mercoledì, novembre 30, 2011

Risanamento e farsa (infinita) delle pensioni

Mercoledì, 30 novembre 2011
Le questioni pensioni e debito pubblico sono per la politica italiana una sorta di cantiere perenne, sui quali non v’è esecutivo che con escavatori, cazzuole, pale e altri strumenti edili più o meno idonei non si diletti a realizzare varianti, restauri, opere di puntellamento e altre fantasie architetturali di dubbia efficacia. Mentre di debito pubblico però si discute da sempre, - con interventi e risultati costantemente inquinati dal clientelismo che segna il dna di chiunque s’alterni nella stanza dei bottoni al governo del nostro sciagurato Paese, - dal 1995, finalmente, per illuminatissima intuizione di un signore con oltre 30 milioni di lire mensili di appannaggio di quiescenza, fu individuato il tarlo corrosivo delle pubbliche finanze: le pensioni. Da quel momento è stato un massacro continuo di ogni regola preesistente, nel nome di una crociata criminale contro i “privilegi” di chi aveva pagato per una vita per garantirsi una rendita di vecchiaia, ritenuta non più sostenibile per il pubblico bilancio e considerata una delle cause principali della crescita esponenziale del debito pubblico.
S’intervenne così sulle cosiddette baby-pensioni, sull’introduzione di un meccanismo contributivo in luogo del sistema retributivo vigente, sui coefficienti rendimento dei contributi versati da lavoratori e imprese, ad un primo innalzamento dell’età necessaria per l’accesso alla quiescenza, nonché all’accorpamento al carrozzone INPS della maggior parte degli istituti di previdenza autonoma, sospettati di non essere in grado nel medio termine di rispettare gli impegni assunti con i rispettivi iscritti.
Erano quelli gli anni della disastrata situazione contabile INPS, affogata dagli oneri impropri di trattamenti di malattia, sostegno di maternità, invalidità varie, cassa integrazione e prepensionamenti a pioggia, che si era valutato poter riequilibrare con un colpo alla credibilità dello stato nel patto non scritto con i cittadini, che avevano in corso un rapporto di lavoro basato su regole il cui cambiamento avrebbe fatto certamente gridare all’inadempienza fraudolenta se attuato in ambito privato, e alla cannibalizzazione delle risorse degli enti previdenziali autonomi, le cui risorse confluivano nella mensa del vorace istituto pubblico per la previdenza sociale.
Seguì a quella riforma un lungo periodo di tregua, tregua tuttavia armata, poiché nel frattempo gli oneri impropri accollati alla previdenza continuavano ad erodere in prospettiva le disponibilità dell’INPS, che per pagare le pensioni, quelle vere, costringeva lo stato ad aumentare gli stanziamenti di bilancio e ad aggravare l’indebitamento..
Nel frattempo l’Italia entrava nell’euro, - non è dato ben comprendere se per soddisfare le velleitarie ambizioni di un Romano Prodi intenzionato a passare alla storia come l’uomo della nuova era o perché, effettivamente, quella transizione avrebbe comunque permesso al Paese di fare un salto di qualità, - trascinandosi dietro un montagna di problemi mai risolti, che forse segretamente si sperava di poter addossare alle finanze ben più opulente dei partner monetari.
Contrariamente ad ogni speranza, i conti dell’Italia hanno continuato a marciare su un terreno putrido e pericoloso e le manovre arrabattate per tamponare le falle, allargate anche da una ragione di cambio lira-euro pazzesca e penalizzante, hanno costretto altri illuminati cantieristi a rimettere mano alle pensioni, - l’eterno spauracchio di un manipolo di politicanti senza idee e, soprattutto, senza il minimo senso dell’equità sociale e la distribuzione del sacrificio. Si assiste così alla cervellotica manovra Maroni-Tremonti, che cambia in corsa i limiti d’età e infligge un duro colpo alle pensioni di anzianità, lasciando nella disperazione migliaia di lavoratori espulsi dalle imprese in ragione dell’età anagrafica, dunque impossibilitati a reperire un nuovo lavoro, e tagliati fuori dall’accesso a breve alla pensione, - unico mezzo di sostentamento alle drammatiche mutate condizioni di vita.
