mercoledì, febbraio 20, 2013

La7 in vendita: a chi giova l’acquisto?



Mercoledì, 20 febbraio 2013
Mai esprimere giudizi prima di acquisire una piena conoscenza dei fatti. Questa è una regola d’oro persino etica prima che logica, ma che non esclude comunque che su quei fatti si possano sviluppare sospetti meritevoli di approfondimento.
Questo è l’approccio con cui va guardata l’operazione di vendita de La7 dalla Telecom alla Cairo Editore, da oggi in fase di trattativa intensa dopo l’esclusione dell’offerta del Fondo  Clessidra del finanziere Claudio Sposito e  la tardiva richiesta dell’imprenditore Diego Della Valle di partecipare alla gara di aggiudicazione.
«A pensar male degli altri si fa peccato, ma ci s’azzecca» avvertì parecchi anni or sono Giulio Andreotti, acuto uomo di mondo oltre che lungimirante politico, che con quella massima intendeva più semplicemente raccomandare di non fermarsi mai alle apparenze, alla superfice delle cose, ma di guardare più lontano per non farsi mai trovare impreparato da eventuali  sorprese. Infatti, nella trattativa in corso tra la Telecom e la Cairo Editore sarebbe ingenuo fermarsi alla pura fotografia dei fatti, non fosse perché dietro la Casa editrice di Torino c’è quell’Urbano Cairo che per parecchi anni è stato dipendente del Gruppo Fininvest, prima come assistente di Silvio Berlusconi, poi come direttore commerciale e vice direttore generale di Publitalia ’80 e infine come amministratore delegato dell’Arnoldo Mondadori Editore Pubblicità. Se questi precedenti in sé potranno anche essere considerati irrilevanti, nessuno può con certezza escludere che le perplessità che si generano dalla presenza di questo personaggio nella trattativa per l’acquisizione de La7 siano prive di fondamento. Non va altresì dimenticato, - nonostante i biografi di Urbano Cairo tacciano i particolari, - che l’uomo fu indagato tra il ‘94 ed il ’95 per una faccenda di false fatturazioni a Publitalia ’80 emesse dalla Publivis s.a.s., società di cui era amministratore unico la signora Maria Giulia Castelli, madre del neo tycoon, che avrebbero dovuto coprire il pagamento delle provvigioni per l’attività di vendita della pubblicità previste dal contratto di dipendenza con la stessa Publitalia ’80. Tali fatti furono accertati dalla GdF nel corso delle indagini svolte al tempo anche su un’accusa di appropriazione indebita mossagli nel ruolo di AD di Mondadori Pubblicità, tant’è che Cairo avanzò una richiesta di patteggiamento  respinta poi dai magistrati.
Il profilo che emerge, dunque, è quello di un uomo con qualche compromissione di troppo con Berlusconi, Dell’Utri e soci, che indubbiamente impone lascia qualche attenzione sulla trasparenza della trattativa avviata. Peraltro, l’inconsueta velocità con la quale la Telecom sembrerebbe intenzionata a chiudere l’affare in quest’ultimo scorcio preelettorale autorizza ad amplificare la richiesta di estrema chiarezza sull’intera vicenda, rimuovendo le zone d’ombra nelle quali potrebbero muoversi personaggi non meglio identificati coinvolti nell’operazione.
Abbiamo visto nei giorni passati che la crisi del mercato pubblicitario sta attanagliando i maggiori gruppi editoriali del Paese, e le vicende della RCS ne sono una prova inconfutabile. In questa situazione, in cui anche la televisione sta subendo una contrazione dei ricavi a causa della riduzione degli investimenti degli inserzionisti, quantunque la televisione ne abbia risentito in modo minore, l’ingresso nel mercato del piccolo schermo rappresenta comunque una sfida per chiunque. Certamente Telecom non avrebbe mai alienato un asset come La7  se il ritorno dell’investimento fosse stato positivo, e non va trascurato che la rete in questione, nata nel 2001 sulle ceneri di Tele Montecarlo, nonostante gli sforzi non ha mai raggiunto gli obiettivi che si era prefissata: uno share almeno del 5% che la ponesse in posizione di significativa alternativa al duopolio