lunedì, dicembre 02, 2013

V-Day senza idee



A Genova, la terza kermesse di Grillo  - Partecipazione deludente, sintomo di una crisi d'affezione che coinvolge anche M5S - Se i temi trattati sono quelli effettivi della crisi, emerge una pochezza di idee preoccupante - Non si può andare avanti solo con gli slogan e con gli insulti agli avversari


Lunedì, 2 dicembre 2013
La giornata è fredda e ventosa, ma in piazza della Vittoria il clima è surriscaldato. C'è grande attesa per l'arrivo di Beppe Grillo in questo terzo V-Day, - il primo da quando il Movimento 5 Stelle ha fatto il suo ingresso in Parlamento, - e per quello che dirà alla sua Genova, al popolo degli arrabbiati dal palco allestito in quella piazza in cui sono passati Pertini e papa Ratzinger. Non c'è la folla oceanica che ci si attendeva, - non è dato sapere se complice il clima o un calo di appeal dell'ex comico, - anche se alla fine ci sarà la solita guerra dei numeri a far da strascico.E' lo stesso Grillo, consapevole di una partecipazione deludente rispetto alle attese, che inviterà durante la sua concione a serrare le fila per non dar spago a chi, approfittando dei vuoti, finirebbe per parlare di un evento partecipato da quattro gatti.
Che fossero trenta o quarantamila o qualcosa in più alla fine diventa irrilevante, dato che quel che importa è il succo del messaggio che nei panni di nuovo messia Grillo porterà al suo popolo, a quel popolo di delusi, incazzati e nichilisti, che giura di voler cambiare l'Italia, anche se non ha ancora detto quando, come e con chi neanche ai propri fan.
Sono speranze che il nuovo messia, apparso con una quarantina di minuti sul palco, non scioglierà di certo, perché in un passaggio del suo discorso dirompente ribadirà con assoluta chiarezza: «I politici sono vigliacchi, non faremo mai alleanze con gli altri schieramenti». E se questo rifiuto di alleanze da una certa prospettiva lascia intendere come Grillo intenda garantire l'indipendenza del suo Movimento e muoversi fuori dai condizionamenti e dai compromessi, è altresì evidente che condanna i cinque stellati ad un isolamento perpetuo nell'opposizione, ad un ruolo di predicatori di un Nirvana impossibile da realizzare nei fatti, visto che è pura utopia pensare di conquistare un miracoloso 51% che ti consenta di fare quel che vuoi.
In ogni caso e come di consueto, Grillo ne ha per tutti. Per la Corte dei Conti, che, a proposito del finanziamento pubblico dei partiti,  «dice le parole che dicevo già 5-6 anni fa, quando sostenevo che le fregature sono semantiche: l'inceneritore diventa termovalorizzatore, i finanziamenti diventano rimborsi. Il Procuratore del Lazio si è espresso così, dicendo che c'è stata una frode semantica, cambiando da finanziamento a rimborso», afferma il nostro con malcelato orgoglio; per il governo, che si dibatte in un orgia di tasse e balzelli e che adesso con un colpo di genio e in sostituzione delle precedenti Tarsu, Tares, Tasi, Tuc ha trovato un nome definitivo all'imposta unica comunale: «IUC sembra il rutto di un ubriaco»; per il Presidente della Repubblica, Napolitano, contro il quale preannuncia «passaggi formali in Parlamento per la messa in stato di accusa. Sicuramente non lo voteranno, lo bocceranno, ma noi lo presenteremo, perché ha una valenza politica per noi: noi vogliamo mandarlo via. Questo signore è andato fuori dalla Costituzione 3-4 volte - ha spiegato Grillo - e diventa ogni tanto il Presidente del Consiglio. Si riunisce di notte per fare le larghe intese, si raddoppia la carriera quando non era assolutamente menzionata in Costituzione, fa dei gruppi con la maggioranza e poi ci invita il giorno dopo: sono comportamenti che non hanno niente a che vedere con un Presidente della Repubblica. Lui è presidente delle larghe gambe che ormai sono diventate larghe intese. Ha distrutto le registrazioni dei suoi colloqui con Mancino: è' a capo di una cospirazione, ma noi lo lasceremo da solo a cospirare».