La caduta del governo Berlusconi, di cui Maroni e Tremonti sono ministri e autori di quella beffa, e il reingresso della sinistra guidata da Prodi nella stanza dei bottoni, modifica in parte la scellerata riforma, ma contrariamente agli impegni elettorali assunti, - che prevedevano la cancellazione delle norme introdotte dal precedente esecutivo, - le norme vengono modificate con l’introduzione di scalini e di coefficienti età/minimo contributivo, che in buona sostanza lasciano immutato il senso della legislazione incriminata. E’ evidente che la tavola apparecchiata da Berlusconi all’esecutivo di centro-sinistra faccia assai comodo, poiché lenire gli effetti di una riforma fortemente penalizzante con qualche pannicello caldo illude Prodi e i suoi che il consenso popolare sia garantito. D’altra parte anni di egemonia democristiana, di politica basata sull’illusionismo, difronte ad una situazione dei conti pubblici sempre più fuori controllo, fanno ritenere al professore di Bologna che il maquillage convinca i gonzi di un ripristino di condizioni più accettabili rispetto a quelle capestro partorite dal governo precedente e, contemporaneamente, senza compromissione dell’equilibrio del bilancio statale.
Com’è storia, il governo Prodi andrà a casa dopo due anni di laceranti scontri al suo interno su questioni di equità sociale, pensioni comprese. E cadrà in condizioni di credibilità talmente compromesse da determinare una nuova vittoria della destra berlusconiana, - divenuta nel frattempo anco più conservatrice e reazionaria, al punto da sentirsi obbligata a rimetter mano alle pensioni e al lavoro, oramai muro basso di ogni abuso che eviti di colpire il cuore dei problemi veri del disastro economico-finanziario del Paese.
Si assiste così ad ulteriori giri di vite sui requisiti per l’accesso al pensionamento di donne, pubblici dipendenti, diritto al percepimento dell’assegno di quiescenza in nome di un risanamento più differibile e imposto dall’Europa, eludendo quasi con disprezzo ogni attenzione al cancro vero del sistema Italia, rappresentato da un’evasione enorme diffusa, dall’esenzione dalla tassazione di redditi e patrimoni cospicui – vedi rendite finanziarie e grandi proprietà immobiliari, - privilegi medievali di una casta politica degna di giudizio sommario nelle pubbliche piazze, sperperi di spesa per il mantenimento di apparati politico-burocratici funzionali solo alla ricollocazione di politici trombati e senza più occupazione; negazione dell’esistenza di una gravissima crisi a rischio default del Paese, per fronteggiare la quale sarebbero stati necessari provvedimenti immediati e incisivi non destinati ai soliti noti oramai spremuti e incapaci di traguardare la prima quindicina d’ogni mese con i redditi da fame a disposizione.
Anche questo governo finirà, travolto dagli scandali personali di un premier border line e dalle mille anime presenti all’interno della coalizioni, che l’ha trascinato comatoso per tre lunghi anni senza la minima capacità di incidere sui problemi veri all'origine del deficit spaventoso.
A questo governo se n’è sostituito uno d’emergenza, uno voluto dalla presidenza della Repubblica e formato da tecnici con a capo Mario Monti, emerito professore della Bocconi e, fino a ieri, sospetto di equidistanza nei confronti della politica arruffona e compromissoria. Le iniziative di questo esecutivo sono ancora in fieri, ma che non lasciano presagire nulla di innovativo. Si parla, infatti, nuovamente di pensioni, divenute oramai il Moloc del secolo; si parla ancora di modifiche dell’età per accedervi e di trasformazione, in corsa, di rendimento dei contributi versati, con un passaggio immediato e universale al sistema contributivo rispetto a quello retributivo ancora in essere per tanti e ad esaurimento, che porterà ad uno sfalcio degli assegni di pensione a poco più della metà di quanto precedentemente atteso.
A nostro modesto avviso, - anche alla luce di quanto anticipato in queste ore quale bersaglio degli interventi di Monti e soci e delle scelte degli incarichi di governo attribuiti dal premier, - ci sembrerebbe che la logica perversa che sembra dominare chi assurge al potere non sia affatto mutata, - né l’assunzione dell’incarico di presidente del consiglio da parte del noto luminare è di per sé un elemento che legittima qualunque corbelleria dovesse proporre. La nomina di qualche sottosegretario con la fedina penale non proprio immacolata e comunque espressione di quel ricatto partitico, a cui, in tutta evidenza, non riesce a sottrarsi anche l’ex rettore della Bocconi, e le anticipate linee d’intervento su patrimoniali, incrementi di tassazione diretta e indiretta, pensioni, limature ai trattamenti della casta politica, non lasciano molte speranze di un avvio sulla strada maestra del ripristino dell’equità, della giustizia sociale e del risanamento morale. E a chi dovesse obiettare che non è lecito criticare in assenza di riscontri tangibili, è opportuno rammentare che il buon giorno si vede dal mattino, non certo da tentative previsioni del tempo non sempre confermate nella realtà.

(nella foto, Elsa Fornero, ministro del lavoro e della previdenza sociale del neogoverno Monti)

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