Quando la sconfitta è di tutti
Domenica, 26 febbraio 2012
Alla fine ha vinto lui, sebbene e a ben guardare in questa miserabile vicenda d’ordinaria arroganza del potere non ci siano vincitori, ma solo sconfitti.
Sconfitto il piccolo duce Silvio Berlusconi e sconfitta la magistratura, quella magistratura che ha declinato in extremis al proprio ruolo e alle proprie responsabilità e lo ha incredibilmente dichiarato non perseguibile per prescrizione del reato. Ma allora, si chiederà la gente comune, che senso ha avuto dibattere persino una ricusazione o riunire una camera di consiglio per sentenziare quando la prescrizione del reato era già intervenuta? Credono forse questi magistrati che sfugga a quella gente comune che ancora una volta una parte dei suoi ranghi abbia preferito recitare in questa farsa immonda, piuttosto che assumersi la responsabilità di dichiarare per tempo la propria incapacità di condannare o assolvere un potente?
Dall’altro lato le cose non vanno meglio. Può considerarsi senza macchia un uomo che ha usato ogni mezzo lecito e illecito, come la violenza più spregiudicata ad ogni regola istituzionale e democratica, per impedire alla giustizia di accertare la sua colpevolezza o la sua innocenza? Può arrogarsi il diritto di dichiararsi innocente, o spacciarsi per perseguitato, un individuo che per quasi vent’anni non ha fatto altro che intimidire e minacciare i magistrati per impedire loro di processarlo? Che rispetto meritano i legulei mercenari che hanno utilizzato ogni grottesco meccanismo, come la pretesa di sentire migliaia di testimoni inutili, fortunatamente respinta, per rallentare il corso di un processo nel quale le conclusioni dell’accusa erano state di «una colpevolezza che va oltre ogni logico sospetto»? E’ immaginabile che dietro ad un corrotto, riconosciuto tale con sentenza passata in giudicato, non ci sia un corruttore? E in fine, perché l’avvocato inglese David Mills è stato condannato per i reati imputati a Silvio Berlusconi, quantunque con pena cancellata per effetto della prescrizione, e per il corruttore non sia stato possibile arrivare neanche alla sentenza?
Sono domande alle quali non ci sarà mai una risposta, anche se, ammesso che ci fosse, francamente non sarebbe più rilevante. Ieri, in verità, nel nostro Paese s’è concluso un processo con modalità da far invidia a Cile o Argentina, a realtà nelle quali la corruzione, il disprezzo per la legalità, il vilipendio dei principi democratici, l’arroganza del potere e del denaro sono componenti del DNA di quelle compagini nazionali. Da oggi anche da noi deve essere chiaro che il pensionato che ruba un pezzo di formaggio in un supermercato, per sfamarsi, per sopravvivere, rischia qualche anno di galera, mentre chi condiziona la vita pubblica, chi compie misfatti innominabili, per il proprio arricchimento e dall’alto della propria pozione di potere, gode di una giustizia tutta sua, addomesticata, fatta di corsie preferenziali, che nella migliore delle ipotesi finge di perseguirlo, ma mai si permetterà di affibbiargli la punizione prevista per la cosiddetta gente comune.
D’altra parte, se così non fosse, il cittadino Silvio Berlusconi, anziché parlare di «giustizia a metà» o simulare sdegno per un proscioglimento che lascia intatte tutte le ombre sul suo operato e la sua colpevolezza, rinuncerebbe alla prescrizione e chiederebbe a gran voce di veder riaffermata la propria innocenza sino al grado definitivo di giudizio. Ma chiedere ad un uomo senza dignità di mostrare gli attributi e come pretendere amore da una prostituta.
In definitiva da questa vicenda esce mortificato lo stato, i suoi cittadini, che da oggi sono coscienti che sono governati da una banda criminale che li rende schiavi, miseri servi della gleba, che impone tasse, balzelli, gabelle, ad esclusiva garanzia del mantenimento della loro sfacciata vita da lenoni e senza che i sacrifici imposti possano mai condurre ad un miglioramento delle condizioni della loro esistenza, neanche sul piano dei diritti o dell’eguaglianza difronte alla legge.
In questo stato di cose non resta che fare i complimenti a Silvio, a quei magistrati che con esemplare equità gestiscono la giustizia, alla politica che condiziona la vita e poi si lagna della disaffezione della gente, ai cittadini di un Paese condannato senza speranza a sguazzare nel concime e che non vedono un futuro senza la schiavitù cui sono avvezzi.
