi, Calderoli, Borghezio, Reguzzoni e dei tanti vanitosi sbruffoni che si sono ingrassati alla greppia di Montecitorio ha dimostrato di non essere diverso dai partiti politici che ha criticato, né di nutrire minori appetiti dei bistrattati avversari. E se è nei momenti di maggiore difficoltà che deve emergere da parte della politica il senso dello stato e l’attenzione ai problemi della gente che si rappresenta, la Lega nei frangenti difficili che coinvolgono il paese sta dando prova del peggio di sé e di ciò che la sua classe dirigente rappresenta, prova fornita dal cinico voto per il salvataggio di un camorrista come Cosentino o per l’uso spregiudicato del denaro pubblico erogatole a titolo di rimborso elettorale.
Molto ottimisticamente da più parti si continua a sostenere che l’Italia ce la farà, che sarà in grado di uscire dalla crisi che l’attanaglia e che la vede ancora sull’orlo del baratro del default. Ma alla luce di ciò che si sta facendo per dipanare l’arruffatissima matassa la questione resta non tanto la salvezza del paese, quanto la quantità dei morti che sarà necessario contare in questo difficilissimo percorso.
Tutto ciò sarà anche vero, ma mentre è chiaro che l’accesso di nuovi avvocati alla professione legale può generare una riduzione delle tariffe al pari dei notai e di altre professioni, risulta poco chiaro come la liberalizzazione delle farmacie o delle licenze di taxista potrà generare un beneficio tariffario per i cittadini, considerato che i prezzi dei farmaci sono determinati da una commissione ministeriale e le tariffe delle auto pubbliche sono fissate dai comuni.
Resta il fatto che sia stato sufficiente parlarne per scatenare un’ondata di proteste in tutta la penisola, con gravissimi disagi per i cittadini in alcune aeree geografiche, come la Sicilia, nelle quali i rappresentanti di categorie tra le più eterogenee come autotrasportatori, braccianti, piccole imprese artigiane, pescatori e altre vari aggregati di mestieri marginali, sono scesi in strada bloccando la circolazione per un’intera settimana e mettendo in ginocchio negozianti, famiglie e gente comune che non sa più dove rifornirsi per il pane ed altri generi di prima necessità.
Questo è il quadro di un’Italia che rischia sempre più di sprofondare nel caos, ma che allo stesso tempo e grazie alle vessazioni di un governo che si dimostra forte coi deboli e debolissimo coi forti può nuovamente contare sul rispetto dei paesi europei che contano e che sino ad ora hanno dettato legge nella gestione della crisi dell’euro.
Ovviamente, questo quadro lascia indifferente Monti e soci, presi come sono dal dimostrare un rigore senza precedenti nella gestione della spesa pubblica e nelle politiche di riduzione del debito pubblico, quantunque sia chiaro al mondo che il peso di questo risanamento, necessario ma dall’onere distribuito impropriamente, grava principalmente su chi già da tempo girava in mutande. E che il governo Monti stia dando prova di perfida gestione e di debolezza verso i poteri forti è dal tutto evidente: nessuna misura è stata varata per colpire i grandi patrimoni e le rendite finanziarie, i cui percettori continuano indisturbati ad arricchirsi con spericolate operazioni speculative su titoli di stato, attività di borsa o commercializzazione di prodotti energetici, che generano oneri aggiuntivi sulla collettività.
Giorno dopo giorno si assiste al trionfo di una classe di speculatori sempre più ristretta, ma saldamente in sella, che ingrassa i propri guadagni e che vede il governo tentennare su imposte patrimoniali o tobin tax, mentre la maggior parte della gente non sa più a che santo votarsi per trovare un lavoro o per trovare i soldi con i quali pagare una bolletta della luce. La stessa classe politica, quella che ha millantato credito con promesse di riduzione dei propri appannaggi, della riforma del numero dei rappresentanti, dell’abolizione di pensioni d’oro e altri privilegi, ha dato prova esemplare d’infamia nell’eludere la messa in pratica dei buoni propositi sbandierati e nell’avallare nel segreto delle riunioni riservate scelte e orientamenti del governo in carica, salvo dichiarare il proprio disaccordo nelle occasioni ufficiali.
C’è in buona sostanza una divaricazioni sempre più profonda tra politica e società, ben rappresentata da quel 46% che dichiara che non si recherà mai più alle urne, come rilevato dai sondaggi resi noti nell’ultima puntata della trasmissione televisiva Ballarò. Ciò conferisce alla situazione italiana una configurazione particolare, che vede un disfacimento non solo dell’economia e delle condizioni di vita, ma anche del senso d’identità nazionale e dei suoi valori: v’è quasi la sensazione che tra gli Italiani ed i suoi rappresentanti politici si sia instaurato un rapporto simile a quello che intercorrerebbe tra un albergatore ed i suoi ospiti, attenti ai servizi che ricevono ma del tutto indifferenti alle problematiche che coinvolgono la dirigenza dell’albergo. E ciò è assai spiacevole, poiché tale stato di cose sancisce una rottura, probabilmente irreversibile, tra paese legale e paese reale, con conseguenze perniciose sul proseguo della democrazia e del senso di appartenenza nazionale che ne deriva.
Sullo sfondo di questa caduta di valori, la Lega, con le sue beghe interne tra Bossi e Maroni e la sua caduta di credibilità verticale: facile e manieristico criticare a tutto tondo sol perché è stata costretta a lasciare le poltrone di governo cui s’era piacevolmente assuefatta. Non è possibile pretendere di ricostruirsi una verginità criticando con rinnovata acredine ciò che il governo propone e il parlamento dispone in ordine a ciò che essa per prima avrebbe potuto realizzare negli inutili otto anni in cui ha vanamente occupato la plancia del paese. Piaccia o meno il movimento di Bossi, Calderoli, Borghezio, Reguzzoni e dei tanti vanitosi sbruffoni che si sono ingrassati alla greppia di Montecitorio ha dimostrato di non essere diverso dai partiti politici che ha criticato, né di nutrire minori appetiti dei bistrattati avversari. E se è nei momenti di maggiore difficoltà che deve emergere da parte della politica il senso dello stato e l’attenzione ai problemi della gente che si rappresenta, la Lega nei frangenti difficili che coinvolgono il paese sta dando prova del peggio di sé e di ciò che la sua classe dirigente rappresenta, prova fornita dal cinico voto per il salvataggio di un camorrista come Cosentino o per l’uso spregiudicato del denaro pubblico erogatole a titolo di rimborso elettorale.
Molto ottimisticamente da più parti si continua a sostenere che l’Italia ce la farà, che sarà in grado di uscire dalla crisi che l’attanaglia e che la vede ancora sull’orlo del baratro del default. Ma alla luce di ciò che si sta facendo per dipanare l’arruffatissima matassa la questione resta non tanto la salvezza del paese, quanto la quantità dei morti che sarà necessario contare in questo difficilissimo percorso.
(nella foto, il duo Umberto Bossi-Roberto Maroni, un tempo forza trainante della Lega ed oggi acerrimi nemici)
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