Sic transit gloria mundi
Domenica, 13 novembre 2011
L’avevamo predetto e alla fine è accaduto: Berlusconi lascia, ma più che per sua volontà perché costretto dal fallimento totale del suo governo, che ha obbligato Giorgio Napolitano a dargli il benservito e metterlo alla porta per manifesta inettitudine.
E gli è andata bene, tutto sommato, alla luce dei moti di piazza che ieri sera hanno accompagnato il suo arrivo al Quirinale, – con mezz’ora di ritardo, giusto per confermare come l’idiota disprezzo delle regole sia radicato nel suo dna, - che per un attimo hanno riportato alla mente l’uscita di scena di Bettino Craxi, anche se a quest’ultimo va riconosciuta una statura politica imponente rispetto all’immagine di guitto da quattro soldi che oramai accompagnava la figura dell’ex Unto del Signore di Arcore.
Anche per lui sono volati insulti e monetine, oltre a qualche preservativo, giusto per restare in tono con il personaggio. Ma c’è da scommettere che, se maldestramente fosse stato lasciato alla mercé della folla, qualche sputo per sciogliergli il cerone e il fondo tinta non gli sarebbe stato risparmiato.
Erano in tanti coloro che ancora tre anni or sono, all’indomani della sua schiacciante vittoria elettorale, avevano gridato a gran voce di lasciarlo governare, di dargli una chance per dimostrare se nei fatti sarebbe stato così valido come da sbruffone ripeteva da sempre. Adesso costoro son serviti. Hanno dovuto prendere atto che l’uomo era di fatto un millantatore, un imbonitore senza qualità e capacità i cui metodi erano basati sull’inganno: inganno sull’inesistenza di una crisi planetaria che mordeva anche e soprattutto l’Italia; inganno sulle reali ragioni della sua comparsa in politica, non stimolate da encomiabile amor patrio ma dall’ossesso desiderio di uscire indenne dalle innumerevoli malefatte compiute nell’accumulare una fortuna; inganno sulle mille promesse di ridurre tasse, creare posti di lavoro e mirabolanti imprese di ponti sullo Stretto e ricostruzioni lampo di aree terremotate.
Da qualunque parte si guardi alla sua esperienza di governo non v’è alcun riscontro che possa consentire di rendere meno drammatico e tragico il suoi fallimento, un fallimento che va ben oltre la sua persona e che coinvolge irrimediabilmente e definitivamente l’immagine delle centinaia di pagliacci, banditori, servi e giullari che lo hanno accompagnato come cani fedeli nel rovinoso tragitto verso il baratro.
Ancora ieri qualche irriducibile disperato ha provato ad aizzare una claque disgustosa in quel di Milano, illudendosi forse che il teatro Manzoni, tempio degli show Fininvest e situato nel cuore di quella città che al Cavaliere ha dato i natali, potesse ringalluzzire gli sbandati. Ferrara, Feltri, Sallusti, Santanché, Rotondi e tanti altri scalcinati rappresentanti della meteora berlusconiana hanno tenuto l’ultima kermesse, una grottesca adunata sediziosa con tanto di spudorati nostalgici in bella mostra, prima di ripiombare, nell’oblio più assoluto, nelle cantine ammuffite dalle quali erano stati liberati. E come se non bastasse hanno provato persino a lanciare anatemi e porre condizioni al nuovo capo in pectore del governo in formazione, convinti di contare ancora qualcosa in una realtà talmente stufa e disgustata dalla loro cortigianeria sfacciata da non tollerare neppure di vederli circolare o di sentire i loro miserabili latrati. E le prossime settimane confermeranno la fondatezza di queste considerazioni, quando la carta che imbrattano quotidianamente con le loro arroganti ricette rimarrà invenduta nelle edicole del Paese.
Sia comunque ben inteso che l’essersi liberato di Berlusconi e i suoi Bassotti non significherà aver risolto i problemi dell’Italia e della sua economia. Lo sfascio che è stato prodotto è tale da richiedere lustri perché si possa risalire la china e i sacrifici che saranno imposti alla collettività per ricostruire saranno tali da far maledire Monti, o chi per lui, e gli uomini che lo accompagneranno nell’impresa titanica.
C’è da sperare comunque che, forti di quest’ennesima lezione, gli Italiani per i prossimi cent’anni non commettano più un errore analogo: Mussolini, Craxi, Berlusconi dovrebbero essere più che sufficienti nell’aver impartito un’indelebile esperienza ad un popolo troppo incline, per errore di calcolo e opportunistica convenienza, a ber panzane e tributare onori facili a mentecatti e mezze calzette.
