venerdì, gennaio 04, 2013

La democrazia secondo Monti



Venerdì, 4 gennaio 2013
“Tagliare le ali” e “silenziare gli estremismi”, questi gli illuminati suggerimenti dell’esimio professor Monti a destra e sinistra dello schieramento politico italiano, poiché c’è da presumere costituiscano i muri sui quali si blocca il possibile dialogo tra i neo-montiani e il progressismo riformista di sinistra ed il conservatorismo liberale di destra.
L’animo genuino di Monti sta affiorando in questi giorni che precedono la campagna elettorale nel paese e che vede le forze in campo cercare una propria collocazione nello scacchiere. Un animo che rivela una visione infetta da un autoritarismo strisciante in cui il dissenso, le tesi avanzate, la divergenza dal pensiero dominante costituiscono una sorta di tendenza sovversiva destabilizzante da reprimere in nome d’una normalizzazione apodittica. Così il sedicente liberale Monti, che non si perita affatto d’apparire per il presuntuoso di turno, per il protervo saccente detentore della verità assoluta, s’esprime nei confronti di coloro che nell’ambito dei movimenti politici che lo avversano osano alzare più veementemente critiche ai metodi del suo governo ed ai sanguinosi risultati conseguiti dalla sua politica oscurantistica e reazionaria.
Ce n’è per tutti. Per Fassina, consulente economico di Pierluigi Bersani, rappresentato come una specie di omerico Tersite, intento ad ammannire al segretario del suo partito consigli fraudolenti in materia di programmi per gestire la crisi e per rigenerare quelle politiche sociali sostanzialmente distrutte dalla squadra dei guastatori che Monti s’è portato al governo. Non si parli poi di Vendola, tacciato di conservatorismo ottuso sol perché accusa il governo del Professore di aver praticato squallida macelleria sociale in nome di un risanamento attuato con metodi ciechi e palesemente iniqui. Rivendicare in questo quadro di distruzione del lavoro, delle regole del welfare, del rispetto dei principi della capacità contributiva differenziata, un ritorno a metodi di governo più sensibili all’equità ed alla centralità del valore lavoro consente a Monti di affibbiare a Vendola la qualifica di ala estremista del conservatorismo, che dovrebbe essere tarpata per sdoganare la credibilità dell’intera sinistra politica italiana.
Ad un’analisi attenta non solo politica ma anche lessicale e pur ammettendo l’evidente evoluzione semantica di certa terminologia, ci pare che le argomentazioni di Monti rasentino la demenzialità, una demenzialità che, ancorché opportunistica, scaturisce immediata dalla evidente valutazione di ciò che nei fatti, e non nelle contraddittorie rivendicazioni, è sotto gli occhi del mondo.
Il professor Monti, maestro di contraddizioni eclatanti, s’è mosso con un’ambiguità esemplare, seconda solamente a quella che contraddistingue il suo predecessore Silvio Berlusconi. Ha dichiarato, strombazzandolo a quattro venti, che la sua esperienza di capo di governo, di accademico prestato alla politica, sarebbe durata sino alla scadenza naturale del suo mandato, dopodiché il suo futuro, quantunque nominato senatore a vita, sarebbe stato nuovamente nelle aule dell’università dalla quale proviene. Colto dal raptus che infetta chi s’accosta alla politica ed assapora il potere, nello scorcio di pochi giorni dal suo prematuro licenziamento per bocca di Angelino Alfano in nome e conto del PdL di Silvio Berlusconi, ha invertito la rotta e colto da delirio d’onnipotenza  ha proclamato la sua “salita” in politica con una carta d’intenti denominata “agenda” cui i suoi fan devono giurare fedeltà e identità d’obiettivi.
Non che ci sia da recriminare sul fatto che il signor Monti abbia cambiato idea sul suo futuro ed abbia deciso folgorato sulla via di Roma di fare un falò della libreria accademica e darsi alla politica attiva, – l’incoerenza è ormai un “valore” consolidato in questa società sconquassata del terzo millennio, - ma atteggiarsi a profeta dalle visioni indiscutibili per la salvezza del paese, francamente, ci pare superi il limite della decenza oltre che dell’immodestia. Ciò in considerazione anche del fatto che il prode Professore, probabilmente eccessivamente avvezzo a gestire rapporti con le scolaresche più che con interlocutori indipendenti e meritevoli di rispetto e considerazione, ostenta una concezione della democrazia abbastanza singolare, in cui le voci dissonanti, come quella di Landini e del suo sindacato, costituiscono stonature insopportabili da tacitare piuttosto che la ricchezza su cui si fonda la dialettica e il progresso delle idee.
Infine, dalle sue esternazioni, costantemente infarcite di quel sottile humor anglosassone che hanno consentito di riconoscergli un’eleganza senza pari nel controbattere le idee degli avversari, emerge un risvolto inedito di pochezza e volgarità, quando rivolgendosi ad un Brunetta, accusato di settarismo lobbistico per le presunte resistenze da lui esercitate contro i processi di liberalizzazione varati dall’esecutivo, se ne stigmatizza la statura accademica con la quale, a giudizio del Professore, ha condotto una propaganda di resistenza e controinformazione.
Le stime elettorali, già avviate dalle varie agenzie demoscopiche, danno al momento a Monti e i suoi seguaci un modesto 12% di consensi, che appare ben poca cosa per sperare di riproporsi come capo di un esecutivo legittimato a guidare l’Italia. Ed è ancora ben poca cosa se si considera che quella percentuale è realizzata da un 8% circa di voti comunque attribuiti al carrozzone UDC-API-Fli, nel quale sono confluiti i movimenti di Montezemolo e delle lobby finanziarie dei tanti banchieri beneficiati dalle politiche smodatamente munifiche del governo Monti. Ciò ridimensiona le sue attese e offre al Professore un’occasione di meditazione rilevante sulla stima che gli riservano gli Italiani, che, se gli riconoscono la capacità di aver ridato al paese quella dignità internazionale che sembrava irrimediabilmente compromessa con le scellerate sortite di Berlusconi e soci, sono sicuramente stanchi di sottoporsi a nuove ed inique vessazioni in un corollario in cui lavoro, sviluppo, giustizia sociale e democraticità sono sempre più avviati con la sua presenza a mesti enunciati da desueto dizionario.

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