lunedì, dicembre 05, 2011

Monti e le attese deluse

Lunedì, 5 dicembre 2011
In molti hanno tirato un profondo sospiro di sollievo quando il nome di Monti, professore della Bocconi, nonché, di quell’ateneo considerato il gotha della cultura nostrana, magnifico rettore, s’è fatto strada tra le tante ipotesi del dopo Berlusconi.
Dopo un triennio di politica marcatamente di destra, che ha vessato all’inverosimile il lavoro, le pensioni e lo sviluppo, negando la crisi e lasciando indenni da ogni intervento i redditi alti, le rendite finanziarie e immobiliari, i grandi patrimoni e l’evasione fiscale, dal professor Monti e dalla sua dubbia squadra di tecnici indipendenti dai condizionamenti partitici, ci si sarebbe attesa una serie di provvedimenti che andassero a colpire coloro che storicamente sono stati esentati dai sacrifici imposti ai ceti medi e alle categorie del lavoro dipendente.
E il daffare sarebbe stato veramente tanto, qualora si fosse avuto un approccio improntato alla tanto decantata equità e giustizia sociale, di cui il professore e i suoi specialisti s’è riempito più volte la bocca nel corso di interviste e conferenze stampa. Tuttavia, l’equità e la giustizia sociale sono concetti e non valori numerici, pertanto è sempre assai difficile stabilire se, come e quando un determinato provvedimento in quella direzione soddisfi pienamente l’obiettivo o, imbellettato di quell’etichetta, manchi clamorosamente il bersaglio.
Ieri sera, con una presentazione che ha sovvertito i classici rituali sterili cui ci aveva abituato il governo precedente, Monti e la sua squadra ha svelato al Paese il piano di salvataggio che intende mettere in opera e provvedimenti che ha inteso approntare nella direzione della tanto preannunciata equità. E lo ha fatto in primo luogo con un antefatto forse sfuggito a tanti nel suo significato, ma che, per quanto di valore solo estetico, la dice lunga sul profondo rispetto che il professore nutre per i cittadini, non più sudditi cui tutto può imporsi, ma meritevoli di una considerazione archiviata da tempo. Lo ha fatto lanciando una sorta di appello propedeutico, in piedi, con alle spalle il tricolore e la bandiera dell’Europa, quasi a rimarcare la solennità dell’evento e il riconoscimento della supremazia del popolo sulla politica e suoi rappresentanti.
Le misure assunte, tuttavia, non hanno convinto del tutto, poiché hanno confermato come il fulcro dei provvedimenti più onerosi per lo sperato salvataggio del Paese siano ancora una volta concentrati sul ceto medio e sulle pensioni, mentre deboli sono apparse le iniziative atte a promuovere la ripresa dell’economia e inconsistenti, per non dir del tutto assenti, i provvedimenti di lotta all’evasione e quelli ben più attesi per costringere finalmente intere categorie esentate sino ad oggi dai sacrifici a dare un significativo contributo alle finanze dello stato.
Francamente e con il massimo rispetto per l’impegno che avrà richiesto la complessità delle misure presentate, l’assenza di una vigorosa patrimoniale a carico delle grandi ricchezze finanziarie, - non certo mitigata dall’ 1,50% di tassazione aggiuntiva dei capitali scudati a suo tempo con un ridicolo 5% da Berlusconi e Tremonti, - ci pare una grave lacuna, non fosse perché la ristrettezza delle risorse disponibili ha imposto il blocco dell’indicizzazione degli assegni di quiescenza che superano il doppio della pensione minima. Né bastano le lacrime del ministro Elsa Fornero a cancellare la grave ingiustizia che tale blocco provoca ai percettori di pensione ai limiti della sussistenza, chiamati così a contribuire inermi a misure anticrisi che francamente appaiono spropositate.