Come si vede fino a questo momento siamo alle solite e scontate invettive contro al sistema, alle istituzioni nel loro complesso, che sicuramente non sono indenni da responsabilità, anche gravi, nei confronti dei cittadini, ma che nell'eloquio di Grillo diventano elementi da tritacarne con i quali alimentare la rabbia popolare. Sembra d'assistere alle adunate sediziose dei leghisti a Ponte di Legno, ai quali bisognava somministrare robusti piatti di polenta e odio, accompagnati da un'abbondante annaffiata di vinello delle valli bresciane per stimolare la macchina velenosa della secessione impossibile. Ma a piazza della Vittoria manca qualcosa, o forse c'è solo la grappa per lenire il freddo, di cui forse s'è un po' esagerato. Manca il progetto, surrogato da slogan demenziali sull'Europa, l'euro, sul debito,  che dovrebbe essere "socializzato" in nome di una solidarietà reale e non solo nominale. Né, a fronte di un clamoroso vuoto di idee, mancano gli esorcismi autoironici: «Sono orgoglioso di essere populista e di essere qui insieme e decine di migliaia di populisti - dirà a sua volta Roberto Casaleggio, alternatosi sul palco a Grillo e riprendendo un tema già toccato dall'ex comico -  Il potere deve tornare al popolo, le istituzioni devono tornare al popolo, non devono stare sopra il popolo. In questo mondo in Italia non c'è nemmeno la democrazia». Poi, tradendo il senso recondito che nutre per ciò che considera democrazia, dichiara a proposito delle accuse d'immobilismo politico mosse all'M5S: «Sono tutte menzogne, stiamo parlando di una deformazione della realtà. Il Movimento ha fatto in Parlamento moltissime proposte ed anche a livello comunale e regionale, quindi è una forma di difesa ad oltranza da parte di chi vuole porci in una situazione di non governo», come se in democrazia la condivisione ed il consenso fossero un banalissimo optional e bastasse qualunque proposta per accreditare positivamente l'impegno di una qualunque componente politica.
Ma ormai è chiaro: il M5S è nato dall'antipolitica e dal disgusto profondo maturato in tanti cittadini per lo sconcio offerto dai governi Berlusconi e, successivamente, da quello Monti, peraltro improvvidamente appoggiato dal PD. Quell'esperienza, in qualche misura motivata dallo sfacelo economico prodottosi con le stravaganti decisioni del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e di un esecutivo più preso a far guerra alla magistratura in difesa del suo leader Silvio Berlusconi che a pensare ai problemi del Paese, ha profondamente segnato l'Italia, poiché con un cinismo impareggiabile s'è preteso di far passare per inevitabili misura pazzesche fortemente penalizzanti per le categorie sociali più esposte alla crisi economica, in larghissima maggioranza nel Paese. Il tentennante governo Letta, accusato da più parte di revival democristiano, s'è dimostrato fino ad oggi incapace d'invertire la rotta e di effettuare quelle scelte coraggiose in grado di costituire segnale di rottura di una gestione politica fondamentalmente tesa a garantire le posizioni della finanza e delle rendite di posizione ad essa collegate. Ciò, dunque, ha profondamente radicato il senso di rigetto per un'intera classe politica, espressione di una mentalità basata sull'accomodamento, sul compromesso, soggetta al ricatto dei poteri forti e delle lobby finanziarie.
Tuttavia, quest'antipolitica rappresentata da Grillo, rischia di buttare al vento la grandissima forza rappresentativa che gli è stata delegata con la tornata elettorale, poiché non basta per realizzare il cambiamento lanciare accuse non seguite da proposte; non basta lanciare invettive e contumelie contro gli avversari senza presentare progetti alternativi su cui cercare di costruire il consenso; non basta invitare alla «cospirazione» i giovani disperati e senza lavoro per ottenere il cambiamento. Così come non ci può asserragliare nella torre d'avorio e - per usare termini grillini - sputare dall'alto su tutti coloro che passano sotto per vincere le battaglie. Né bastano né Dario Fo o Wikileaks, da esibire come icone e testimonial di una certa linea, per dare come tracciata la via alla catarsi. Fino a quando Grillo e Casaleggio non l'avranno capito e non cambieranno registro c'è da temere che presto la loro protesta si dissolverà come le tenebre all'alba, con una perdita incommensurabile per il Paese .

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