Il conformismo neo-borghese della sinistra italiana
Fine o trasformazione della
classe operaia? - La lenta e inesorabile deriva del PD verso un inedito
conformismo neo-borghese - Le scelte del governo Letta, che lasciano intatti i
privilegi dei più abbienti e scaricano
il costo della crisi sulle classi deboli - Provvedimenti per il rilancio
dell'economia ridicoli e sintomo della mancanza di coraggio
Lunedì, 21 ottobre 2013
Che il PD da lungo tempo abbia
effettuato una svolta a 180 gradi è cosa più che risaputa. Gli stessi
cambiamenti nel nome del partito, PDS, Quercia, DS ed oggi PD, sono le spie del
profondo cambiamento ideologico e, allo stesso tempo, le pietre miliari del
percorso di avvicinamento verso il cosiddetto centro dello schieramento
politico italiano.
Tali mutamenti progressivi,
segnati in maniera determinante dal crollo della Balena Bianca e l'ingresso
nell'ex partito dei lavoratori dell'ala sinistra della vecchia Democrazia
Cristiana - quella della Bindi, di Letta, di Franceschini, Fioroni, per
intenderci, - ha definitivamente ridotto all'angolo la vecchia base del PCI di
Berlinguer e si è progressivamente insediata alla guida del movimento operaio, snaturandone la
missione e la prassi politica.
Il PD odierno è a tutti gli
effetti un partito di governo, autodefinitosi democratico, ma al suo interno
non vi è più alcuno spazio né sensibilità per le battaglie di affrancamento
delle condizioni di vita di ciò che resta della classe operaia. Un po' perché
la classe operaia, così com'è tradizionalmente intesa, ha subito a sua volta un
processo di trasformazione profondo, - non si tratta d'estinzione, come
vorrebbe un certo approccio negazionista della realtà storica, - legato ai
cambiamenti intervenuti nei metodi di produzione, oggi altamente automatizzati,
supportati da tecnologie informatiche complesse, che hanno fortemente la
manualità ed hanno imposto un aumento notevole della scolarizzazione e della
specializzazione delle maestranze. Per banalizzare si potrebbe dire che il processo di trasformazione è stato solo eufemistico: si
parla di tecnici e di specialisti come se si trattasse di risorse umane
impiegate in attività differenti da quelle del passato e in condizioni d'alienazione diverse, così come si parla di
colf e non più di cameriere, fingendo d'ignorare che gli uni operano su fasi parcellizzate di produzione, sì con l'ausilio di computer o di meccanismi
da questi governati, ma sempre in un ciclo di realizzazione complessa di cui non hanno governo complessivo; le
seconde nei fatti non continuino che ad adempiere all'esecuzione di
servizi domestici, sebbene con l'ausilio di avveniristici aspirapolvere o
pulitrici automatiche, ripetitivi ed umili, la cui definizione si rivela solo un orpello lessicale. Nella pratica colui che continua
contribuisce alla realizzazione di un opera materialea restare operaio, qualunque sia
l'etichetta attribuitagli per meri scopi di virtuale evoluzione sociale. La
stessa distinzione tra salariato e stipendiato, che serviva a delimitare la
linea di demarcazione tra il lavoro operaio e quello impiegatizio è venuta meno
e, dunque, la ricerca dell'identità sulla base di questo parametro classico è assai ardua, a meno che
non s'indaghi in quei settori produttivi - edilizia, servizi di supporto al
terziario, ecc. - in cui i processi di automazione hanno inciso scarsamente o
per nulla e la manualità pura è ancora l'elemento preponderante.
Travolto dall'illusione di una
classe operaia in estinzione e pressato dall'esigenza di offrire un'immagine di
partito rappresentativo anche degli interessi dei nuovi ceti emergenti, il PD
ha definitivamente smarrito la sua vera identità, divenendo movimento
riformista teso ad occupare nella sinistra italiana lo spazio vuoto lasciato
dal collassamento del PSI. Anzi i movimenti dei fuorusciti formatisi alla sua
sinistra, PDCI, Rifondazione Comunista, SEL, che hanno tentato di raccogliere
la dismessa ideologia rivoluzionaria della difesa degli interesse di classe,
sono stati oggetto costante di operazioni di ghettizzazione politica ed
accusati di fanatismo antistorico. Sovente questa sinistra ortodossa e
certamente nostalgica, fortemente contrapposta alla svolta neo-borghese del
Lingotto subita dal PCI, ha rappresentato per il PD il ticket d'accredito per pretendere di sedere nel consesso delle forze politiche progressiste illuminate,
avendo rotto definitivamente con un passato all'insegna dell'egualitarismo e
dell'anticapitalismo rivoluzionari.
