Il default di Berlusconi
Sembra essersi chiuso nell'aula
del Senato il ventennio berlusconiano - Ieri l'ultima trovata: una fiducia al
governo Letta dopo settimane di minacce e il ritiro dei ministri PdL
dall'esecutivo - Il PdL e il prestigio di Berlusconi frantumati sul muro del
dissenso e della scissione - Fortune politiche e immagine definitivamente
compromesse anche grazie all'opera dei cattivi consiglieri
Giovedì, 3 ottobre 2013
Non siamo ancora all'ultima
puntata del feuilleton berlusconiano, ma è indubbio che l'epilogo è già stato
scritto. Se ne avuto sentore nello show down di ieri al Senato, quando Silvio
Berlusconi, spiazzando falchi, colombe, kamikaze e fedain ha preso la parola e,
a conclusione di un breve discorso, ha dichiarato la volontà sua e del gruppo
di FI/PdL di rilasciare un voto di fiducia al governo Letta.
Un discorso, quello di
Berlusconi, che ha spiazzato tutti, sia quelli che avevano già fatto
frettolosamente le valigie e traslocare in altro raggruppamento, sia coloro che
già pregustavano l'onda di tsunami che si sarebbe abbattuta sul Paese con la
crisi di governo. Persino Letta è rimasto sorpreso, al punto da non potersi
trattenere dal mormorare con un sorriso che spontaneamente gli veniva dal cuore:
«E' un grande!».
Poi, fatta la sua incredibile
dichiarazione, l'uomo, una volta tanto probabilmente dismessi i pani dell'attore consumato, s'è accasciato sul suo scranno, il viso tirato
all'inverosimile, l'emozione evidente e il labbro tremolante, come se le parole
che aveva appena pronunciato fossero state la liberazione da un travaglio
immane che aveva covato dentro per chissà quanto tempo. Poi s'è portato le mani
al volto, quasi a voler nascondere le lacrime che gli erano venute su per
l'indicibile emozione che l'aveva avvinto. Una scena, purtroppo per lui, di tardivo pentimento, che anche tra i banchi riservati al pubblico e alla stampa è sembrata una ridicola tragicommedia d'appendice.
La senatrice Bernini, seduta
davanti a lui, non ha potuto fare a meno di toccargli il braccio, forse per
sincerarsi che quell'uomo fosse veramente lui, Silvio Berlusconi, più che per
comunicargli conforto e condivisione per le cose che aveva detto. Sì, perché in
tanti hanno avuto ieri il dubbio che colui che aveva parlato e dichiarato senza
condizioni il suo sostegno a Letta fosse effettivamente Silvio in carne e ossa
e non un clone del belligerante e indomito ex Cavaliere, che aveva
preannunciato sfracelli sino a qualche minuto prima del suo sbalorditivo
intervento.
Sebbene Silvio Berlusconi ci
abbia reso avvezzi nel suo ingombrante ventennio di permanenza nelle
istituzioni del Paese e nella ribalta della vita pubblica ad una continua
sfornata di conigli dal cilindro, il coup de théâtre che ha riservato agli
Italiani all'ora di pranzo di ieri lascia del tutto esterrefatti, non fosse per
le mille implicazioni che si celavano dietro le sciagurate scelte che aveva
preannunciato, sino a determinare una frattura vistosa all'interno del suo
partito, e la posta messa in gioco sul tavolo. Le sue improvvide decisioni non
erano state il frutto di un bluff teso a smascherare la fragilità dei nervi
dell'avversario, ma il risultato di un minuzioso e perverso calcolo che avrebbe
dovuto condurlo in uno stato di imperseguibilità, grazie al crollo dell'impalcatura
istituzionale.
In altri termini la caduta del governo Letta non avrebbe che
prodotto le condizioni per vanificare le conseguenze della sua decadenza,
poiché, in caso di elezioni anticipate e in assenza di un pronunciamento
definitivo sulla pena accessoria dell'interdizioni dai pubblici uffici da
adesso alla tenuta di nuove elezioni, certamente, avrebbe gli avrebbe offerto l'opportunità di
ricandidarsi, farsi rieleggere e rimandare ad altro scenario il dibattito sulla
legittimità della sua presenza in parlamento.
La mossa era straordinaria,
costituiva un vero scacco matto con un movimento a sorpresa del cavallo, e per
queste ragioni meritava che sul tavolo fosse scommessa una posta altissima,
fatta persino della credibilità personale di continuare ad impersonare il
leader indiscusso della destra nazionale. I conti, tuttavia, il buon Silvio se
li era fatti senza l'oste. Non aveva messo in conto che aveva lanciato la sfida
ad un avversario che, a sua volta, rischiava di perdere definitivamente il
consenso del proprio elettorato qualora avesse assecondato l'allestimento di un
corridoio di salvezza per un personaggio ormai giunto al capolinea. Dunque,
anche la minaccia di un voto per il crollo del sistema è divenuta un pauroso
boomerang che gli si è schiantato sulla fronte, tramortendolo e amplificando
gli effetti della sua capitolazione.
Oggi Silvio Berlusconi è uno
sconfitto, un perdente senza più risorse di uomini, pronti a lasciarlo al suo
destino, ma, quel che più impressiona, persino d'idee su come venir fuori dal
cul de sac nel quale s'è tuffato senza sollecitazioni o spinte malandrine. E di
questo stato di cose non può che ringraziare i maldestri consiglieri cui s'è
circondato, da Verdini a Santanché, da Brunetta a Schifani, da Sallusti a
Ferrara, gente che è riuscita a far parlare di sé più per le nefandezze servili ordite
che non per la brillantezza delle strategie. Conoscendo il soggetto, c'è da
aspettarsi un operazione di pulizia che
gli consenta di scalare nuovamente la visibilità e di riaccreditare l'immagine
anche agli occhi delle interfacce internazionali con le quali ha comunque
gestito i suoi business. Di certo non accetterà mai di consegnarsi
definitivamente alla storia come un fallito temerario, incapace di dribblare
gli scogli che ha incocciato sul suo lungo e periglioso cammino. Sa anche bene
che, qualora non fosse in grado di superare gli ostacoli, avrebbe sprecato un
ventennio della propria vita e che questo significherebbe riportare indietro
l'orologio e compromettere il destino delle sue aziende, motivo vero cui si deve la
sua discesa in campo.
Certo, quel che stiamo vedendo in
queste ore è un Berlusconi in una veste inedita, afflitto, bastonato, con il
capo chino e in apparenza senza via d'uscita. Ma l'esperienza insegna di
diffidare dal sonno apparente del caimano, pronto a sferrare un poderoso colpo
di coda quando meno te l'aspetti e anche quando sembra sfiancato dalla lotta.
"La procellosa e trepida gioia d'un gran disegno [....] serve,
pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch'era follia sperar" scriveva
il Manzoni in un ode al grande Napoleone Bonaparte: l'accostamento potrà
sembrare temerario, ma i colpi di fantasia e l'ardita speranza non difettano di
sicuro all'uomo di Arcore.
1 Commenti:
anche Napoleone dovette rassegnarsi a uscire di scena...non sappiamo se con mister B. siamo all'Elba o a Sant'Elena...comunque sia, anche per lui, tutto non sarà più come prima!
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