Nuovo governo alla prova dei fatti
Lunedì, 14 novembre 2011
Come si supponeva, è bastato l’annuncio dell’incarico a Monti per frenare la speculazione sul debito nazionale e ridare un certo fiato alla borse. Ciò non significa che i problemi italiani siano risolti, ma, più semplicemente, che i mercati ritengono talmente credibile la figura del nuovo presidente del consiglio incaricato da indurre gli speculatori a rimettere le pistole nelle fondine in attesa di vedere quali saranno le mosse del nuovo esecutivo.
D’altra parte che il governo Monti abbia in programma di aggredire la crisi in atto con il varo di misure lacrime e sangue è cosa scontata, sebbene non sia ancora nota la direzione delle misure in preparazione e chi, prioritariamente, sarà chiamato a dare il contributo più significativo in termini di oneri.
Certo è che, parecchi degli obiettivi sottovalutati dall’esecutivo precedente o coloro addirittura tenuti indenni da un’equa distribuzione dei sacrifici, debbono necessariamente prepararsi al peggio, poiché non è pensabile imbastire nuove manovre a danno esclusivo di chi è da sempre nel vorace mirino delle politiche di risanamento ed oggi è giunto allo stremo. Ciò non significa che a pagare non possano essere chiamati anche i soliti noti. Ma una strategia che puntasse solo e ancora una volta in questa direzione, al di là dei giudizi di moralità, si rivelerebbe immediatamente perdente e priva di credibilità, visto che le rape non possono né produrre sangue né ulteriori succhi grazie a rinnovate spremiture.
In questa prospettiva una patrimoniale si configura ineluttabile, così come si delinea inevitabile una poderosa stretta sui meccanismi che favoriscono l’evasione fiscale e la produzione di redditi che sfuggono a qualunque meccanismo di rilevazione.
Le misure d’assumere non sono poi così complicate come da sempre ci ha fatto credere chi ha convissuto o ha strizzato l’occhio all’evasione. Un bonus fiscale a favore di quanti nella dichiarazione dei redditi presentassero un resoconto da servizi fruiti da professionisti (ingegneri, medici, avvocati, commercialisti, ecc.) costerebbe poco rispetto alla possibilità di raggiungere la redditività effettiva di categorie notoriamente avvezze a pianger miseria con la Porsche in garage.
Analogamente, attraverso i pubblici registri non dovrebbe essere difficile censire i proprietari di auto al di sopra di una certa cilindrata o di barche e verificare la congruenza dei redditi dichiarati, - ciò senza ledere il sacrosanto diritto di ciascuno di spendere i propri soldi nel modo che più gli aggrada. E meccanismi rigorosi di tal genere non risparmierebbero certamente i furbetti che spesso ricorrono a forme di noleggio per sfuggire ai controlli, dato che le società di leasing dovrebbero mettere a disposizione della Guardia di Finanza l’elenco delle persone che si avvalgono dei loro servizi e quest’ultimi giustificare i redditi che consentono l’utilizzo continuativo di mezzi milionari.
Gli esempi potrebbero continuare, ma non crediamo che il valente presidente del consiglio abbia bisogno del nostro supporto per attivare i metodi più adeguati per scovare il cancro dell’evasione.
Altro discorso è la lotta al privilegio, costituito dalle mille guarentigie che godono caste e particolari categorie sociali. Qui la selva è intricata, ma allo stesso tempo non proibitivo sfoltire. Occorre solo la buona volontà di varare leggi apposite che cancellino lo sconcio di trattamenti retributivi, pensionistici e di altra natura riservati a dipendenti di singole regioni o amministrazioni pubbliche, avocando allo stato centrale la potestà normativa su tali materie, comprese quelle che lasciano libertà di gonfiare a dismisura gli organici o di creare uffici ed enti inutili. L’istituzione di un’autorità centrale, che vigili con potere di inibizione sui conti degli enti periferici e sulla congruenza delle spese, potrebbe costituire un passo significativo verso un federalismo equilibrato del quale lo stato centrale continua a conservare una responsabilità rilevante, a garanzia dell’equilibrio del sistema e degli interessi dei cittadini, essendosi ad oggi dimostrata l’autonomia gestionale di certe regioni una libertà di spreco inammissibile a fini elettoralistici e clientelari.
