lunedì, ottobre 27, 2014

Il reazionario riluttante


    

Nuove promesse dell’inesauribile Renzi – La cancellazione dell’articolo 18 come la panacea dei mali dell’Italia - Continuano le inconcludenti filippiche del premier contro gli avversari di partito e i dissidenti dalla sua linea – Alla Leopolda di Firenze il trionfo della suggestione



Lunedì, 27 ottobre 2014
E così siamo nuovamente in recessione, ammesso che dalla lunga fase di contrazione dell’economia fossimo realmente usciti per qualche breve periodo senza accorgercene. Il verdetto dell’Istat sul primo semestre de 2014 è stato chiaro ed implacabile: l’economia non cresce, la disoccupazione aumenta,  i consumi delle famiglie si contraggono ulteriormente e il PIL somiglia sempre più alla Costa Concordia, con la linea di galleggiamento abbondantemente sommersa dalle acque scure della recessione. 
Com’era stato ampiamente previsto a nulla è servita la “mancia” da 80 euro elargita dal munifico Renzi, mancia volatilizzata dall’incremento inarrestabile della tassazione e dall’aumento pur contenuto, ma generale, dei prezzi dei beni di prima necessità.In verità, se un effetto ha avuto la regalia Renzi è stato quello di rinforzare  nei disperati l’illusione che finalmente fosse arrivato alla guida del Paese un personaggio con un minimo di idee e voglia d’imprimere una sterzata ad una situazione economica e politica oramai allo stremo. Il giovanotto, infatti, ha parlato bene; ha promesso mari e monti ai disoccupati, ai senza lavoro in attesa di poter accedere al sostegno della pensione; ai giovani senza speranza sfruttati in attività precarie e con salari da quarto mondo; ai pensionati schiacciati da una pressione fiscale a dir poco infame, che non sanno come arrivare a fine mese. Così ha riempito di editti, dal significato oscuro e magico allo stesso tempo, il carrozzone mediatico: jobs act, spending review, riforme istituzionali, legge elettorale, riforma della pubblica amministrazione e altra roba ad effetto, nel tentativo di alzare una spessa cortina fumogena sulle sostanziali incapacità dell’esecutivo di mettere in campo iniziative concrete idonee a risolvere i veri problemi dei cittadini. 
Certo, è innegabile che la politica degli annunci di berlusconiana memoria qualche risultato al buon Renzi lo ha prodotto. Il 40,80% conseguito alle elezioni europee è sicuramente il frutto di questo metodo, che abbinato agli 80 euro erogati in busta paga ai lavoratori dipendenti è servito da potente specchietto per le allodole ed ha fatto credere che ci si trovasse a quella svolta tanto attesa. 
Nei fatti il provvedimento è servito assai poco, dato che non sono 80 euro che cambiano la vita, ma in compenso la sua stabilizzazione nel tempo ha creato una voragine ulteriore nei conti pubblici stimata in 10 miliardi per il 2015, fabbisogno per far fronte al quale non è ancora chiaro quali misure sarà necessario assumere. Il capo del governo ha dichiarato che al fabbisogno si farà fronte con i proventi del taglio della spesa improduttiva. Ma sul tema rimangono forti i dubbi, visto che di questi benefici si parla ormai da anni e poco è stato fatto per realizzare le economie necessarie e la lotta agli sprechi di denaro pubblico. Nel frattempo continua l’inconcludente cammino delle riforme istituzionali, riforme che pur se necessarie non rappresentano certamente priorità assolute rispetto alle vere emergenze del Paese. Resta il fatto che non sarà la discutibile riforma del senato a cambiare la situazione, poiché agli indubbi risparmi derivanti dall’abolizione dei compensi ai senatori non potrà sommarsi il costo della la pletora di funzionari ed impiegati utilizzati negli uffici di questa istituzione, che  continuerà a succhiare risorse come in passato. 
Dal quadro complessivo discende l’immagine di un governo pronto a dichiarazioni roboanti e, apparentemente, di buona volontà, ma sostanzialmente incapace di varare provvedimenti effettivamente in grado di produrre risultati tangibili. Anzi, come di recente nel caso del pensionamento dei docenti, si assiste ad assurde retromarce e smentite. Insomma, al solito concerto di pifferai miracolistici, sapienti esecutori di spartiti musicali, ma privi della capacità di incidere sulle metastasi del sistema. 
Senza poi parlare della vergognosa guerra sferrata da Renzi e dalla sua corte all’articolo 18, una guerra tesa a demolire l’ultima roccaforte in difesa dei diritti di chi lavora per non cadere definitivamente in ostaggio di un capitalismo sempre più aggressivo e sprezzante di ogni tutela. 
Il giovane premier, che non si perita d’appare sempre più nelle vergognose vesti di un killer al soldo di poteri oscuri, ha usato parole di scherno e di fuoco nei confronti di quanto hanno criticato questa pazzesca iniziativa: conservatori, reazionari, difensori di anacronistici feticci, non rendendosi conto che in verità l’unico ad apparire reazionario in questo quadro allucinante è lui e la sua corte di fighetti arroganti, caparbiamente decisi a ricreare le abominevoli condizioni di schiavitù in cui versava il lavoro prima delle conquiste sindacali. 
Naturalmente per supportare le sue vuote ragioni Renzi non ha esitato ad usare argomentazioni prive di qualunque contenuto logico, ma infarcite di suggestiva malonnese. Così i cittadini attoniti hanno appreso che le origini della feroce disoccupazione non sono da attribuire alle delocalizzazioni, all’utilizzo sfrenato della contrattualistica di precarietà, alla allucinanti insufficienze della giustizia civile – cause che durano anni per vedere soddisfatto un credito, - alla profonda disorganizzazione della pubblica amministrazione preposta a monitorare il mercato del lavoro e a gestire la previdenza, all’insolvenza degli enti pubblici nell’onorare i debiti verso fornitori di beni e servizi, ma a quell’articolo dello Statuto che ha avuto il merito di rompere il rapporto ricattatorio del padrone nei confronti dei propri dipendenti, specialmente quando si trattava di lavoratori donne o contestatori di intollerabili abusi. 
E più passa il tempo e più i dubbi che il nostro personaggio non sia che una riedizione di quel Silvio Berlusconi parolaio e inconcludente si diradano: nulla di effettivo e concreto è stato ad oggi realizzato da quello che si palesa sempre più solo un reazionario riluttante, l’ennesimo ducetto di provincia convinto di poter abbindolare il mondo con roboanti quanto improbabili promesse, un personaggio privo di argomentazioni, oltre che di contenuti, con il vezzo di liquidare il dissenso con il dileggio e il disprezzo, forte di un’opinione pubblica disillusa e ormai ripiegata nel proprio privato e che assiste alle sceneggiate del potere con disgustato distacco. 
In questi giorni al colmo dell’autocelebrazione, circondato da un branco di arrivisti e simpatizzanti dell’ultima ora, ha tuonato dalla Leopolda di Firenze, vantando i successi virtuali che ha conseguito il suo governicchio di baldanzosi fighetti sulla scorta di quel 41% conseguito alle europee e vaneggiando su un nuovo partito a vocazione maggioritaria, tra le ovazioni dei soliti invasori del carro dei vincitori e dei burattinai che muovono i suoi fili.  Chissà se questo Renzi, ennesimo rappresentante di quell’Italia deideologizzata e bauscia, che ammorba il nostro quotidiano da oltre un ventennio, riuscirà a fare ammenda e darsi una regolata quando quel 50% di cittadini che disertano le urne tornerà a votare e lo metterà davanti all’evidenza che il suo era solo un consenso di carta straccia.




 

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