sabato, luglio 07, 2012

La dieta del cuoco Monti



 
Sabato, 7 luglio 2012
Il minestrone è servito. Il presidente del consiglio Monti, negli inediti panni di un Vissani più che mai scatenato, ha riunito il suo cast di cuochi, cucinieri e lavapiatti e, nella notte del 5 luglio, artefice il dietologo Bondi, ha presentato la nuova ricetta dimagrante al Paese. Una ricetta a base di tagli, risparmi, contenimenti di spesa, riduzioni di stanziamenti e limatura di costi, il tutto condito da qualche testa di burocrate e le spoglie di tantissimi travet pubblici, ai quali s’è rinunciato a tagliare il ticket per la colazione forse per evitare che, l’eccessivo dimagrimento, togliesse sapore al brodo.
A chi ha fatto notare che il minestrone avrebbe potuto avere più corposità con l’aggiunta di qualche aereo militare dal costo non proprio marginale, non è stata data una risposta, lasciando dedurre che, preoccupati della pesantezza che avrebbe conferito il metallo di un caccia alla sbobba dietetica, s’è preferito non includere nel rancio la costosissima carcassa di qualche F35.
Questa in sintesi la mossa di Monti e i suoi boys come ulteriore ricetta per risanare i disastrati conti italiani e cercare di rimettere in carreggiata un Paese che, definire allo sbando, è puro eufemismo.
Non che a ben guardare i colpi di machete decisi dall’esecutivo non fossero necessari. La questione è che, quando gli ingredienti sono scarsi e la fame preme, il rischio di approntare sbobbe è molto alto e il gusto della pietanza vada a farsi benedire, sebbene il valore energetico possa risultare adeguato.
In altri termini, i provvedimenti di spending review preparati dal governo Monti, in qualche caso non sembrano così sopportabili come si pretenderebbe. In primo luogo perché alcuni di questi provvedimenti, come il taglio del 10% degli organici pubblici, ricorda le tristi manovre di Giulio Tremonti, ossessionato dalla linearità delle riduzioni di spesa, mentre è noto che le inefficienze e sovrannumeri non hanno rilevanza lineare: ci sono settori del pubblico impiego in cui le carenza di personale è endemica – vedi la giustizia – e ci sono settori in cui il clientelismo e la malversazione ha creato mostruosi aggregati umani parassitari, che finiscono per intralciare le vita normale dei cittadini per giustificare la loro esistenza – vedi regioni, comuni e provincie, dove gli organici sono spaventosamente ipertrofici, pesano per miliardi sulla spesa pubblica e molto spesso sono costituiscono tappi burocratici veri e propri nel rapporto tra cittadino e amministrazioni nel fruimento dei servizi. Su queste realtà non ci saranno tagli, poiché la competenza è costituzionalmente prevista a carico delle singole regioni e, dunque, bisognerà attendere che i vari governatori vengano folgorati sula via di Damasco perché decidano che i loro apparati siano ridimensionati.
Analogamente il discorso che riguarda le provincie, espanse numericamente senza alcun ritegno sino a poco tempo fa e, adesso, ritenuti enti del tutto inutili meritevoli di soppressione.
Cosa commentare poi sui tagli alle consulenze, alla centralizzazione degli acquisti, alla riduzione di affitti e delle forniture sanitarie? E’ scandaloso che decenni di sperperi siano trascorsi tra l’indifferenza dei governanti di turno ed oggi, con un colpo di bacchetta magica, qualcuno venga a raccontarci le spese per l’affitto dei palazzi del pubblico potere siano eccessivi o che siringhe e guanti sterili costino in Sicilia o Calabria il doppio di quel che si paghino in Piemonte o Liguria. Se ciò è vero allora è quantomeno è strano che non vengano assunti provvedimenti di legge nei confronti di quei politici che hanno sguazzato in quest’incredibile sperpero di pubblico denaro, attingendo con malafede o al massimo con censurabile insipienza alle tasche dei cittadini per gonfiare i proventi di società fornitrici o assicurarsi una vacanza gratuita da sogno ai Caraibi.
Ciò che sgomenta e indigna non è, dunque, la ricetta dietetica, quanto il fatto che a pagarne il prezzo siano ancora una volta i cittadini-sudditi, nella loro veste di lavoratori, pensionati e contribuenti, che devono rinunciare in nome di un rigore ritrovato a quote di reddito ulteriori per coprire i buchi dello scialacquamento precedente, o al posto di lavoro per consentire al bilancio dello stato di trovare una quadratura sostenibile.
Sorge ancora una volta spontanea la domanda sul perché, mentre c’è gente che dovrà andare a casa per soppressione del proprio posto di lavoro, nulla sia stato fatto per ridimensionare i principeschi assegni della manica di delinquenti che siede in parlamento. Perché – giusto per fare un piccolissimo esempio – ad un governatore inquisito per mafia e dimissionario, tal Raffaele Lombardo, si consenta in una regione che scoppia di parassiti la nomina di ulteriori dirigenti proprio in questi giorni. Non grida vendetta un tal comportamento proprio quando la gente comune è costretta quasi a saltare un pasto giornaliero per pagare coattivamente IMU, Irpef, addizionali regionali, addizionali comunali, accise varie ed altre orrende amenità per soddisfare la fame di denaro della pubblica struttura che l’opprime?
E’ una ben magra soddisfazione sapere che il signor Monti ha previsto un durissimo ridimensionamento delle nomine dei consigli d’amministrazione delle società pubbliche, che lasceranno a spasso tanti immondi trombati della politica: il prezzo più elevato sarà sempre a carico di chi lavora, che in questa frenesia risparmiosa vedrà magari sparire il proprio posto di lavoro sacrificato sull’altare del contenimento della spesa.
E’ quando questi processi si mettono in moto che acquisiscono maggior valore di verità le parole di un certo Karl Marx, ormai relegato alle cantine polverose dei ricordi e delle illusioni, che ammoniva che il proletariato dalla disfatta del capitalismo cinico e vorace, alla base di questa falsa democrazia in cui viviamo, non ha che da perdere le proprie catene in cui è costretto dalla tirannia di un potere infame, in cui non conta il merito e la capacità ma tutto è massa amorfa e premia la contiguità al malaffare, l’accondiscendenza clientelare e l’attitudine al servilismo ossequioso.
  

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