E gli è andata bene, tutto sommato, alla luce dei moti di piazza che ieri sera hanno accompagnato il suo arrivo al Quirinale, – con mezz’ora di ritardo, giusto per confermare come l’idiota disprezzo delle regole sia radicato nel suo dna, - che per un attimo hanno riportato alla mente l’uscita di scena di Bettino Craxi, anche se a quest’ultimo va riconosciuta una statura politica imponente rispetto all’immagine di guitto da quattro soldi che oramai accompagnava la figura dell’ex Unto del Signore di Arcore.
Anche per lui sono volati insulti e monetine, oltre a qualche preservativo, giusto per restare in tono con il personaggio. Ma c’è da scommettere che, se maldestramente fosse stato lasciato alla mercé della folla, qualche sputo per sciogliergli il cerone e il fondo tinta non gli sarebbe stato risparmiato.
Erano in tanti coloro che ancora tre anni or sono, all’indomani della sua schiacciante vittoria elettorale, avevano gridato a gran voce di lasciarlo governare, di dargli una chance per dimostrare se nei fatti sarebbe stato così valido come da sbruffone ripeteva da sempre. Adesso costoro son serviti. Hanno dovuto prendere atto che l’uomo era di fatto un millantatore, un imbonitore senza qualità e capacità i cui metodi erano basati sull’inganno: inganno sull’inesistenza di una crisi planetaria che mordeva anche e soprattutto l’Italia; inganno sulle reali ragioni della sua comparsa in politica, non stimolate da encomiabile amor patrio ma dall’ossesso desiderio di uscire indenne dalle innumerevoli malefatte compiute nell’accumulare una fortuna; inganno sulle mille promesse di ridurre tasse, creare posti di lavoro e mirabolanti imprese di ponti sullo Stretto e ricostruzioni lampo di aree terremotate.
Da qualunque parte si guardi alla sua esperienza di governo non v’è alcun riscontro che possa consentire di rendere meno drammatico e tragico il suoi fallimento, un fallimento che va ben oltre la sua persona e che coinvolge irrimediabilmente e definitivamente l’immagine delle centinaia di pagliacci, banditori, servi e giullari che lo hanno accompagnato come cani fedeli nel rovinoso tragitto verso il baratro.
Ancora ieri qualche irriducibile disperato ha provato ad aizzare una claque disgustosa in quel di Milano, illudendosi forse che il teatro Manzoni, tempio degli show Fininvest e situato nel cuore di quella città che al Cavaliere ha dato i natali, potesse ringalluzzire gli sbandati. Ferrara, Feltri, Sallusti, Santanché, Rotondi e tanti altri scalcinati rappresentanti della meteora berlusconiana hanno tenuto l’ultima kermesse, una grottesca adunata sediziosa con tanto di spudorati nostalgici in bella mostra, prima di ripiombare, nell’oblio più assoluto, nelle cantine ammuffite dalle quali erano stati liberati. E come se non bastasse hanno provato persino a lanciare anatemi e porre condizioni al nuovo capo in pectore del governo in formazione, convinti di contare ancora qualcosa in una realtà talmente stufa e disgustata dalla loro cortigianeria sfacciata da non tollerare neppure di vederli circolare o di sentire i loro miserabili latrati. E le prossime settimane confermeranno la fondatezza di queste considerazioni, quando la carta che imbrattano quotidianamente con le loro arroganti ricette rimarrà invenduta nelle edicole del Paese.
Sia comunque ben inteso che l’essersi liberato di Berlusconi e i suoi Bassotti non significherà aver risolto i problemi dell’Italia e della sua economia. Lo sfascio che è stato prodotto è tale da richiedere lustri perché si possa risalire la china e i sacrifici che saranno imposti alla collettività per ricostruire saranno tali da far maledire Monti, o chi per lui, e gli uomini che lo accompagneranno nell’impresa titanica.
C’è da sperare comunque che, forti di quest’ennesima lezione, gli Italiani per i prossimi cent’anni non commettano più un errore analogo: Mussolini, Craxi, Berlusconi dovrebbero essere più che sufficienti nell’aver impartito un’indelebile esperienza ad un popolo troppo incline, per errore di calcolo e opportunistica convenienza, a ber panzane e tributare onori facili a mentecatti e mezze calzette.
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