Oggi, dopo la drammatica
esperienza Monti, in cui PD e PdL, apparentemente avversari storici, hanno di
fatto collaborato nell'assunzione delle scelte per fronteggiare la crisi
economica, l'accredito del PD è divenuto più forte. Sotto la spinta dell'emergenza ed i patrocinio di una Presidenza della Repubblica interventista, i due blocchi sono nuovamente insieme al governo del Paese, confermando come le distanze tra i nuclei
decisivi all'interno dei due schieramenti non siano così lontane di quanto non
fossero ai tempi delle coalizioni di centro-sinistra DC-PSI. Per portare a compimento questa inedita oprazione il PD,
rappresentato da Enrico Letta, si è costretto a snaturare definitivamente i residui di quel movimento fondato sulla
rappresentanza degli interessi delle categorie deboli della società, pronto
com'è stato a cogliere le richieste delle lobby storiche di potere e le
sollecitazioni dei santuari finanziari, quantunque nel dichiarato interesse di
una stabilità imposta dagli equilibri internazionali. I provvedimenti a favore
dell'occupazione, del sostegno dei redditi, della redistribuzione più equa
della ricchezza, della casa, dell'ammodernamento del sistema infrastrutturale e
quanto potrebbe rappresentare un flebile trampolino su cui impostare ipotesi di
ripresa con un imprinting di sinistra s'è palesato del tutto assente nei provvedimenti assunti nella recente
legge di stabilità. E ai critici sono state accampate scuse improbabili, quali il
rispetto dei vincoli di bilancio e la scarsità delle risorse da mettere in gioco.
Queste giustificazioni, che la
stessa Confindustria ha tacciato quali sintomo della mancanza di coraggio, sono
purtroppo senza fondamento, rispondendo più al pressing di chi ha puntato a perpetuare nel nostro Paese una sorta di
mercato coloniale di sbocco per la propria industria che all'insussistenza di
meccanismi attraverso i quali reperire le risorse, incidendo sulle rendite
finanziarie o con operazioni di taglio drastico delle spese improduttive inscritte nel
bilancio dello stato. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha molto
garbatamente fatto rilevare che uno stato con una previsione di spesa di oltre
800 miliardi di euro annui è impossibile che non sia in grado di effettuare
tagli del 2-3% al budget da destinare agli investimenti, così come è prassi in
qualunque impresa produttiva, e se il segno del rilancio dell'economia e dei
consumi dovesse assumersi sulla base della ridicola somma di 7 euro mensili
nette in busta paga, concesse con manovre di limatura dei contributi a
carico dei dipendenti, allora vuol dire che la politica è affetta da una sorta di sindrome del piccolo cabotaggio, che non lascia intravvedere la capacità d'assumere iniziative incisive e coraggiose. Peraltro, gli
incrementi determinatesi con la variazione di un punto dell'IVA e
l'introduzione dei nuovi meccanismi di tassazione dei servizi comunali e a
carico della casa avrebbero già eroso l'incidenza di questa sorta di "mancia" concessa dall'esecutivo al mondo del lavoro.
Questo è il quadro in cui si
muove il PD, ormai relitto dell'ideologia di difesa degli interessi di classe
ed emblema di politiche neo-borghesi miranti a gestire, dietro la maschera di
un'equità ridotta a slogan demagogico, un sistema complesso nel quale la
redistribuzione della ricchezza e l'allargamento delle opportunità è oggi molto
più utopico di quanto non fosse in passato.
In base alla presa d'atto di
un decadimento inarrestabile di cui questa sedicente sinistra è infetta oggi è
più che mai necessario che ciascuno riconsideri il proprio posizionamento e, al
momento opportuno, faccia scelte ponderate tese a contrastare l'inarrestabile deriva
conformista che sembra aver coinvolto quel che è stato il più significativo
movimento operaio dell'occidente moderno. D'altra parte il travaglio interno in atto nel PD, rappresentato dal confronto tra i vari Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella, ha come obiettivo la normalizzazione e il rafforzamento dell'immagine del partito quale attore di governo, non certo di recuperarne l'anima rivoluzionaria.
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