Le vergogne della legge Fini - Bossi
Nuova ecatombe di migranti sulle
coste di Lampedusa - Almeno 350 morti tra i disperati in cerca della terra
promessa - I soliti valzer di solidarietà e ipocrisia, mentre una legge assurda
continua a criminalizzare chi presta aiuto in mare in questi casi - La
latitanza dell'Europa non può costituire un alibi per una normativa palesemente
razzista
Lunedì, 7 ottobre 2013
C'è chi dice che siano 400, chi
350 e chi, riferendo un conteggio di qualche sfortunato a bordo
dell'imbarcazione della morte, precisa che siano 368 i morti complessivi del
disastro umanitario di Lampedusa.
A prescindere dal cinico
risultato matematico che la tragedia evidenzia, nulla allevia il senso crudele
ed efferato che scaturisce dal bilancio di una disperata operazione di migrazione
che ha visto protagonista l'ennesima carretta del mare stipata di anime in fuga
dalla miseria e dalla violenza, affondata con centinaia di corpi intrappolati
nel suo ventre a poche decine di metri dalle sponde dell'avamposto dell'Europa
nel Mediterraneo.
Non si è trattato
dell'affondamento di un mercantile con a bordo merce di contrabbando o
materiale inquinante, ma del naufragio di una battello stracolmo di disperati, disposti a qualunque rischio con il miraggio di
una libertà il cui valore per parecchi di noi è incomprensibile, non avendo la
più pallida idea di cosa significhi vivere in aree del mondo dove il rispetto
per i diritti più elementari per gli esseri umani è sconosciuto o inapplicato
da sempre.
Certo, davanti a le immani
tragedie rappresentate da numeri così mostruosi non si può restare
indifferenti, ma è fortissimo il sospetto che siano quei numeri a motivare le
prese di posizione, -come se il fenomeno
non fosse piuttosto divenuto già da molti anni un appuntamento periodico del
tutto prevedibile e che non è obbligatorio risolvere in qualche modo e in via
definitiva solo in conseguenza del numero dei morti che sistematicamente genera.
Piuttosto, dato che il problema è
orami annoso e nulla è stato fatto ogni qual volta si sono spenti i riflettori
sull'ultima carneficina, il sospetto è che quei morti numerosi servano ad
allestire il palcoscenico delle ipocrisie, sul quale poter recitare un
cordoglio di maniera, il coro delle lamentele per l'assenza di sensibilità
internazionale, la carenza di incisive misure di prevenzione, la denuncia della
dovuta solidarietà dettata dalla legge del mare ed i bla-bla mistificatori di
una politica incapace persino della vergogna e della umana pietà.
Sì, perché è in queste
circostanze che la recitazione dei mea
culpa appare drammaticamente senza senso, essendo noi Italiani tra coloro
che hanno inventato una legge che persegue sia i cosiddetti clandestini che
coloro che prestano soccorso a quei disperati in difficoltà, quando le
bagnarole su cui sono imbarcati, in fuga dalle loro terre, vengono incrociate
da pescherecci o mercantili durante la normale navigazione. E' il frutto
avvelenato della Bossi-Fini, quella scandalosa legge voluta dell'area più
cinica e disumana del nostro parlamento, che ha preteso così di combattere il
fenomeno dell'immigrazione dai Paesi in cui non c'è solo fame e miseria, ma
anche guerra, spesso senza senso, e violenza gratuita e dove il rispetto per
l'infanzia, le donne e la specie umana è un valore sconosciuto.
Tunisia, Marocco, Libia, Egitto,
Siria, Afghanistan, Somalia, Eritrea, Sudan, Mali, Nigeria, Senegal - ma
l'elenco potrebbe essere ben più lungo - sono i paesi nei quali per ragioni
diverse, ma con risultati convergenti, i diritti umani sono molto spesso calpestati,
dove la schiavitù femminile è ancora un dato di fatto, dove lo stupro e
l'incesto o le mutilazioni sessuali ai danni delle donne costituiscono metodo sistematico di affermazione di supremazia maschile o il primo
mezzo di ritorsione negli scontri tribali. La fame, la sete, le carenze
igieniche, la scarsità di medicine per curare malattie scomparse nella nostra
civiltà occidentale, sono i moventi per i quali si innescano flussi migratori
massicci, che generano scontri inimmaginabili tra invasori e invasi;
quest'ultimi che cercano con ogni mezzo di difendere miserie già insufficienti
a garantire la loro sopravvivenza. Tutto ciò non fa che generare eserciti di
disperati alla ricerca di nuove speranze, attratti dai miraggi di un'esistenza appena migliore e che per
questo cadono facile preda dei mercanti di carne umana, che quei miraggi sono
capaci di spacciare per realtà.
Se queste sono le ragioni alla
radice del fenomeno dell'emigrazione, ben si comprende perché le norme
repressive atte a contenere il fenomeno non abbiano avuto successo. La lotta
per la sopravvivenza non potrà mai essere sconfitta con la persecuzione di chi
per quella speranza è disposto a mettere in gioco la propria vita: la sua vita,
in fondo, non conta già nulla e qualunque possa essere il rischio di
un'avventura per mare verso i lidi della speranza, niente sarà mai comparabile
alla certezza della morte nella propria terra in certe condizioni d'esistenza.
Ecco allora che l'ottusità delle
norme contro l'immigrazione emerge in tutta la sua drammatica chiarezza, poiché
è incapace d'estirpare alla radice il cancro sociale che muove quei flussi
migratori. Norme che tutelino le frontiere nazionali da questi fenomeni umani,
non accompagnate da misure tangibili di sostegno delle popolazioni diseredate
nella loro patria, che esportino in loco il progresso, che creino le condizioni
per lo sviluppo socioculturale dei popoli, sono soggette a fallire e a generare
nei fatti nuove categorie di aguzzini pronti ad attivare nuove forme di
persecuzione ad un'umanità stracciona e disperata, grazie a leggi che sembrano
più ispirate alla costruzione di un recinto intorno ai loro privilegi che a
motivi di giustificata tutela.
Coloro che quelle leggi difendono
e che addirittura vorrebbero ulteriormente inasprite non si rendono forse conto
che, in fondo, con i loro atteggiamenti, scendono giorno dopo giorno un
grandino nella scala dell'etica, finendo per somigliare a quei personaggi che
nelle regioni geografiche da cui muovono i flussi dei diseredati perpetuano
condizioni impossibili d'esistenza.
Certo, la questione non è solo italiana,
come s'è fatto opportunamente fatto rilevare, e richiederebbe un'iniziativa
collettiva dell'Europa, che si faccia carico di interventi strutturali a
prevenzione del fenomeno e dell'allestimento di strutture d'accoglienza
adeguate. Tuttavia, l'assenza insensibile dell'Europa non giustifica il
mantenimento di leggi dal sospetto gusto razziale e che hanno finito per
stravolgere persino il significato di quell'asilo politico sancito dalla Carta universale
dei diritti dell'uomo. D'altra parte quest'esercito di esodanti non s'attende
che un tetto sotto cui ripararsi dalle intemperie e un tozzo di pane con cui
sfamarsi, proprio come accadde a noi Italiani quando, all'inizio dello scorso
secolo, non esitammo ad invadere le Americhe in cerca di fortuna e di riscatto.
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