Anche sul lato dei tagli reclamati da più parti ai costi della politica ed agli assurdi benefici della casta ci sembra che le risposte abbiano latitato. Sarà anche apprezzabile che Monti abbia ufficialmente comunicato di aver rinunciato alle indennità di presidente del consiglio e di ministro dell’economia vicario, ma questa è una misura conseguente una decisione personale e non inferisce certo nel guazzabuglio di privilegi e di ricchissimi appannaggi che godono i suoi colleghi parlamentari. E, in fine, non sarà certo il preannunciato taglio delle rappresentanze provinciali che potrà far dire che l’opera di bonifica del sistema politico, avido e ladrone, può ritenersi conclusa.
Discorso a parte meritano poi le pensioni, il mostro invincibile degli ultimi quindici anni della politica nostrana, a cui sono stati attribuiti tutti i mali del sistema economico: dall’incremento degli esborsi della finanza pubblica alla disoccupazione giovanile crescente, dal rischio di fallimento del sistema della previdenza pubblica al mancato adeguamento delle pensioni al minimo a livelli più dignitosi. Qui non intendiamo entrare in un dibattito sterile e, di fondo, rivelatosi più ideologico che tecnico, poiché il sistema pensionistico avrebbe potuto essere salvaguardato nel tempo anche con il supporto di interventi su meccanismi, - chissà perché, - considerati tabù indiscutibili: separazione della previdenza dall’assistenza, sterilizzazione della cassa integrazione dal calderone INPS, gestione separata della maternità e delle invalidità o rafforzamento delle pensioni integrative. Troviamo tuttavia pesantissima la decisione di stravolgere ancora una volta il sistema con la duplice manovra sull’età di accesso e contribuzione minima e la scelta dello strumento della contribuzione in sostituzione di quello della retribuzione per il calcolo. Crediamo che sarebbe arduo persino per l’autore di questa ennesima riforma spiegare in virtù di quale magico strumento l’innalzamento dell’età pensionabile a 66 anni, - dunque con la permanenza in servizio di risorse umane più decotte che efficienti, - possa favorire il tanto sospirato ricambio generazionale dell’occupazione e rappresentare il toccasana per un precariato orami strutturale del nostro mercato del lavoro.
Parimenti, quale siano i risultati di una lotta all’evasione diffusa derivanti dalla limitazione a 1000 euro delle transazioni monetarie in contanti ci sfugge, poiché la grossa evasione non è fatta solo di movimenti di denaro di grossa entità, ma principalmente dalla sommatoria di omissioni fiscali di prestazioni di artigiani, commercianti e professionisti – avvocati, ingegneri, architetti, dentisti, ecc. – che omettono il rilascio della fattura sotto il noto ricatto dello sconto fasullo dell’IVA. Uno stato serio, che vuol colpire la micro evasione diffusa dovrebbe ricorrere non solo a provvedimenti che limitano la circolazione del contante, ma anche a meccanismi di bonus fiscale a favore di coloro che siano in grado di dettagliare nel modo più esauriente possibile, con tanto di fatture, le spese che hanno sostenuto, sì da incentivare la pretesa di documenti fiscalmente idonei nei confronti di quei soggetti che notoriamente si esentano dal certificare le entrate.
Come si vede, gli argomenti che possono ulteriormente contribuire a rimodellare i provvedimenti di Monti non mancano e c’è da sperare che il governo non intenda porre la fiducia in parlamento nel momento in cui il pacchetto dovrà essere convertito in legge, poiché questa decisione non solo priverebbe l’organo legislativo per eccellenza della nostra democrazia di richiamare ad un’ulteriore riflessione d’equità l’esecutivo, ma farebbe venir meno le occasioni per nuovi contributi di intelligenza di cui il Paese ha oggi ancor più particolarmente necessità.

(nella foto, il ministro Elsa Fornero, in evidente stato di commozione nel corso della conferenza stampa di ieri alla presentazioni delle durissime iniziative di riforma della pensioni)

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