La democrazia autoritaria
Iniziato l’iter per la riforma
del senato – Forti dissensi all’interno di PD e FI che hanno promosso la
riforma –Scontro durissimo con le opposizioni, che rifiutano l’idea di un
senato non elettivo cui è riconosciuta l’immunità dei membri – Renzi minaccia
di cancellare alla camera emendamenti non graditi
Venerdì, 25 luglio 2014
Il dibattito in corso sulle riforme costituzionali,
che vede l’incrocio di provvedimenti atti a modificare la struttura e i compiti
del senato e le competenze della camera dei deputati, oltre che la legge
elettorale, è, per una parte, approdato in senato, dopo un lungo e travagliato
iter in commissione.
Mentre rimane al palo la riforma della legge elettorale, oggetto di
forti dissensi non solo con l’opposizione del
M5S e di SEL, ma anche di divergenze interne al PD e a FI, sul tavolo
della discussione infuria lo scontro sulla riforma del senato, tant’è che al
suo approdo in aula il provvedimento ha già visto ben 8000 emendamenti delle
opposizioni tendenti a bloccarne il cammino d’approvazione con un ostruzionismo
senza precedenti.
Prescindendo dai risultati che si conseguiranno da questa vera e
propria guerra senza quartiere tra maggioranza ed opposizione, contrassegnata
dai continui proclami di Matteo Renzi, che non intende mollare su alcuni
principi cardine dell’accordo a suo tempo siglato con Silvio Berlusconi sulla
riforma, non si può comunque non restare perplessi sulla ratio che soggiace al
varo del nuovo senato, non più elettivo, ma formato da membri cooptati tra i
sindaci delle città più importanti del Paese ed i consiglieri regionali. A
questi membri, privi di un compenso per il mandato conferito, sarebbe stato
deciso di riconoscere l’immunità prevista per i componenti della camera, guarentigia
che ha sollevato un coro di proteste non solo perché già osteggiata per gli
stessi parlamentari, ma che risulta del tutto indebita per un senato composto
da personaggi che svolgono un ruolo in altre istituzioni per le quali questo
beneficio è del tutto assente e che potrebbe costituire un grave pregiudizio
alla procedibilità nei loro confronti in caso di commissione di reati comuni.
Se questo non bastasse di per sé a scatenare legittimi dubbi e
tensioni, permangono comunque fortissime perplessità su un’istituzione composta
da membri non eletti e che probabilmente con il metodo della cooptazione
rischiano di rappresentare evidenti interessi di parte e non certo quelli di un
corpo elettorale a cui è di fatto inibito esercitare uno dei fondamentali
principi della democrazia: il voto per l’attribuzione di un mandato.
Tale forzatura era già contenuta nella legge elettorale bocciata dalla
Consulta e improvvidamente riproposta nel progetto per la sua riforma; per cui
non si capisce il senso di una scelta che ripropone il blocco delle liste.
Lecito è pertanto parlare di progetto che odora di autoritarismo strisciante,
grazie alla delega riconosciuta ancora una volta ai singoli partiti di imporre
liste di candidati sulle quali non è possibile scegliere e proporre alternative
attraverso l’espressione della preferenza.
E’ evidente che tra riforma del senato, ridefinizione dei poteri del
parlamento e legge elettorale c’è un’intima connessione, uno strettissimo
legame di intenti che lascia presagire all’orizzonte una svolta in cui i
diritti dei singoli saranno sempre più affievoliti da una tirannia dei partiti,
dagli uomini posti ai vertici di questi, ai quali sarà delegato per legge la
libertà di imporre i candidati che più aggradano loro, coloro che dietro le
quinte avranno dimostrato un senso di fedeltà e di obbedienza al capo, fuori da
qualunque controllo diretto dei cittadini, ridotti ad un gregge asservito agli
umori di chi s’è arrogato un diritto insindacabile di scelta.
Da questo quadro traspare inconfutabile ancora una volta il disegno
berlusconiano, quel disegno realizzato con il malefico porcellum, bocciato
dalla Corte Costituzionale e riproposto par pari in barba al basilare principio
di democrazia che riserva al popolo la scelta dei propri rappresentanti.
Né tale stortura trova la minima correzione nell’ambito dell’organizzazione
dei partiti medesimi, poiché il rifiuto di ricorrere ad un codificato sistema di
primarie per la scelta dei candidati con i quali approntare le liste in ogni
singola coalizione o movimento politico, salvo rare eccezioni, risponde proprio
alla logica di garantire al leader del momento il consolidamento del proprio
potere e di imporre agli eleggibili precise regole di comportamento.
Il segretario del PD, nonché capo del governo, ha il suo ben dire che
le riforme in discussione non rappresentano quella deriva autoritaria sospettata
da più parti. Ma non saranno certo le smentite, o comunque le parole, a
rimuovere il sospetto che vi sia in atto un tentativo di ridurre i diritti
democratici dei cittadini, imponendo loro meccanismi di rappresentatività
avulsi dal loro controllo e basati su principi che perpetuano una casta lontana
dalla realtà quotidiana e dai veri problemi della gente. Le stesse minacciose
dichiarazioni di recuperare alla camera gli eventuali emendamenti votati in
senato, rappresentano il chiaro sintomo di un’arroganza diretta a forzare il
senso di decisioni non gradite. E, in fine, cosa commentare a proposito dell’ulteriore
provvedimento in cantiere teso a modificare la base delle firme necessarie per
il ricorso all’istituto del referendum popolare? E forse questo il segnale che
intenderebbe smentire la sospetta deriva autoritaria del governo Renzi o,
piuttosto, non ne è la definitiva conferma?
Non vi è alcun dubbio che l’Italia degli interessi di parte, della
difesa delle piccole corporazioni e delle lobby abbia bisogno di una svolta
riformista che acceleri i processi decisionali e svincoli l’attività dei
singoli rappresentati del popolo dalle strette imposizioni delle segreterie di
partito, così realizzando un miglioramento della democrazia. Ma illudersi che
le iniziative in discussione rappresentino il tanto atteso momento di svolta progressista
ci sembrerebbe faccia grande torto al senso comune dell’intelligenza.
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