Un discorso a parte merita la politica ed il suo costo, nei confronti dei quali sono necessari tempestivi interventi che cancellino gli assurdi privilegi che godono in termini di retribuzioni, diarie, rimborsi spese, benefit accessori, trattamenti pensionistici e normativi, il cui onere ricade sulla collettività. La politica deve ritornare ad essere una missione e non una professione con la quale arricchirsi o godere di privilegi borbonici. Tale principio deve valere anche per l’apparato burocratico della Camera e del Senato, i cui compiti lavorativi non sono certamente diversi da quelli disimpegnati da un qualunque dipendente pubblico: un commesso parlamentare non può percepire stipendi da dirigente d’impresa, in disprezzo dei diritti dei pari grado in forza in qualunque amministrazione pubblica.
C’è infine la questione del rilancio occupazionale, che deve essere affrontato sì con i necessari strumenti di flessibilità, ma con la cancellazione definitiva di un precariato perenne che non lascia alcuna speranza e che mortifica le prospettive di vita di migliaia di giovani. Le imprese non devono più fruire della libertà d’assunzione temporanea in modo indiscriminato e continuativo, ma devono garantire la stabilizzazione di coloro che abbiano già prestato la loro opera con contratti atipici almeno per due volte nella stessa mansione e in qualunque realtà produttiva. E le imprese che vengono meno a questo vincolo di legge debbono essere perseguite duramente, anche con aggravi contributivi commisurati alla forza lavoro impiegata, oltre che con l’obbligo immediato di regolarizzare le posizioni contrattuali irregolari.
Queste, ovviamente, non sono che alcune delle iniziative che potrebbero assumersi in via immediata per variare la rotta, ma sono anche le iniziative che potrebbero autorizzare interventi su pensioni o altri istituti già tartassati in passato e che hanno evidenziato sia la pochezza che la volontà persecutoria del governo passato. Non si capirebbe, d’altra parte, cosa s’intenda per equità e giustizia sociale quando l’attenzione alla distribuzione dei sacrifici e, allo stesso tempo, alla creazione di un quadro sociale di maggiore solidarietà, non passasse anche attraverso una diversa regolamentazione delle regole del gioco che non esenti nessuno dall’obbligo di fare la propria parte.
Un nuovo governo che voglia dare il senso della discontinuità e voglia rigenerare la fiducia del Paese non può esimersi, nell’ora del sacrificio generale, dal chiamare in causa chi sino ad ora ha alzato il dito e la voce contro gli effetti d’una crisi senza precedenti, ma nei fatti s’è crogiolato nel privilegio di chiamarsi esente o, peggio, s’è pure arricchito speculando sulle miserie altrui.
D’altra parte che il governo Monti abbia in programma di aggredire la crisi in atto con il varo di misure lacrime e sangue è cosa scontata, sebbene non sia ancora nota la direzione delle misure in preparazione e chi, prioritariamente, sarà chiamato a dare il contributo più significativo in termini di oneri.
Certo è che, parecchi degli obiettivi sottovalutati dall’esecutivo precedente o coloro addirittura tenuti indenni da un’equa distribuzione dei sacrifici, debbono necessariamente prepararsi al peggio, poiché non è pensabile imbastire nuove manovre a danno esclusivo di chi è da sempre nel vorace mirino delle politiche di risanamento ed oggi è giunto allo stremo. Ciò non significa che a pagare non possano essere chiamati anche i soliti noti. Ma una strategia che puntasse solo e ancora una volta in questa direzione, al di là dei giudizi di moralità, si rivelerebbe immediatamente perdente e priva di credibilità, visto che le rape non possono né produrre sangue né ulteriori succhi grazie a rinnovate spremiture.
In questa prospettiva una patrimoniale si configura ineluttabile, così come si delinea inevitabile una poderosa stretta sui meccanismi che favoriscono l’evasione fiscale e la produzione di redditi che sfuggono a qualunque meccanismo di rilevazione.
Le misure d’assumere non sono poi così complicate come da sempre ci ha fatto credere chi ha convissuto o ha strizzato l’occhio all’evasione. Un bonus fiscale a favore di quanti nella dichiarazione dei redditi presentassero un resoconto da servizi fruiti da professionisti (ingegneri, medici, avvocati, commercialisti, ecc.) costerebbe poco rispetto alla possibilità di raggiungere la redditività effettiva di categorie notoriamente avvezze a pianger miseria con la Porsche in garage.
