lunedì, ottobre 07, 2013

Le vergogne della legge Fini - Bossi



Nuova ecatombe di migranti sulle coste di Lampedusa - Almeno 350 morti tra i disperati in cerca della terra promessa - I soliti valzer di solidarietà e ipocrisia, mentre una legge assurda continua a criminalizzare chi presta aiuto in mare in questi casi - La latitanza dell'Europa non può costituire un alibi per una normativa palesemente razzista


Lunedì, 7 ottobre 2013
C'è chi dice che siano 400, chi 350 e chi, riferendo un conteggio di qualche sfortunato a bordo dell'imbarcazione della morte, precisa che siano 368 i morti complessivi del disastro umanitario di Lampedusa.
A prescindere dal cinico risultato matematico che la tragedia evidenzia, nulla allevia il senso crudele ed efferato che scaturisce dal bilancio di una disperata operazione di migrazione che ha visto protagonista l'ennesima carretta del mare stipata di anime in fuga dalla miseria e dalla violenza, affondata con centinaia di corpi intrappolati nel suo ventre a poche decine di metri dalle sponde dell'avamposto dell'Europa nel Mediterraneo.
Non si è trattato dell'affondamento di un mercantile con a bordo merce di contrabbando o materiale inquinante, ma del naufragio di una battello stracolmo di disperati,  disposti a qualunque rischio con il miraggio di una libertà il cui valore per parecchi di noi è incomprensibile, non avendo la più pallida idea di cosa significhi vivere in aree del mondo dove il rispetto per i diritti più elementari per gli esseri umani è sconosciuto o inapplicato da sempre.
Certo, davanti a le immani tragedie rappresentate da numeri così mostruosi non si può restare indifferenti, ma è fortissimo il sospetto che siano quei numeri a motivare le prese di posizione,  -come se il fenomeno non fosse piuttosto divenuto già da molti anni un appuntamento periodico del tutto prevedibile e che non è obbligatorio risolvere in qualche modo e in via definitiva solo in conseguenza del numero dei morti che sistematicamente genera.
Piuttosto, dato che il problema è orami annoso e nulla è stato fatto ogni qual volta si sono spenti i riflettori sull'ultima carneficina, il sospetto è che quei morti numerosi servano ad allestire il palcoscenico delle ipocrisie, sul quale poter recitare un cordoglio di maniera, il coro delle lamentele per l'assenza di sensibilità internazionale, la carenza di incisive misure di prevenzione, la denuncia della dovuta solidarietà dettata dalla legge del mare ed i bla-bla mistificatori di una politica incapace persino della vergogna e della umana pietà.
Sì, perché è in queste circostanze che la recitazione dei mea culpa appare drammaticamente senza senso, essendo noi Italiani tra coloro che hanno inventato una legge che persegue sia i cosiddetti clandestini che coloro che prestano soccorso a quei disperati in difficoltà, quando le bagnarole su cui sono imbarcati, in fuga dalle loro terre, vengono incrociate da pescherecci o mercantili durante la normale navigazione. E' il frutto avvelenato della Bossi-Fini, quella scandalosa legge voluta dell'area più cinica e disumana del nostro parlamento, che ha preteso così di combattere il fenomeno dell'immigrazione dai Paesi in cui non c'è solo fame e miseria, ma anche guerra, spesso senza senso, e violenza gratuita e dove il rispetto per l'infanzia, le donne e la specie umana è un valore sconosciuto.
Tunisia, Marocco, Libia, Egitto, Siria, Afghanistan, Somalia, Eritrea, Sudan, Mali, Nigeria, Senegal - ma l'elenco potrebbe essere ben più lungo - sono i paesi nei quali per ragioni diverse, ma con risultati convergenti, i diritti umani sono molto spesso calpestati, dove la schiavitù femminile è ancora un dato di fatto, dove lo stupro e l'incesto o le mutilazioni sessuali ai danni delle donne  costituiscono metodo sistematico di  affermazione di supremazia maschile o il primo mezzo di ritorsione negli scontri tribali. La fame, la sete, le carenze igieniche, la scarsità di medicine per curare malattie scomparse nella nostra civiltà occidentale, sono i moventi per i quali si innescano flussi migratori massicci, che generano scontri inimmaginabili tra invasori e invasi; quest'ultimi che cercano con ogni mezzo di difendere miserie già insufficienti a garantire la loro sopravvivenza. Tutto ciò non fa che generare eserciti di disperati alla ricerca di nuove speranze, attratti dai miraggi  di un'esistenza appena migliore e che per questo cadono facile preda dei mercanti di carne umana, che quei miraggi sono capaci di spacciare per realtà.
Se queste sono le ragioni alla radice del fenomeno dell'emigrazione, ben si comprende perché le norme repressive atte a contenere il fenomeno non abbiano avuto successo. La lotta per la sopravvivenza non potrà mai essere sconfitta con la persecuzione di chi per quella speranza è disposto a mettere in gioco la propria vita: la sua vita, in fondo, non conta già nulla e qualunque possa essere il rischio di un'avventura per mare verso i lidi della speranza, niente sarà mai comparabile alla certezza della morte nella propria terra in certe condizioni d'esistenza.
Ecco allora che l'ottusità delle norme contro l'immigrazione emerge in tutta la sua drammatica chiarezza, poiché è incapace d'estirpare alla radice il cancro sociale che muove quei flussi migratori. Norme che tutelino le frontiere nazionali da questi fenomeni umani, non accompagnate da misure tangibili di sostegno delle popolazioni diseredate nella loro patria, che esportino in loco il progresso, che creino le condizioni per lo sviluppo socioculturale dei popoli, sono soggette a fallire e a generare nei fatti nuove categorie di aguzzini pronti ad attivare nuove forme di persecuzione ad un'umanità stracciona e disperata, grazie a leggi che sembrano più ispirate alla costruzione di un recinto intorno ai loro privilegi che a motivi di giustificata tutela.
Coloro che quelle leggi difendono e che addirittura vorrebbero ulteriormente inasprite non si rendono forse conto che, in fondo, con i loro atteggiamenti, scendono giorno dopo giorno un grandino nella scala dell'etica, finendo per somigliare a quei personaggi che nelle regioni geografiche da cui muovono i flussi dei diseredati perpetuano condizioni impossibili d'esistenza.
Certo, la questione non è solo italiana, come s'è fatto opportunamente fatto rilevare, e richiederebbe un'iniziativa collettiva dell'Europa, che si faccia carico di interventi strutturali a prevenzione del fenomeno e dell'allestimento di strutture d'accoglienza adeguate. Tuttavia, l'assenza insensibile dell'Europa non giustifica il mantenimento di leggi dal sospetto gusto razziale e che hanno finito per stravolgere persino il significato di quell'asilo politico sancito dalla Carta universale dei diritti dell'uomo. D'altra parte quest'esercito di esodanti non s'attende che un tetto sotto cui ripararsi dalle intemperie e un tozzo di pane con cui sfamarsi, proprio come accadde a noi Italiani quando, all'inizio dello scorso secolo, non esitammo ad invadere le Americhe in cerca di fortuna e di riscatto.

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