Quel che non ha capito Mario Monti
Lunedì, 24 dicembre
2012
Com’era nelle premesse, il
discorso di commiato di Mario Monti di ieri s’è trasformato in una
dichiarazione ufficiale di disponibilità politica a continuare una futura
esperienza di governo. Questa disponibilità, sebbene circoscritta da severe
condizioni, sia di natura tecnica – Monti è senatore a vita e, dunque, non potrà
candidarsi – che politica, – l’accettazione integrale della sua Agenda, vero e
proprio testamento programmatico, - è stata dichiarata in modo inequivoco, con
ciò sciogliendo la suspense che intorno
alla sua figura si era costruita nelle ultime settimane sugli intendimenti che
avrebbero accompagnato la conclusione del suo mandato di governo.
Il discorso di commiato è stato
dedicato all’illustrazione di ciò che il governo ha fatto negli oltre 400
giorni di esercizio e non sono mancate precise considerazioni sullo stato del
Paese all’esordio del suo incarico, o riferimenti all’operato di chi lo aveva
preceduto. In qualche passaggio, infatti, il suo commento è apparso anche
l’occasione per togliersi parecchi sassolini dalle scarpe e per rispondere in
maniera molto chiara alle lusinghe di un Berlusconi che, dopo averlo sfiduciato
per bocca di Angelino Alfano, avrebbe preteso di trovarselo al fianco quale leader
di una fantomatica coalizione dei moderati.
«Gratitudine ma anche sbigottimento» per Berlusconi, ha dichiarato
Mario Monti, sebbene «talora faccio
fatica a seguire la linearità del suo pensiero», ha aggiunto con franchezza. Non afferro la logica di
chi mi chiede un impegno al suo fianco dopo avermi sfiduciato il giorno
precedente, è stata la sintesi delle sue dichiarazioni all’invito di Silvio
Berlusconi.
Ma quantunque occorra riconoscere
al professor Monti l’eleganza e la serietà con la quale ha ripercorso l’operato
del suo esecutivo, nonché gli innegabili successi sul piano della politica
internazionale e sulla recuperata immagine dell’Italia nel contesto Europeo,
non si può non dissentire e criticarlo profondamente su alcuni aspetti che hanno
contrassegnato la sua lacunosa presenza a palazzo Chigi.
In tanti ricorderanno che il suo
governo s’era insediato dichiarando obiettivi ambiziosi, che nei fatti sono
stati disattesi o addirittura elusi. Risanamento, equità, lavoro e sviluppo
erano stati gli slogan dichiarati all’indomani del suo esordio ed oggi, a
consuntivo, se non può non prendere atto di quanto abbia realizzato sulla
strada del risanamento, non può sottacersi quanto fallimentare sia stata
l’azione del suo esecutivo sulla via dell’equità, delle politiche del lavoro e del
rilancio occupazionale e dello sviluppo. Questi obiettivi sono sostanzialmente
rimasti a livello delle dichiarazioni d’intento e, pertanto, ogni valutazione
sulla capacità di Monti di determinare una svolta innovativa su temi rilevanti
che affliggono la società italiana non può che restare sospesa.
Né è pensabile assumere ad
elemento a favore del suo successo la riforma delle pensioni partorita dal ministro Fornero, in una parola, pessima, o il
claudicante ridisegno delle regole del mercato del lavoro con tanto di tignosa
revisione dell’articolo 18 dello Statuto. Se un giudizio dovesse
essere espresso sulla base di queste iniziative le conclusioni non potrebbero
che essere che fortemente negative. Anzi, per usare le parole stesse del Professore,
lascia sbigottiti una riforma che allunga l’obbligatorietà del lavoro a palese
danno delle aspettative di chi cerca lavoro in un mercato divenuto occluso per
legge. Gli stessi provvedimenti di riforma del mercato del lavoro, che hanno
mitigato ma non precluso definitivamente il ricorso ad un precariato diffuso,
sono un ulteriore sintomo della politica fallimentare in tema di sviluppo
occupazionale. E a questo proposito sbaglia Monti quando, eccedendo in
improbabili sofismi linguistici, accusa Vendola di conservatorismo, solo perché reclama
il ripristino di regole di garanzia sul lavoro: non si può
strumentalmente confondere l’istanza di dar concretezza al dettame
costituzionale d’impiego per tutti con tesi involuzioniste, che restaurano
strumenti di flessibilità selvaggia senza tutela, strumenti che richiamano alla
mente metodi da albori dell’industrializzazione e del capitalismo, basati sullo
sfruttamento dello stato di bisogno.
Non può inoltre trascurarsi l’iniquità dei provvedimenti assunti in
questi ultime tredici mesi in materia di tassazione. Non è in discussione l’esigenza di individuare
fonti di approvvigionamento per fronteggiare i fabbisogni di bilancio dello
stato e l’acquisto di medicine adeguate per fronteggiare la crisi economica. Ma
è indubbio che la distribuzione dei sacrifici, al di là della pesantezza, si è concentrata sui contribuenti “sicuri”, cioè su coloro che per
la natura dei redditi percepiti non avrebbero potuto avere scampo
dall’incremento della pressione fiscale. Né crediamo sia necessario spiegare al
professor Monti il significato del termine equità, essendogli certamente noto
che per realizzarsi effettivamente avrebbe dovuto imporre un appesantimento degli
oneri a carico di chi ha indiscutibilmente una maggiore capacità contributiva
rispetto ai pensionati, ai lavoratori a reddito fisso ed alle altre categorie di
tartassati, sui quali è stato preferito concentrare il peso del drenaggio
fiscale.
Monti e la sua squadra, davanti a
questa débâcle d’equità sociale e le critiche che vengono loro mosse non hanno
alcun diritto né di risentirsi né, tantomeno, di ricorrere all’humor sprezzante
con il quale sono avvezzi eludere l’assunzione di circostanziate responsabilità. Anzi, questo comportamento svaluta senza appello ciò che di
buono in qualche misura è stato fatto da quel governo ed accentua il rigetto
dei cittadini comuni all'idea di un eventuale ritorno del Professore in cabina di
regia.
Certo, un indiscusso merito va
riconosciuto a Monti, - probabilmente più all’uomo che ai suoi discutibili
tecnicismi, - quello di aver scompaginato le posizioni di rendita dei partiti
tradizionali, mettendo con le sue dichiarazioni e la trasparenza delle verità
il Paese in condizione di poter giudicare la politica sui fatti più che sugli slogan elettoralistici. In particolare, dall’esperienza Monti esce con le ossa rotte il
centro-destra e la politica delle illusioni che ha prodotto nell’ultimo
ventennio, con la caduta definitiva di Silvio Berlusconi e dei suoi squallidi
galoppini trasformisti e affaristi. Gli stessi galoppini che già appestano le edicole e lanciano proclami mediatici in sintonia con la cultura del fango quale sono soliti. Ma nel bene o nel male, ciascuno ha le sue convinzioni e credere che sia possibile resuscitare i cadavere è pratica su cui già da secoli si sono esercitati tanti illusi necroferi, che l'evoluzione scientifica non ha certo cancellato.
D’altra parte pensare di
riaccreditarsi agli occhi del Paese puntando ancora una volta sulla suggestione, raccontando sogni ed incubi posticci nei quali Ingroia è ministro della giustizia, Di Pietro alla cultura,
Vendola alla famiglia e Fini alle fogne, solo per svillaneggiare gli avversari, denota solo la bassezza morale ed
etica di chi li narra, bassezza in cui l’Italia non è certamente più disposta farsi trascinare.
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