Analogamente, attraverso i pubblici registri non dovrebbe essere difficile censire i proprietari di auto al di sopra di una certa cilindrata o di barche e verificare la congruenza dei redditi dichiarati, - ciò senza ledere il sacrosanto diritto di ciascuno di spendere i propri soldi nel modo che più gli aggrada. E meccanismi rigorosi di tal genere non risparmierebbero certamente i furbetti che spesso ricorrono a forme di noleggio per sfuggire ai controlli, dato che le società di leasing dovrebbero mettere a disposizione della Guardia di Finanza l’elenco delle persone che si avvalgono dei loro servizi e quest’ultimi giustificare i redditi che consentono l’utilizzo continuativo di mezzi milionari.
Gli esempi potrebbero continuare, ma non crediamo che il valente presidente del consiglio abbia bisogno del nostro supporto per attivare i metodi più adeguati per scovare il cancro dell’evasione.
Altro discorso è la lotta al privilegio, costituito dalle mille guarentigie che godono caste e particolari categorie sociali. Qui la selva è intricata, ma allo stesso tempo non proibitivo sfoltire. Occorre solo la buona volontà di varare leggi apposite che cancellino lo sconcio di trattamenti retributivi, pensionistici e di altra natura riservati a dipendenti di singole regioni o amministrazioni pubbliche, avocando allo stato centrale la potestà normativa su tali materie, comprese quelle che lasciano libertà di gonfiare a dismisura gli organici o di creare uffici ed enti inutili. L’istituzione di un’autorità centrale, che vigili con potere di inibizione sui conti degli enti periferici e sulla congruenza delle spese, potrebbe costituire un passo significativo verso un federalismo equilibrato del quale lo stato centrale continua a conservare una responsabilità rilevante, a garanzia dell’equilibrio del sistema e degli interessi dei cittadini, essendosi ad oggi dimostrata l’autonomia gestionale di certe regioni una libertà di spreco inammissibile a fini elettoralistici e clientelari.
Un discorso a parte merita la politica ed il suo costo, nei confronti dei quali sono necessari tempestivi interventi che cancellino gli assurdi privilegi che godono in termini di retribuzioni, diarie, rimborsi spese, benefit accessori, trattamenti pensionistici e normativi, il cui onere ricade sulla collettività. La politica deve ritornare ad essere una missione e non una professione con la quale arricchirsi o godere di privilegi borbonici. Tale principio deve valere anche per l’apparato burocratico della Camera e del Senato, i cui compiti lavorativi non sono certamente diversi da quelli disimpegnati da un qualunque dipendente pubblico: un commesso parlamentare non può percepire stipendi da dirigente d’impresa, in disprezzo dei diritti dei pari grado in forza in qualunque amministrazione pubblica.
C’è infine la questione del rilancio occupazionale, che deve essere affrontato sì con i necessari strumenti di flessibilità, ma con la cancellazione definitiva di un precariato perenne che non lascia alcuna speranza e che mortifica le prospettive di vita di migliaia di giovani. Le imprese non devono più fruire della libertà d’assunzione temporanea in modo indiscriminato e continuativo, ma devono garantire la stabilizzazione di coloro che abbiano già prestato la loro opera con contratti atipici almeno per due volte nella stessa mansione e in qualunque realtà produttiva. E le imprese che vengono meno a questo vincolo di legge debbono essere perseguite duramente, anche con aggravi contributivi commisurati alla forza lavoro impiegata, oltre che con l’obbligo immediato di regolarizzare le posizioni contrattuali irregolari.
Queste, ovviamente, non sono che alcune delle iniziative che potrebbero assumersi in via immediata per variare la rotta, ma sono anche le iniziative che potrebbero autorizzare interventi su pensioni o altri istituti già tartassati in passato e che hanno evidenziato sia la pochezza che la volontà persecutoria del governo passato. Non si capirebbe, d’altra parte, cosa s’intenda per equità e giustizia sociale quando l’attenzione alla distribuzione dei sacrifici e, allo stesso tempo, alla creazione di un quadro sociale di maggiore solidarietà, non passasse anche attraverso una diversa regolamentazione delle regole del gioco che non esenti nessuno dall’obbligo di fare la propria parte.
Un nuovo governo che voglia dare il senso della discontinuità e voglia rigenerare la fiducia del Paese non può esimersi, nell’ora del sacrificio generale, dal chiamare in causa chi sino ad ora ha alzato il dito e la voce contro gli effetti d’una crisi senza precedenti, ma nei fatti s’è crogiolato nel privilegio di chiamarsi esente o, peggio, s’è pure arricchito speculando sulle miserie altrui.
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