(Nella foto, il pm Fabio De Pasquale, che ha sostenuto l'accusa nel processo per corruzione in atti giudiziari contro Silvio Berlusconi)
Sconfitto il piccolo duce Silvio Berlusconi e sconfitta la magistratura, quella magistratura che ha declinato in extremis al proprio ruolo e alle proprie responsabilità e lo ha incredibilmente dichiarato non perseguibile per prescrizione del reato. Ma allora, si chiederà la gente comune, che senso ha avuto dibattere persino una ricusazione o riunire una camera di consiglio per sentenziare quando la prescrizione del reato era già intervenuta? Credono forse questi magistrati che sfugga a quella gente comune che ancora una volta una parte dei suoi ranghi abbia preferito recitare in questa farsa immonda, piuttosto che assumersi la responsabilità di dichiarare per tempo la propria incapacità di condannare o assolvere un potente?
Dall’altro lato le cose non vanno meglio. Può considerarsi senza macchia un uomo che ha usato ogni mezzo lecito e illecito, come la violenza più spregiudicata ad ogni regola istituzionale e democratica, per impedire alla giustizia di accertare la sua colpevolezza o la sua innocenza? Può arrogarsi il diritto di dichiararsi innocente, o spacciarsi per perseguitato, un individuo che per quasi vent’anni non ha fatto altro che intimidire e minacciare i magistrati per impedire loro di processarlo? Che rispetto meritano i legulei mercenari che hanno utilizzato ogni grottesco meccanismo, come la pretesa di sentire migliaia di testimoni inutili, fortunatamente respinta, per rallentare il corso di un processo nel quale le conclusioni dell’accusa erano state di «una colpevolezza che va oltre ogni logico sospetto»? E’ immaginabile che dietro ad un corrotto, riconosciuto tale con sentenza passata in giudicato, non ci sia un corruttore? E in fine, perché l’avvocato inglese David Mills è stato condannato per i reati imputati a Silvio Berlusconi, quantunque con pena cancellata per effetto della prescrizione, e per il corruttore non sia stato possibile arrivare neanche alla sentenza?
Sono domande alle quali non ci sarà mai una risposta, anche se, ammesso che ci fosse, francamente non sarebbe più rilevante. Ieri, in verità, nel nostro Paese s’è concluso un processo con modalità da far invidia a Cile o Argentina, a realtà nelle quali la corruzione, il disprezzo per la legalità, il vilipendio dei principi democratici, l’arroganza del potere e del denaro sono componenti del DNA di quelle compagini nazionali. Da oggi anche da noi deve essere chiaro che il pensionato che ruba un pezzo di formaggio in un supermercato, per sfamarsi, per sopravvivere, rischia qualche anno di galera, mentre chi condiziona la vita pubblica, chi compie misfatti innominabili, per il proprio arricchimento e dall’alto della propria pozione di potere, gode di una giustizia tutta sua, addomesticata, fatta di corsie preferenziali, che nella migliore delle ipotesi finge di perseguirlo, ma mai si permetterà di affibbiargli la punizione prevista per la cosiddetta gente comune.
D’altra parte, se così non fosse, il cittadino Silvio Berlusconi, anziché parlare di «giustizia a metà» o simulare sdegno per un proscioglimento che lascia intatte tutte le ombre sul suo operato e la sua colpevolezza, rinuncerebbe alla prescrizione e chiederebbe a gran voce di veder riaffermata la propria innocenza sino al grado definitivo di giudizio. Ma chiedere ad un uomo senza dignità di mostrare gli attributi e come pretendere amore da una prostituta.
In definitiva da questa vicenda esce mortificato lo stato, i suoi cittadini, che da oggi sono coscienti che sono governati da una banda criminale che li rende schiavi, miseri servi della gleba, che impone tasse, balzelli, gabelle, ad esclusiva garanzia del mantenimento della loro sfacciata vita da lenoni e senza che i sacrifici imposti possano mai condurre ad un miglioramento delle condizioni della loro esistenza, neanche sul piano dei diritti o dell’eguaglianza difronte alla legge.
In questo stato di cose non resta che fare i complimenti a Silvio, a quei magistrati che con esemplare equità gestiscono la giustizia, alla politica che condiziona la vita e poi si lagna della disaffezione della gente, ai cittadini di un Paese condannato senza speranza a sguazzare nel concime e che non vedono un futuro senza la schiavitù cui sono avvezzi.
(Nella foto, il pm Fabio De Pasquale, che ha sostenuto l'accusa nel processo per corruzione in atti giudiziari contro Silvio Berlusconi)
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