Rai-Mediaset. Ciò è stato dovuto in una prima fase al taglio eccessivamente generalista e giovane conferito al palinsesto dell’emittente, in concorrenza con il canale Italia1 di Mediaset, senza però il supporto di investimenti adeguati. La svolta in canale d’informazione e approfondimento, avvenuta a partire dal 2002 con l’ingresso di Marco tronchetti Provera al vertice della proprietaria Telecom, non ha mai impresso la spinta adeguata per il decollo, nonostante i nomi importanti del giornalismo e dello spettacolo reclutati. Voci di corridoio mormorarono al tempo che il basso profilo de La7 fosse una sorta di gioco delle parti tra Tronchetti Provera e Berlusconi, legati da non meglio dimostrati rapporti d’interesse affinché l’emittente mantenesse una posizione di retroguardia.
L’avvicendamento di Bernabè a Tronchetti Provera al vertice di Telecom, non porterà sostanziali risultati all’emittente, per quanto nel corso del tempo siano stati fatti grandi sforzi per renderla maggiormente competitiva con il reclutamento di  Enrico Mentana, Maurizio Crozza, Luisella Costamagna, Luca Telese e tanti altri in affiancamento a personaggi storici come Gad Lerner e Antonello Piroso. Lo stesso inserimento del trio Santoro-Travaglio-Vauro, con il loro Servizio Pubblico, nel palinsesto  dell’emittente non ha apportato sostanziali benefici all’audience de La7, che nel quadriennio 2009/2012 è passata dal 3,18% al 3,68% di share, confermandosi così network di nicchia ben lungi da quell’ambito 5% fissato ancora un decennio prima. Il successo di Servizio Pubblico, trasmissione acquisita nell’ultima stagione sulla rete, d’altra parte, non è stato sufficiente a determinare un’inversione di rotta neanche al conto economico che, stando ai bilanci, registra perdite per oltre 110 milioni all’anno.
C’è da augurarsi che Cairo sia effettivamente in grado d’imprimere il colpo d’ala ad una televisione che effettivamente sembra possedere tutte le potenzialità per abbandonare la soglia di share cui sembra ancorata per giocare tangibilmente quel ruolo di terzo polo sperato e mai conquistato. Tuttavia sull’operazione incombe il sospetto. Il sospetto che questo passaggio di proprietà possa finire in qualche modo per avvantaggiare Silvio Berlusconi e le sue reti, grazie agli antichi intrecci che intercorrono tra il potente Cavaliere ed il suo ex collaboratore, peraltro con l’eventuale obiettivo di indebolire le reti del servizio pubblico, che già soffrono strutturalmente di un’afasia cronica a causa delle limitazioni alla raccolta pubblicitaria e dell’ingombrate condizionamento della politica.
E la politica non ha mancato di far sentire la sua voce. «Siccome siamo in una settimana cruciale – ha dichiarato in proposito ieri Pierluigi Bersani - tendo a ragionare come se fossi già al governo e devo preoccuparmi che le decisioni siano prese in assenza di conflitti di interessi e senza costruire posizioni dominanti. C'è un tavolo delle regole e un tavolo industriale. Non so se Cairo è collegato a Mediaset. Ci sono delle autorità che si occupano di queste cose, ma chi governa è amico di tutti e parente di nessuno. Una rilettura dell'Antitrust è necessaria».
Pronta la risposta del Cavaliere, che ha ribattuto: «Su La7 Bersani ha fatto un avvertimento mafioso. Ha detto: aspettate a vendere perché se saremo al governo interverremo a fare non so cosa a Mediaset per cui La7 varrà di più. È una situazione da denunciare».  
«A Berlusconi le regole danno l' orticaria» è stata la controreplica di Bersani, che confermando i diffusi sospetti che dietro l’operazione possano esserci convergenze di interessi ha lasciato intendere che non sarà certo la situazione di vuoto di potere dovuta alla campagna elettorale che farà passare in secondo piano l’attenzione per  il riassetto delle proprietà nel settore dell’informazione e nel mercato della pubblicità.

3 Commenti:

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