giovedì, novembre 07, 2013

Dal florilegio berlusconiano alle cialtronerie della Cancellieri


Siamo un inguaribile Paese di raccomandati e di raccomandanti - La società è spaccata in due solide schiere: quelli con le conoscenze e quelli che possono sperare solo nella Provvidenza - I paradossi lamentosi di Berlusconi e le puttanate di chi si spaccia per integerrimo 
Giovedì, 7 novembre 2013
L'hanno fatta grossa e non ci sono scusanti che tengano. Ma mentre all'uno c'eravamo abituati, - Silvio Berlusconi si conferma sempre più un personaggio degno delle opere dell'assurdo di Samuel Beckett, - l'altro, il ministro Annamaria Cancellieri, s'è un resa autrice di un inedito che la riconduce nei ranghi degli Italiani normali, quelli "anema e core", quelli che in pubblico hanno sposato il senso dell'equità, la correttezza, la trasparenza, la severità e i sani principi de "la legge è uguale per tutti", mentre in privato nutrono sentimenti molto più clementi per parenti e amici.
E così l'Ebreo di Arcore, anche errante, visto la quantità di case che possiede, è riuscito a far parlare ancora di sé e poco importa se perché spara puttanate a nastro, esternando un sentimento che covava dentro da chissà quando e che ha riassunto in una frase carica di patema: «I miei figli si sentono come le famiglie ebree sotto Hitler». Naturalmente la frase, ancorché ridicola e a dir poco inappropriata, ha sollevato un vespaio di critiche.  Un paragone «non solo inappropriato e incomprensibile ma anche offensivo della memoria di chi fu privato di ogni diritto e, dopo atroci e indicibili sofferenze, della vita stessa», ha tenuto a ribattere Renzo Gattegna, con poche e sferzanti il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane. Parole di sdegno che  descrivono lo sconcerto del mondo ebraico per uno sfogo a del tutto azzardato di colui che s'ostina al punto d'essersene convinto di vivere in un clima da perseguitato politico, dimenticando di precisare che niente e nessuno l'obbligava a frodare il fisco e, dunque, a meritarsi una condanna esemplare.
Com'era prevedibile e da copione, allo sdegno generale s'è contrapposto il coro degli ermeneuti dell'ex Cavaliere, che hanno tenuto a precisare con le consuete fandonie da arrampicatore sugli specchi che la frase è stata estrapolata da un contesto ben più complesso, che esprimeva con gigantismo comprensibile lo stato d'animo di un uomo che tanto ha dato al Paese e che per contro s'è visto perseguitato oltre ogni tollerabile da una magistratura livorosa e tante altre melasse in perfetto stile servile. E mentre ci si è sentiti in dovere di rammentare gli applausi ricevuti dal grande statista in un suo intervento alla Knesset, nessuno s'è preso la briga di ricordare come il personaggio sulla questione Ebrei qualche scivolone l'abbia già subito.   «Deformazione ad opera di ipocriti, strumentalizzazione volgare dei soliti sepolcri imbiancati», ha detto quel tempio d'intelligenza di Renato Brunetta a proposito delle critiche mosse alle parole suo improvvido padrone, che era già passato alla storia per un attacco mal digerito a cura del deputato tedesco Martin Schulz a cui si rivolse prendendo l'impegno di trovargli un lavoro: «So che in Italia stanno girando un film sui lager nazisti. La proporrò per il ruolo di kapò...» o per le barzellette di pessimo gusto sugli Ebrei. Ma tant'è, Berlusconi è fatto così. Il classico Italiano medio, a metà strada tra i personaggi di Alberto Sordi, un po' sbruffone e restio ad assumersi le proprie responsabilità, e un po' piagnone, in perfetto stile napoletano "chiagne e fotte", che con i lamenti spera d'irretire i gonzi. D'altra parte, che dire di un uomo che nonostante la shoa casereccia che dice d'aver subito continua ripetere: «Sono italiano al 100%, qui ho le mie radici. In Italia sono diventato quello che sono» e quindi non me ne andrò mai? Non sono certo le battute del mitico Pinuccio su Twit, che avanza qualche riserva scrivendo «I capelli sono made in China però. Quindi 90%», a mettere in discussione questa sua profonda professione di fede nel Paese.
Diversa la questione Annamaria Cancellieri, anche se in parecchi avrebbero voluto che l'epilogo della storia fosse da interpretare come l'arcinota telefonata di Silvio Berlusconi alla questura di Milano per ottenere il rilascio di Ruby Rubacuori.
La povera donna, già prefetto in alcune città della Penisola, con un trascorso di Commissario del governo a Bologna e Catania e ministro degli Interni nell'esecutivo Monti, annovera tra le sue intime amicizie la famiglia Ligresti, quella di Salvatore, noto imprenditore paternese che per anni è stato un rider indiscusso della finanza nostrana e poi divenuto becchino della Fondiaria-SAI.
In seguito alle spericolate operazioni proprio sul noto Gruppo assicurativo, Ligresti e famiglia son finiti in gattabuia, accusati di gravi reati a danno degli azionisti della Compagnia, con l'eccezione di Paolo nel frattempo emigrato in Svizzera, e a questo punto inizia la classica storia tutta italiana che vede la Cancellieri, adesso ministro della Giustizia del governo Letta, affranta dal dolore per le sorti degli amici.
Il tutto comincia con una telefonata di Annamaria Cancellieri alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, nel corso della quale il guardasigilli in veste del tutto privata esterna il suo dispiacere per la vicenda che ha investito la famiglia e, in particolare, per la figlia Giulia, che a quanto pare in cella sta vivendo una fortissima situazione di disagio psicologico, al punto da rifiutare il cibo e così compromettere il suo di salute. Nel dichiararsi «a completa disposizione per fare tutto quanto sarà possibile» per gestire il caso, la Cancellieri saluta l'amica, non dopo averla invitata a venirla a trovare a Roma, e da lì a qualche giorno la giovane Giulia viene rilasciata dal carcere e assegnata agli arresti domiciliari.
Sorvolando sulle vicende successive ormai note e sugli strettissimi rapporti tra i Ligresti ed i Cancellieri-Peluso - cognome del marito del ministro - che sono venuti alla luce scavando sul caso, al punto che il figlio della ministro ha lavorato per la Premafin, finanziaria della famiglia Ligresti, con stipendio e liquidazione da nababbo, ciò che della storia rimarrà probabilmente oscuro per sempre è la ragione per la quale un ministro si senta in dovere di mettere in moto una macchina così sospetta di clientelismo nel perorare la causa di un carcerato. Non basta, infatti, sostenere come è stato fatto che un ministro ha il dovere di intervenire per alleviare la situazione di disagio di un detenuto e che, dunque, il caso Giulia Ligresti s'inquadra in questo normale sentimento umanitario cui non ci si può sottrarre. Le patrie galere sono zeppe di disgraziati che vivono il disagio della carcerazione, ancorché meritata o meno, ma questo non giustifica interventi ad personam non soggetti al sospetto di favoritismo clientelare. Né regge la tesi di un intervento di routine come avvenuto in «tanti altri casi» da parte del ministro, in primis perché questi presunti altri casi non sono stati svelati e, secondariamente se così fosse, sarebbe sufficiente una dichiarazione di disagio per risparmiare un qualunque mariolo dai rigori della legge.  In terzo luogo, non è stata spiegata la procedura da seguire per quanti non figurano nell'agenda telefonica del ministro Cancellieri ed a lei possono rivolgersi in caso di necessità.
La vicenda, tutta italiana nel modo com'è nata e nel modo in cui s'è risolta, - la Cancellieri sembra essere stata assolta sia in Senato che alla Camera dove è stata chiamata a dare spiegazioni del suo dubbio operato, - dimostra se mai ce ne fosse stato bisogno che questo è il Paese delle raccomandazioni, degli inciuci, del pappa e ciccia, o del culo e camicia se si preferisce, in cui a pagare sono sempre gli stessi, gli anonimi della strada che hanno l'immane sfortuna di non conoscere chi gestisce il potere e, al bisogno, può spianargli la strada. Aveva ragione l'autore di quell'acuto pensiero che recita “Una roba seria qui non si può fare «perché ci conosciamo tutti»”
 


2 Commenti:

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